sabato 5 gennaio 2008

Diario Camino de Santiago

Diario del “Camino de Santiago”anni 2006-2007.

Ringrazio di cuore Roberta Vicenzi e mia moglie Carmen che sono state protagoniste e le mie compagne di uno stupendo Camino. Maestra Roberta mi ha sostenuto nel fare il diario. Ringrazio mia nipote Elena Cusenza che mi ha aiutato nelle traduzioni dallo Spagnolo e che ha percorso il Camino nell’estate 2005. E’ stata la molla per Carmen, che ha convinto anche me, a fare questo straordinario viaggio di spiritualità, cultura ed umanità.
Un ringraziamento a Juan Boronat Gil per i suoi consigli, un professore spagnolo che ha insegnato all’Università La Sapienza di Roma, incontrato lungo il Camino nel 2006 e con il quale abbiamo instaurato un bel rapporto di amicizia.
Un grazie a Laura Romina Silva Castro del Museo das Peregrinacions di Santiago de Compostela , incontrata al BITS-Forum europeo del Turismo sociale- tenuto a Riva del Garda dal 2 al 5 ottobre 2007, che mi ha chiesto di mettere a disposizione del Museo il diario, cui, onorato, ho aderito con gioia.

Prologo alla prima parte del “Camino de Santiago”.

L’inizio del nostro Camino de Santiago è preceduto, qualche giorno prima, da un prologo del tutto originale: la Gita al Rocciamelone[1], organizzata dagli amici del Cai di Giaveno (Torino), cui è stata invitata la Sezione Sat di Mori.[2]

Si parte da Mori alle 12.30 del 1 luglio 2006. Fanno parte del gruppo: Letizia Galvagni, Rita Malfatti e Michele Battistotti, Sergio Gelmini, Nadia Zambelli, Pierino Avesani, Nadia Simonetti e Sergio Canali, Franco Monte, Roberta Vicenzi, Carmen Tranquillini ed il sottoscritto. Fa molto caldo, l’andatura sull’autostrada è sostenuta; la distanza è sui 365 Km. Ad un tratto ci si perde di vista, qualcuno accelera un po’ troppo per il ricongiungimento, tanto che qualche mese dopo arriva una multa di € 46 con rilevamento di velocità 142 km/ora, tollerati 134 e quindi con il superamento del limite massimo dei 130. Alle 17.10 si arriva alla sede CAI di Giaveno. Sono ad attenderci i cugini Mirella Portigliatti ed Elio Maritano con il Vice Presidente della Sezione, Filippo Gillio, padre di un caro amico di famiglia, il geom.Giorgio Gillio, che ci ha aiutato a migliorare e gestire al meglio la cascina Frisole[3]. Dove ci rechiamo per una breve visita, poichè nella gita di ottobre del 2005 con la Sat al forte di Fenestrelle, non ne avevamo avuto il tempo. Troviamo i lavori in corso per la sistemazione del tetto che era ormai pericolante. Mia sorella Carmen mi aveva suggerito di portare gli amici della Sat alla Certosa e mai un suggerimento fu così indovinato!
Abbiamo a disposizione pochi minuti perché la partenza per il Rocciamelone è alle 18. Arriviamo che gli operai stanno chiudendo i cancelli; chiediamo se è possibile entrare ma ne riceviamo un cortese ma fermo diniego. Facciamo tra noi qualche commento con il rincrescimento di non poter vedere l’interno; parliamo dei progetti di Don Luigi sulla Certosa, sul nostro legame di amicizia con lui, tanto che il soggetto più “distinto” del gruppo, che consideriamo un geometra dell’impresa, si lascia scappare, con qualcuno di noi, che don Luigi è all’interno ma non si può disturbare. Al che mi rianimo e chiedo se è possibile salutarlo per un momento, declinando le mie generalità e provenienza. Il “geometra “ apre il cancello dicendo che va a riferire; m’intruffolo e lo seguo attendendomi una reprimenda, che però non viene. Anzi chiama a gran voce don Luigi ed io lo aiuto volentieri finchè lo scorgiamo in un luogo stupendo, in cui era in meditazione. E’ un momento di intensa gioia, per tutto quello che sta accadendo e ci abbracciamo calorosamente; gli dico che siamo qui con gli amici della Sat di Mori per caso e di tutta fretta, perché stiamo partendo per il Rocciamelone; gli chiedo se può farci vedere qualcosa della Certosa in ristrutturazione. Don Luigi viene al cancello, saluta tutti da vecchio amico ed iniziamo la visita dal colle in cui si trovava. E’ uno spettacolo unico da cui si possono ammirare i laghi di Avigliana, la pianura padana, Torino e, dietro, le Alpi Piemontesi e, dall’alto, la meravigliosa Certosa. Per me è rivivere in modo sublime, da un posto incantevole (don Luigi mi aveva detto: “ Quando lo vedi capirai perché mi ritiro a meditare in quell’angolo di paradiso!”) luoghi cari e importanti della mia giovinezza. Torino è una città importante per la storia d’Italia, per il nostro Risorgimento e per lo sviluppo economico-industriale e scientifico-tecnologico del nostro Paese.[4]
Mentre gli amici si intrattengono con Don Luigi io corro in auto a prendere la digitale per immortalare questo bel momento. Quando torno mi pongono in modo perentorio la domanda di quant’è alta la croce di ferro sul campanile della Certosa. Ci penso su un pò, cerco di fare un po’ di telemetria visiva e decido di rispondere che è alta 3 metri. Al che c’è un coro di meraviglia e qualcuno insinua che già conoscevo la risposta. In verità non sapevo neanche della sua esistenza; non ero mai entrato alla Certosa. Quando da bambino mi recavo al convento con zia Pina, a portare le uova alle suore di clausura, ci accoglievano al parlatorio, ma più in là non ero mai andato.
In cuor mio interpreto questo fatto come un segno del forte legame e sintonia con quel luogo e quella terra…
Iniziamo la visita e ammiriamo le celle della clausura riportate a nuovo, nello sforzo di conservare tutto il possibile dell’antico, tra cui le porte sistemate a mano da amici peruviani esperti, i pavimenti in pietra locale o con piastrelle molto simili, gli stupendi affreschi del XIV secolo riportati alla luce nell’entrata del chiosco e nella cappella.
A malincuore dobbiamo interrompere la visita; sono ormai le 18.25 e siamo in ritardo con gli amici del Cai. Nel salutarci don Luigi ci fa un invito che ci fa un immenso piacere; l’anno prossimo saremo suoi ospiti alla Certosa riaperta e lui sarà con noi per un’intera giornata. Lo ringraziamo di cuore e gli promettiamo che la Sat di Mori estenderà l’invito alla Parrocchia per organizzare assieme l’incontro. In seguito ho maturato l’idea di chiedere a Don Luigi, in alternativa all’incontro alla Certosa, di venire a Mori, di modo che molti più moriani possano conoscerlo ed ascoltare le sue riflessioni.
Ringraziamo il signore distinto, il “geometra” dell’impresa, che ci ha permesso di incontrare don Luigi e ci accorgiamo, solo al momento di ripartire, che in realtà costui é il capo della scorta che, ancora oggi e da molti anni, accompagna don Luigi nella sua vita quotidiana.
Aspettiamo Elio e Mirella alla Mortera e si parte per il Rocciamelone, imboccando la val di Susa; sulla sinistra possiamo ammirare la maestosa Sacra di S.Michele[5]. Raggiungiamo il rifugio la Riposa –Fontana delle Taverne, ristrutturato da poco, a 2.205, dove troviamo gli altri amici del Cai di Giaveno con cui ceniamo, ci scambiamo impressioni e commenti, e pernottiamo.
Domenica 2 luglio alle 6 si inizia la salita con i suoi 1.333 metri di dislivello. Ci colpisce la ricca flora, ranuncoli giganti, la varietà immensa che scatena le dissertazioni botaniche di Roberta e la fotografia di Pierino.
Raggiungiamo il rifugio Ca’ d’Asti (m.2854) che è il più antico rifugio d’Europa, poi la Croce di ferro (m.3306). Mentre saliamo incontriamo alpinisti piemontesi tra cui mi colpisce un signore anziano, Angelo Chiola, che ci racconta che è solo da quattro anni che ha scoperto le bellezze e la passione per la montagna e ci confida che ha intenzione di conquistare il Cervino. Naturalmente da buoni satini gli facciamo i complimenti serbando in cuor nostro seri dubbi sulla riuscita dell’impresa[6]. Negli ultimi 150 metri si sentono le note di alcuni brani musicali suonati dalla Banda musicale filarmonica G.Verdi di Caprie, tra cui Corinto, Montagne Valdostane, Signore delle Cime, Piemontesina bella, qualche timido tentativo dell’Inno al Trentino da parte dei Moriani che hanno già raggiunto la cima….. Si odono il basso tuba di Guido Poutasso e Dortiano Ferrero, Matteo Carello al sax tenore, Gabriele Anselmetti al trombino, i fratelli Cugno con Giancarlo alla tromba, Graziano al bombardino e Davide al clarino,
Arriva Mirella che si mette a ballare con Elio; all’armonia di Piemontesina bella, suonata in onore della Sezione Sat di Mori.Mi commuovo e piango perché ricordo mia mamma Aventina, la mia infanzia trascorsa alle Frisole, a Giaveno, a Torino, le mie radici Piemontesi che tanto hanno inciso nella mia formazione.
Lo scenario che possiamo godere è uno dei più belli che ho ammirato in vita mia. Anche grazie alla stupenda giornata di sole vediamo le Alpi marittime, il Monviso (3.841) che si staglia di fronte a noi, a sud, e poi via via il massiccio de la Vanoise (3.684), il Monte Bianco (4.810), Les Grandes Jorasses (4.206), il Gran Paradiso (4.061), il Cervino (4.478), il Monte Rosa (4.634).
Scattiamo alcune foto sotto la statua della Madonna, dove tira un vento fortissimo e freddo; sono tornati anche Franco e Sergio che hanno fatto una puntata al ghiacciaio sottostante.
Si inizia la discesa con un una gran gioia nel cuore per quello che siamo riusciti a fare e per lo spettacolo indimenticabile che il Rocciamelone ci ha riservato.
Al rifugio Ca’ d’Asti salutiamo gli Amici del Cai di Giaveno, in particolare il Presidente Livio Usseglio, il Vice Filippo Giglio, i cugini Mirella ed Elio, il panettiere Livio, che è il consulente apprezzato dalle nostre satine per biscotti e pasticcini, che avevamo conosciuto in occasione della gita al forte di Fenestrelle ed alla Sacra di S.Michele nell’ottobre 2005, durante la cena nella sede degli Alpini di Giaveno.
Li ringraziamo per la loro cortesia e l’ospitalità e diciamo loro che al rifugio sottostante la Riposa lasciamo quale segno di riconoscenza il gagliardetto della Sezione di Mori con le nostre firme ed una dedica con l’invito a rivederci a Mori, in ferrata.
Nello scendere possiamo ammirare, ancora meglio del mattino, fiori stupendi che fotografiamo e che sono catalogati dalla nostra esperta Roberta ed immortalati da Pierino.
Incontriamo una signora che nel scendere non ce la fa più per la stanchezza e ci viene in mente di somministrarle una bustina di Polase, secondo la efficacissima ricetta del nostro “Dr Fuentes” alias Franco Monte. La incontreremo più tardi contenta per l’aiuto ricevuto, di cui ci ringrazia di cuore.
Poco prima del rifugio “La Riposa” troviamo una bella fontana per l’abbeveraggio delle mucche e ci abbandoniamo ad un salutare pediluvio compattandoci con Franco, Sergio e Nadia Simonetti. Questo salutare bagno ai piedi costituirà il prezioso viatico del Camino de Santiago che inizieremo di lì a due giorni.
Ci sarebbe da soddisfare il desiderio, ripetuto con forza in questi giorni da Letizia, di fare una visita della chiesetta di Ciao Pais sopra Sauze D’Oulz[7], ma il tempo stringe, i coniugi Battistotti fanno combutta tra di loro….per boicottare i desideri di donna Letizia… e decidiamo di partire per Mori; con la mia promessa a Letizia di tornare a Ciao Pais la prossima volta che veniamo in Piemonte.




Diario del Cammino di Santiago.

I protagonisti dell’avventura di Santiago 2006 siamo Roberta Vicenzi, mia moglie Carmen Tranquillini ed il sottoscritto che ha avuto la “brillante” idea di fare qualche appunto durante il Camino, aiutato da Roberta, da cui è nato questo diario[8]. In occasione del 25°anniversario di matrimonio, Carmen ed io avremmo voluto andare in Terra Santa ma nel settembre 2001 scoppiò la 2° Intifada e non se ne fece più nulla. L’avventura del Camino matura gradualmente dopo aver sentito alcune esperienze sul tema , tra cui la presentazione di Maurilio Barozzi del suo libro Spagna, la serata Amarcord Campus stellae in Campei fatta da Maurilio e Lanfranco, la corrispondenza di Giampiero Girardi sull’Adige e l’esperienza entusiasta del Camino di nostra nipote Elena che lo percorre nel 2005. Intraprendere il Camino è per noi occasione per ringraziare il Signore di quanto ci ha dato e per prepararmi a vivere meglio l’ultima parte della mia vita.
Partiamo giovedì 4 luglio 2006 con “l’autobus” di Fausto Vicenzi e ci accompagna anche la sorella Nadia. Dopo le regolari operazioni di ceck-in all’aeroporto di Orio al Serio (Bergamo). Roberta e Carmen, convinte di aprire la porta dei servizi attivano, inavvertitamente, l’allarme di una porta d’uscita, alla presenza dei responsabili della sicurezza che non si preoccupano per niente di disattivare il fischio che dà molto fastidio ai passeggeri in attesa, tanto che allo stacco si alza un sospiro di sollievo liberatorio. Si decolla con il volo 4633 della Ryanair e di lì ad 1 ora e mezza si atterra a Saragozza, capoluogo della regione autonoma dell’Aragona. Durante il volo facciamo conoscenza con un ragazzo della Repubblica Dominicana che abita a Saragozza,e ci dà alcune indicazioni su come affrontare il Camino.
Leggendo le guide mi accorgo che il 7 luglio è San Firmino, patrono di Pamplona, dove sta per iniziare la famosa Festa fino al 13 luglio, tra cui l’Encierro, la corsa dei tori[9]. Ci facciamo consigliare dalla gentile signorina dell’Ufficio turistico dell’aeroporto, la quale ci dissuade dal recarci a Pamplona, proprio per la concomitanza con l’inizio della festa e con il rischio di non trovare posto da dormire. E’ infatti nostra intenzione iniziare il Cammino dalla partenza classica di Saint Jean de Port (Francia), la tappa precedente Roncisvalle; ma, di fronte all’imprevisto della festa e considerato che sono ormai le 19, decidiamo per il Camino aragonese, che inizia da Puerto Somport nei Pirenei aragonesi[10]. Riusciamo a prendere a filo un autobus alle 19,15 per Huesca, capoluogo di una delle tre Provincie di cui è composta l’Aragona[11], che raggiunge Jaca, capolinea, alle 21,30. E’ quasi notte e ci diamo da fare per trovare da dormire. Non conosciamo ancora i meccanismi che presiedono l’organizzazione del Camino de Santiago, tra cui il possesso della Credencial del Peregrino[12], di cui sperimentiamo, da subito, l’indispendabilità. Dopo un tentativo fallito chiediamo ad un anziano signore la sede dell’albergue e constatiamo quanto sia radicata nella cultura dei cittadini dei centri del Camino il rispetto e la disponibilità nei confronti dei Peregrinos[13]. All’albergue ufficiale non ci possono dare accoglienza perché non siamo ancora in possesso della Credencial. Veniamo indirizzati a Mamrè, Casa de Acogida, gestita dalla Chiesa evangelica di Spagna, ma aperta a tutti i pellegrini, che ci dà accoglienza in modo sobrio e dignitoso.
Usciamo a cena e ci troviamo sotto i portici della piazza antistante la Catedral romanica de Jaca,[14] dove c’è un bar, il Rincon de la Catedral, che constateremo anche nel corso del Camino, fanno anche da ristorante. Ordiniamo e chiedo ai baristi spagnoli come va Italia-Germania; ci rispondono che siamo ai supplementari sullo 0 a 0. Chiedo come si sta giocando e mi rispondono che il gioco è duro da entrambe le parti e che gli Italiani giocano ..all’italiana… Torniamo al nostro albergue e di quando in quando entro nei bar a dare una fugace occhiata alla partita, il cui risultato è sempre in pareggio finchè, appena coricati, sento, a distanza di pochi minuti l’uno dall’altro due boati, e temo, in cuor mio, che la Germania abbia segnato, poiché al bar Rincon non avevo trovato un calore particolare per l’Italia. Al che, come è ormai mia abitudine (vedi notte dei risultati delle politiche 2006)[15] decido di dormire ed attendere il mattino,
Mercoledì 5 luglio tratto Jaca-Arres
Nessuno mi sa dire come è andata la partita: né la signora dell’albergue, né una pellegrina spagnola che sta facendo colazione con noi, né un’autista della stazione degli autobus, perché stiamo valutando di andare a Somport con tale mezzo. Telefono a mia sorella Carmen per rassicurarla che siamo arrivati e che tutto procede bene in terra di Spagna e mi dice che l’Italia ha vinto 2 a 0. E’ una bella notizia per chi è via,anche solo da turista, dalla sua Terra natia; provare per credere!
Non essendoci l’autobus per Somport prima di una certa ora, decidiamo di iniziare il Cammino da Jaca e ci rechiamo nella parrocchia di Santiago a Jaca (che ha anche un bel monastero benedettino) per farci rilasciare la Credencial. Non troviamo nessuno, ma lì a fianco c’è un collegio ove una suora appena ci vede ci fa cenno di seguirla in ufficio. E’ dell’ordine di S.Anna e con orgoglio ci dice che hanno una sede anche a Roma. Compiliamo la Credencial con i nostri dati personali ed otteniamo il timbro (sello) della Parroquia de Santiago-Jaca: siamo Peregrinos a tutti gli effetti e si inizia con prima meta Santa Cilia e poi Arres.
Nell’uscire da Jaca abbiamo qualche difficoltà ad individuare la flecha amarilla (la freccia gialla) e la concha (capasanta) che sono i segni che indicano la direzione da seguire per Santiago in terra, sui muri, sui pali e sui cippi in legno e cemento (vedi prime foto); vediamo una caserma dell’esercito spagnolo in cui si stanno esercitando i giovani militari sul percorso di guerra, non in assetto da combattimento ma in tuta ginnica; [16]incontreremo militari in esercitazione in un vecchio sito dell’esercito, nei boschi dell’Aragona, con tute per paesi caldi, tra cui alcune soldatesse.
Abbandonando la periferia di Jaca colpisce l’impostazione urbanistica caratterizzata da grandi e ben fatti condomini in mattone, con ampi spazi verdi circostanti e ciò in una regione, l’Aragona a bassa intensità abitativa. Entriamo nei vasti spazi della campagna aragonese coltivata a grano ed a erba medica per l’allevamento bovino e possiamo ammirare una prima antica basilica de la Victoria “para conmemorar la legendaria victoria sobra lo musulmanes” (a commemorazione della leggendaria vittoria sui musulmani) (vedi foto) . Il camino si snoda in un saliscendi tra colline e boschetti di roverella e secche radure di bosso, lavanda, cardi spinosi. Siamo accompagnati in cielo da stupendi esemplari di un rapace locale, che assomiglia molto all’aquila dei Pirenei, e chiamato dagli abitanti del luogo Milano, come pure dal canto delle cicale e dei grilli che allietano il cammino nella quiete agreste, creando un’atmosfera particolare. Un fiore che colpisce e che ci accompagna per tutto il camino è quello azzurro intenso della cicoria che è aperto e insegue il sole al mattino e che, mano a mano il sole s’innalza all’orizzonte, si richiude.
Vediamo, in aperta campagna, la Scuola di formazione agroalimentare, vicino a S. Cilia, dove ci fermiamo per mangiare qualcosa ed assaporiamo la gioia del primo pediluvio [17]alla fontana, nel parco giochi, dove c’è il monumento al Pellegrino in ferro (vedi foto). Carmen e Roberta vanno in avanscoperta a fare provviste e tornano con porzioni da dieta ipocalorica e mi raccontano della tienda del luogo (negozio di alimentari) che sembra un negozio del nostro anteguerra. Al che ritorno io e cerco di supplire con una scatola di tonno e sardine, non pensando che il tonno sarebbe diventato l’ingrediente principale e costante dell’insalata mista di cui ci ciberemo in prevalenza. Indosso una t-shirt azzurra, con il simbolo della Cooperazione trentina e nello zaino, tutti e tre, abbiamo la maglietta della Sat con il Rifugio Altissimo, che indosseremo per la foto, promessa agli amici,davanti alla Cattedrale di Burgos. Appena entro nel bar-negozio rurale vedo il gerente che, sapendoci italiani, sgrana gli occhi e mi chiede se è la maglia della nazionale. Mi commenta la partita e fa dei buoni apprezzamenti sul gioco dell’Italia e mi informa che nel processo dello scandalo del nostro calcio si parla di pesanti condanne con la retrocessione della Juve in serie B.
Dopo un riposino sull’erbetta dei giardini pubblici si riprende salendo a mezza montagna su un sentiero stretto[18] e nella valle ci accompagna il Rio Argon e la carretera principal per Pamplona. In una valletta incontriamo un’opera suggestiva, frutto del contributo di migliaia di pellegrini che, passando, hanno messo l’uno sull’altro i ciottoli levigati e di varie dimensioni del fiume Argon, che sembrano omini (chiamate le piramidi di pietra) e creano una certa atmosfera in un contesto solitario (vedi foto). Incontreremo in altre zone gli omini di pietra anche se non così belli ed imponenti.
Il nostro amico prof.Juan ci aveva pronosticato 2,5 ore di cammino per arrivare ad Arres, ma causa la stanchezza che incomincia a farsi sentire lo raggiungiamo alle 19,40. (vedi foto).E’ un castello-fortezza gotica, dove si conservano due belle torri del XV e XVI secolo, ed è ad un’altezza di 620 metri s.l.m. Contenti di aver portato a termine la prima tappa del nostro Camino. Fa un po’ freschetto. Veniamo accolti con calore dai pochi pellegrini presenti, circa 15 di cui la prevalenza sono Spagnoli provenienti dalle Canarie, due tedesche e dai volontari Eustacchio e Lucia, spagnoli, che gestiscono l’albergue. In quel momento telefona nostro figlio Fabrizio, che è in vacanza con la sua fidanzata Claudia all’isola d’Elba e ci fa molto piacere sapere che tutti stanno bene. Ci registriamo nell’elenco dei pellegrini per il pernotteranno, per la cena. Per tutto questo si fa un’offerta perché non si applicano prezzi prestabiliti. Facciamo la prima doccia[19] ed il bucato e ceniamo tutti assieme in una bella atmosfera di simpatia e di allegria, in modo semplice ma gustoso (insalata mista, zuppa di lenticchie con salsiccia e budino-flam-). Desideroso di assaggiare un bicchier di vino colgo l’occasione per offrire una bottiglia agli amici della mia tavolata o così fanno quelli dell’altra. Dopo cena i volontari spagnoli ci invitano ad ammirare sulla collina vicina la “puesta del sol” (tramonto) che ci offre anche due splendidi arcobaleni, con una foto ricordo. Poi ci accompagnano all’antica cappella del borgo, del XIII^ secolo, dedicata a S.Agata, ed a noi viene in mente quella di S.Agata a Corniano, in cui il 5 febbraio giorno di S.Agata, il raggio del sole nascente penetra per tutta la lunghezza la navata e si può ammirare dal giardino antistante. Troveremo un fenomeno identico nella bella chiesa di S. Juan de Ortega. Ascoltiamo alcune letture Sacre tra cui il Qoelet, che a me piace tanto, la preghiera del Pellegrino e recitiamo, tenendoci per mano e formando un ampio cerchio tale da contenere tutti i banchi della chiesetta, il Padre Nostro, ognuno nella propria lingua. Sono i momenti “forti” del Camino che ti aiutano a riflettere su molte cose ed a provare le forti emozioni spirituali che aiutano il Camino della vita.
I posti nelle camerette sono insufficienti e pertanto sistemiamo i materassi nella saletta da pranzo e sul soppalco, dopodiché piombiamo nel sonno più profondo fino verso le sei e trenta del mattino seguente, 6 luglio.

Giovedì 6 luglio tratto Arres-Artieda.

Si fa colazione quando una buona parte dei pellegrini è già partita; sistemiamo i materassi e si riparte verso le 8 dopo aver ringraziato calorosamente, anche con una dedica particolare sul libro del Pellegrino, Lucia ed Eustacchio per la squisita gentilezza ed il calore umano e spirituale che ci hanno donato. Ci immergiamo quindi nella distesa campagna aragonese, ancora coperta di rugiada. Lo sguardo si perde nei grandi quadri di erba medica e specialmente di frumento(vedi foto). Incontriamo allevamenti di bestiame e raramente qualche altro pellegrino. L’azione millenaria degli agenti atmosferici e la composizione del terreno ci presentano delle colline che sembrano enormi colate di cemento (vedi foto).
La fatica si fa sentire più di ieri, a me fanno male le spalle per il peso dello zaino, mentre le “ragazze” sono pimpanti. E poi parlano di sesso forte! Il programma è di arrivare ad Artieda dopo 18 km circa.[20] Il sole picchia forte ma c’è una bella brezza e verso la fine del percorso ci imbattiamo in una sorgente, la fuente di San Martin, dove facciamo un pediluvio stupendo in un’acqua freschissima che risolleva lo spirito ed il fisico(vedi foto). Verso le 14,30 arriviamo ad Artieda de Argon, al cui ingresso stà un cartello che precisa:” Artieda de Argon-hermanado (gemellato) con EZLM-municipo autonomo zapatista-Emiliano Zapata”. Dalla stampa locale, dai manifesti e dalle foto desumiamo che in questi piccoli centri, attraversati dal Camino in Aragona, (contano qualche decina di abitanti, con difficoltà ad avere i “normali” servizi sociali a disposizione) la componente zapatista è molto forte (vedi, più oltre,Embalse de Yesa). L’albergue del peregrino è gestito da Rachele, una ragazza simpatica, con l’aiuto della zia, del cugino Raul e dell’amica Pilar che, pur giovanissima, ha un bellissimo bambino. Ottima la comida a base di verdura fresca che ci viene servita con uno speciale pinzimonio e salsetta. Dopodiché riposo ed inizio redazione del diario del Camino dei primi 2 giorni (vedi foto). Mi vien voglia di fare un giretto nel piccolo borgo, dove alle 19 non gira un’anima viva e chiedo, all’unico signore che incontro, se c’è un bar. Mi indica “el hogar social” -la nostra casa sociale- con bar che svolge la funzione di centro di aggregazione ed è gestito da Rachele e dalle stesse persone che gestiscono l’albergue del peregrino. Quando mi vedono mi fanno festa; sono assieme ad un gruppo di ragazzi che sapendomi italiano, con la maglietta azzurra, mi dicono con simpatia che l’Italia diventerà Campione del mondo e mi bombardano di domande sul calcio italiano, mettendomi in imbarazzo perché non sono molto addentro nelle vicende calcistiche. Cerco di ridimensionare l’ottimismo dei giovani amici dicendo che Zidane & C. sono temibili, ma loro insistono dicendomi che ormai Zidane è vecchio. Rimangono meravigliati quando capiscono, che, pur nutrendo simpatie giovanili per la Juventus, condivido il giudizio che si va profilando sulla squalifica in serie B, perché,dico, forse questo può aiutare a moralizzare il calcio e ,soggiungo, non solo quello italiano. I miei sforzi per capire qualcosa di più sulla situazione socio economica del luogo portano a capire che su 37 abitanti i giovani sono pochi ed il borgo vive sulla coltivazione del frumento e sull’allevamento dei maiali. C’è un grande televisore acceso e noto che sta trasmettendo la tv algerina con uno saharawi[21] che la sta guardando.[22] Mi offrono i semi di girasole ed una birra, che bevo volentieri in compagnia.
Rachele, Raul e Pilar mi dicono che tra poco abbandoneranno la gestione dell’albergue, che è di proprietà comunale, perché il lavoro è troppo e continuo e non permette riposi e ferie. Si stanno organizzando per ottenere in appalto il trasporto e la somministrazione dei pasti agli anziani nella Comarca della Jacetania, la zona dell’Aragona, provincia di Huesca, che stiamo attraversando e che si spinge fino a Sangùesa. Torno all’albergue e nel frattempo Carmen e Roberta sono riuscite ad utilizzare il telefono pubblico ed a comunicare con i nostri cari in Italia perché con il cellulare abbiamo problemi. Alle 20 aprono la Chiesa di San Martin, del XII secolo, in stile romanico che visitiamo secondo lo Spirito di Santiago[23].
Ceniamo tutti insieme e poi a nanna nei classici letti a castello, in cui io occupo sempre il piano superiore.

Venerdì 7 luglio Artieda-Undues de Lerda.

Venerdì 7 luglio si riparte da Artieda (620metri) alle 7, con la colazione al sacco. Io soffro un po’ per la mancanza del cappuccino. Nonostante non sia un “caffettaro”, purtuttavia, durante il Camino, sento la necessità di partire con un buon caffè al mattino! L’aria è frizzante tanto che si sta bene con pantaloni lunghi e felpa[24].Il sole sta nascendo e prendiamo la scorciatoia indicataci la sera prima da Rachele e ci troviamo in aperta campagna tra le distese dorate di profumato frumento[25]. Facciamo colazione all’ombra di una bella quercia e seduti su una fila di paglia lasciata da una mietitrice che non aveva incorporata la trebbiatrice[26]. E’ tutto buono, non mi entusiasma il latte-cioccolato della Nestlè. Percorriamo un lungo tratto di sentiero sotto due file di piante di bosso, leccio, acero, biancospino che lo costeggiano e formano una volta ombrosa che emana una piacevole frescura e creano un’atmosfera suggestiva nella calura aragonese, con il vischio sposato al biancospino, il pungitopo, l’origano selvatico con il suo straordinario profumo battuto solo dall’aglio selvatico, che incontreremo tra qualche giorno nella Rioja, tanti tipi di cardi. Abbandoniamo la Comarca di Jacetania ed entriamo in quella di Cinco Villas (vedi foto), sempre in Aragona. Incontriamo una vecchia chiesa abbandonata che per evitarne l’ulteriore degrado è ricoperta da una tettoia robusta (vedi foto). Incontriamo i primi ulivi.
Arriviamo a Ruesta (550m.) un antico borgo medioevale, abbandonato 50 anni fa; ha un tempio parrocchiale dedicato a Ntra.Sra. de la Asunciòn, costruito su uno spuntone imprendibile con accanto due grandi torrioni diseguali di base quadrangolare. Entrando si ha una sensazione di desolazione e di abbandono, anche se nella parte più bassa del borgo, la CGT, la Confederacion general del trabajo spagnola ha iniziato un’opera di ristrutturazione e di rilancio del borgo (vedi foto).Hanno costruito un nuovo albergue de peregrinos (nel quale si ferma una giovane pellegrina tedesca, che avevamo incontrato ad Arres e che ha i piedi messi male) con annesso bar e tienda (negozio di alimentari) in cui gustiamo un buon cappuccino e facciamo provviste per il pranzo. Il tutto è gestito dai volontari del sindacato tra cui Sara che ci serve alla tienda.
Riprendiamo sul sentiero che scende al fiume, attraversato da un bel ponte in legno fatto apposta per il Camino e che, risalendo, attraversa boschi di pino, frutto di recenti rimboschimenti, dove c’è l’ennesima chiesa abbandonata (vedi foto). Dai varchi tra le piante ci appare l’embalse de Yesa (vedi foto), un’enorme lago artificiale realizzato ancora prima della scomparsa di Franco che anche recentemente ha scatenato dure proteste, ancora ben visibili sui muri, da parte dei contadini di Artieda, per la decisione delle autorità di alzare il suo livello. E’ un invaso che serve per la produzione di energia elettrica e per alimentare i canali di irrigazione, non solo dell’Aragona ma anche della Navarra. Raggiungiamo, dopo aver superato un dislivello di 200 metri, due coppie di pellegrini ungheresi con i quali scambiamo qualche parola di inglese e che cortesemente ci offrono un po’ d’acqua.[27] Allo scollinamento noi decidiamo di fermarci a mangiare sotto due bei pini, accompagnati da una brezza fresca e dal canto delle cicale.
Maestra Roberta mi “concede” un riposino fino alle 15,30 . Si riprende su un sentiero leggermente in discesa, dove la vegetazione è rada con pochi alberi. Dopo alcuni chilometri ci fermiamo a riposare sotto un leccio sempre allietati dalla piacevole brezza. In questi momenti di fatica (basta osservare le nostre facce dalla foto) comprendiamo meglio il contesto della predicazione di nostro Signore in terra di Palestina: quando sedeva all’ombra di un sicomoro a predicare e si comprende meglio del perché le Sacre scritture parlano spesso di pulizia, degli unguenti e dei profumi per i piedi, della lavanda dei piedi, della Veronica che asciugava i piedi di Gesù con i suoi lunghi capelli. L’unica presenza di lavoro nei campi la incontriamo prima di entrare a Undues de Lerda (vedi foto), dove una grande mietitrebbia John Deere sta mietendo in una grande estensione di frumento; ci avviciniamo per fare una foto a fine corsa,quando interrompe la mietitura e si avvicina al rimorchio di supporto per scaricare il grano appena separato dalle spighe.
Con il caldo che fa e con il polverone che la mietitrebbia provoca ci domandiamo come fa a resistere l’operatore, che però può contare su una cabina climatizzata per poter lavorare con un certo confort.
Entrando a Undues osserviamo un fenomeno comune a tutti i borghi aragonesi finora attraversati (Arrès, Artieda, Ruesta ) tutti semi abbandonati, che sono dei cantieri aperti con molte case vecchie, semidistrutte ma in ristrutturazione. Undues (630 m.) ha 37 abitanti e non c’è nessuno in giro; è un borgo lindo, ben tenuto e curato. E’ l’ultimo paese aragonese per il quale passa il Camino, prima di entrare in Navarra. Come tutti i borghi presenta le sue inconfondibili caratteristiche medioevali nate intorno alla iglesia de San Martin del XVI^ secolo, al cui interno si conserva una fonte battesimale del XIII^ secolo. Non ci sono negozi, c’è solo l’hogar social che funge da punto di riferimento per i peregrinos, che si trova nella casa dell’Ayuntamiento[28] (il municipio)(vedi foto). La disposizione logistica è molto buona, in camere tutte di legno, con servizi comuni, come in tutti gli albergues. Non sono molto tranquillo per il rischio incendio perché siamo al terzo piano e nonostante la presenza degli estintori le scale sono belle, ma di legno. Come di abitudine controllo che ci sia qualche via di fuga sull’esterno, ma noto che anche i canali di scolo…. sono molto distanti. Non dico niente a Carmen e Roberta per non turbarle inutilmente e mi addormento confidando nella buona sorte.
Come nei borghi che abbiamo attraversato non c’è un prete stabile e si celebra la messa in giorni prefissati.
Ceniamo tutti assieme all’hogar social (siamo un decina di pellegrini) e poiché al mattino seguente l’hogar apre alle 10,30 chiediamo a Sara di prepararci qualcosa per la colazione. Durante la notte vedo nei campi qualche macchina agricola che sta lavorando al fresco.


Sabato 8 luglio Undués de Lerda-Monreal.

Alle 6,30 gli altri pellegrini, di cui fanno parte alcuni ungheresi che raggiungeremo in seguito, sono già partiti; facciamo colazione con quanto Sara ci ha preparato la sera prima, cui aggiungo pane e pecorino con un po’ di vino della sera prima. Alle 7 si riparte dopo aver fatto rifornimento di acqua alla fontana sulla piazzetta antistante l’albergue. Possiamo ammirare l’alba dietro i Pirenei (vedi foto); l’aria è fresca anche per l’altitudine (620m.). Lungo il sentiero ci sono molti fiori tra cui l’achillea gialla e il profumatissimo origano (vedi foto).
Quando il Camino torna nel fondovalle ed accompagna le distese di grano notiamo molte file di formiche che lo attraversano portando enormi, per le loro dimensioni, chicchi di grano dai campi (vedi foto) ai loro rifugi sotterranei. Sono momenti che mi portano indietro agli anni ’50, (vedi nota relativa) quando da noi esisteva ancora la coltura del frumento, prima di venir definitivamente soppiantata dalla ben più redditizia coltura della vite.
Ad un certo punto mi fa male il piede sinistro, poiché le mie scarpe leggere da trekking hanno la suola troppo morbida per i sassi del Camino (vedi nota relativa). Roberta mi consiglia di mettere, e cortesemente mi presta, un paio di calzini più grossi di quelli da me indossati e dopo poche decine di metri l’inconveniente sparisce. Come già detto in precedenza, la prossima volta userò le mie scarpe basse da montagna, con suola più rigida, senza badare al problema del caldo ai piedi, che ho constatato essere meno importante se non irrilevante.
Un bel cippo di pietra con la capasanta di Santiago ci indica che siamo nella Navarra(vedi foto). Oltre alle grandi coltivazioni di frumento qualcosa cambia; iniziano i campi di girasole[29], che sembrano visi che tutti assieme ci guardano, con sullo sfondo i parchi eolici. Nella periferia di Sanguesa (400 m) facciamo un pediluvio ristoratore e ci immergiamo fin sopra il ginocchio in una canaletta che porta l’acqua, molto fresca, ai molti orti e giardini. Sono pertinenze di molte belle casette, delimitate da muretti o recinzioni recenti, che sembrano seconde case (Pamplona dista circa 80 km) e che sono servite da canalette per l’irrigazione a scorrimento, mentre i campi di girasole sono dotati di girandole. Incontriamo anche il primo grande centro di raccolta del frumento ed a Sanguesa la prima Plaza de Toros; possiamo ammirare il campanile su cui nidificano le cicogne e la stupenda Iglesia de S.ta Maria (vedi foto), l’Ayuntamiento (vedi foto). C’è un albergue del peregrino ma è chiuso perché in ristrutturazione, segno evidente che, anche sul Camino, la programmazione dei lavori di manutenzione del patrimonio degli albergues, nei tempi morti, non è cosa facile da attuare.
Possiamo gustare un buon cappuccino e qualche pasticcino locale in una pasticceria del centro, dove vediamo i primi giornali locali che danno notizie sull’Encierro di Pamplona. Dai titoli dei giornali nazionali El Pais, El Mundo apprendiamo che è in corso da due giorni un’offensiva militare, chiamata “Pioggia d’estate” nel nord della striscia di Gaza, da parte delle truppe israeliane, per fermare il lancio di razzi da parte dei palestinesi e per liberare un caporale rapito dai miliziani palestinesi[30].Facciamo lo spesa per il pranzo, acquistiamo delle pile nuove per la digitale perché continuano a scaricarsi[31], attraversiamo il ponte sul rio Argon, che è anche emissario dell’invaso di Yesa e puntiamo su Liedena che dista soli 4 km. Fa un caldo infernale, sono le 13; in quel tratto il Camino è delimitato da una piccola corsia tracciata sull’asfalto che costeggia la carretera principal. Ai lati c’è una sottostazione di trasformazione da dove partono le linee dell’alta tensione e viene spontaneo fotografare i grandi elettrodotti con un parco eolico che è sulle colline sovrastanti. La temperatura, percepita come dicono oggi, è sui 40 gradi ma teniamo duro perché sulla destra ci sta accompagnando il rio Irati, affluente di destra dell’Aragon, finchè, poco prima di entrare nel borgo, scorgiamo una stradina che porta verso il fiume. E’ molto bello accamparci sulla sua riva, all’ombra, poter entrare in acqua e pranzare di fronte ad uno scenario stupendo: l’Irati che si allarga, rallenta, fa delle piccole cascate con in mezzo un’isoletta coperta di fiori multicolori. (vedi foto). In un ambiente simile non si può rinunciare ad un salutare riposino stesi sulle stuoie, all’ombra dei salici ed al canto delle cicale.
Si riprende dopo le 16 imboccando il parco Ongi Etorri del Perineo Navarro che inizialmente è una valle molto larga e bella, sovrastata da parchi eolici (vedi foto). Arriviamo al puente del diablo (vedi foto) distrutto durante la guerra franco-spagnola del 1812 da cui l’Irati forma un canyon spettacolare ma in cui non si muove un filo d’aria e si ha la sensazione di essere in una serra. (vedi foto).
Fortunatamente ad un certo punto c’è una fontana, (nel tratto aragonese sono rarissime); mettiamo la testa sotto il rubinetto e bagniamo il berretto ed i fazzoletti da testa perché il caldo è insopportabile e siamo in difficoltà a procedere. Bagnarmi in quel modo non mi era mai capitato dai tempi della mia gioventù, tanto più che eravamo sudati.
Diventerà una pratica usuale e necessaria anche nelle successive tappe per abbassare la temperatura corporea e specialmente quella della testa; il tutto senza beccare il ben che minimo raffreddore. Nella consapevolezza che è indispensabile bagnarci la testa e bere in continuazione riempiamo tutte le bottiglie di plastica che abbiamo con noi, nel timore di non trovare altre fontane essendo il fiume troppo lontano dal sentiero e difficilmente raggiungibile.
Fino a questo punto è il tratto indubbiamente più impegnativo del Camino.
Superate le gole dell’Irati ci si presenta una bella strada pianeggiante ed, inaspettatamente, un’altra fontana dove ci rinfreschiamo nuovamente con l’immancabile pediluvio. Incontriamo molte persone che vengono a piedi in senso inverso a noi. A poche centinaia di metri c’è un grande parcheggio e c’è l’entrata del parco che viene percorso in senso inverso al Camino da molte persone, perché è sabato. Notiamo anche qualche Sanfirmino che sta tornando dalla festa di Pamplona con la caratteristica divisa.
Arriviamo a Lumbier (460 m) molto stanchi e per arrivare a Izco, il prossimo centro con un albergue del peregrino, mancano ancora 14 km, dopo averne percorsi più di 21 con un caldo torrido.
Andiamo all’Ufficio turistico per chiedere se ci sono autobus per Monreal, ma è ormai tardi (sono le 19,30) e non troviamo più nulla. A Uxue, la gentile operatrice turistica, chiedo consiglio sul da farsi, tra cui l’opzione autostop, che, però mi viene bocciata in quanto ritenuta senza nessuna probabilità di riuscita, anche per il fatto che siamo in tre. Uxue si offre di darci un passaggio fino a Monreal, dovendo lei tornare a Pamplona, dopo le 20,30, alla chiusura dell’ufficio.
La ringrazio di cuore per la disponibilità, ci scambiamo i numeri dei cellulari e le faccio capire, con il mio spagnolo maccheronico, che tenteremo comunque l’autostop, avendone fatto un gran utilizzo specialmente in gioventù. Torno da Carmen e Roberta e ci incamminiamo sulla carretera per Puente la Reina-Pamplona. Dopo il ponte sul Rio Salazar, ci posizioniamo in modo strategico, poco prima di uno spazio, per invogliare gli automobilisti a fermarsi e confidiamo …nello …Spirito di Santiago … che dopo pochi minuti si materializza in un furgoncino che si ferma ed è guidato da Raphael, con occhialetti, capelli e barba rossi. Lo ringraziamo per il suo gesto e chiediamo se ci può portare verso Monreal. Chiediamo notizie sulla Navarra; ci parla delle 7 province Basche, si dichiara nazionalista basco del partito socialista nazionalista basco, frutto delle tante scissioni di Batasuna, il partito nazionalista basco braccio politico dell’Eta. Ci dice che l’indipendenza delle province basche è un processo che deve consolidarsi con il metodo democratico, isolando chi ricorre alla violenza. Fa qualche battuta spiritosa su Aznar, “amico del vostro Berlusconi”, ci parla del Camino e ci dice che ha capito subito che eravamo pellegrini bisognosi di aiuto. Ci porta a destinazione e ci lasciamo con simpatia.
A Monreal (555 m) andiamo subito all’albergue del peregrino che è vicino alla Chiesa, che è chiusa. E’ del Comune ed è stato recentemente ristrutturato; ha una camerata di una quindicina di letti a castello che sono occupati solo in parte. Ci registriamo dalle ragazze volontarie che sbrigano l’adempimento, facciamo la doccia e il bucato e reincontriamo l’amico Juan con l’allieva Emanuela, tedesca ed altri amici dell’albergue di Arrés. Per la cena optiamo per un ristorante che abbiamo visto quando siamo arrivati. Ordiniamo la solita insalata mista e poi delle bistecche di manzo. La sala del ristorante si riempie di S. Firmini che tornano da Pamplona, mentre
si sta giocando la semifinale Germania-Portogallo per il 3^e 4^ posto che si concluderà con la vittoria della Germania. Indosso la maglietta azzurra della Cooperazione trentina che attira l’attenzione di qualche spagnolo con le relative battute.
Dormiamo di gusto perché la camerata è arieggiata ed al mattino partiamo da buoni ultimi.

Domenica 9 luglio Monreal- Puente la Reina.

Oggi è domenica e programmiamo un tratto breve per recuperare un po’ le forze. Decidiamo di arrivare solo Tiebas (575m) che dista circa 15 km. Iniziamo sul fresco su un sentiero pianeggiante per lunghi tratti coperto da lecci, aceri ed un ricco sottobosco; siamo ancora un po’ addormentati e ciò si vede molto bene dalla foto con le bocche di Carmen. Attraversiamo alcuni paesini sul pendio della montagna, dove incontriamo qualche gregge [32](vedi foto) ed i piccoli cimiteri che sono molto trascurati. A Guerendian troviamo una bella fontana dove ci rifocilliamo e ci ricongiungiamo con gli amici ungheresi, Juan e l’allieva tedesca, cui si è aggiunto un altro ragazzo tedesco. Facciamo una foto tutti assieme su un manto di stupenda lavanda (vedi foto) e ammiriamo alcuni lavori in pietra che si rifanno al Camino e che si trovano proprio sul suo percorso(vedi foto). Nella pianura, sulla nostra destra, ci accompagna il nuovo Canal de Navarra, per l’irrigazione delle pianure della regione che è stato ultimato l’anno scorso. Arriviamo a Tiebas, dove ci sono le rovine dell’antico castello, nella convinzione di fermarci, ma non troviamo aperto né l’albergue, né una tienda, né una panaderia (panetteria). Ci viene indicato un bar della piscina locale, dove non c’è cliente alcuno ma possiamo avere dal giovane barista un’insalata mista con uova e patate, il tutto con del buon pane fresco. Dopodiché ci addormentiamo (Carmen ed io, mentre Roberta si dedica alla lettura) sotto le piante della piscina. Ripartiamo e puntiamo su Obanos costeggiando per un bel tratto la carretera principal. La temperatura è elevatissima causa l’assenza di aria e ad un certo punto mi viene spontaneo sporgere il braccio per tentare l’autostop, mentre continuiamo a camminare.
Uno degli argomenti di riflessione nel corso del Camino è stato il fenomeno dell’encierro di Pamplona, da noi visto, pur con tutte la valutazioni socio-ambientali improntate alla cautela ed al rispetto delle altrui tradizioni, come una manifestazione di devozione un po’ datata e sostanzialmente pagana e comunque pericolosa per la vita umana. In sostanza un giudizio negativo sia sulla manifestazione sia sulle persone che vi partecipano. Con i nostri ragionamenti avevamo toccato anche il tema del pregiudizio e ricordavamo spesso che nel decalogo del pellegrino, il punto 5) recita: “Inicia el camino sin ningun tipo de prejuicios” Inizia il Cammino senza alcun tipo di pregiudizio.
Io ricordavo anche che nelle recenti campagne elettorali per le Primarie, per le Politiche e per il Referendum sulle modifiche costituzionali invitavo gli amici dell’Unione e del Comitato Salviamo la Costituzione a relazionarsi con gli amici, parenti, cittadini con la mente libera da ogni pregiudizio, pensando che ognuno è potenzialmente un nostro alleato. Quando lungo il Camino ci trovavamo in momenti difficili, come quello che stavamo vivendo, sorridevamo al pensiero che proprio uno di questi Sanfirmini, considerati da noi un po’ pazzerelli, potesse coltivare dei sentimenti da buon Samaritano.
Come in effetti, inopinatamente, accade; si ferma un furgone Ducato con su una famigliola, vestita da Sanfirmini, che si sta, per l’appunto, recando a Pamplona, ma che giudicano l’encierro estremamente pericoloso. Ci danno un breve passaggio, perché la strada per Obanos devia sulla destra, rispetto alla loro direttrice per Pamplona. Ma quello che accade di lì a qualche minuto ha del miracolistico. Stiamo camminando sulla sinistra dello stradone; un’automobile, che sta procedendo in senso inverso, si gira su una piazzola, scende un giovane con la divisa di S. Firmino e con il fazzoletto rosso della Navarra al collo, con una bottiglia di acqua fresca in mano, si avvicina a noi e ce la porge!
Ci commuoviamo profondamente e siamo colpiti per il gesto; ringraziamo con tutto il nostro cuore il giovane e restiamo stupiti da quanto ci sta raccontando: procedeva nella nostra direzione, ci ha visti, è andato a casa sua nelle vicinanze a portare la famiglia, ha preso una bottiglia di acqua fresca dal frigo e ci è venuto incontro! Ci rendiamo conto, ancora una volta, quanto sia forte e del tutto insondabile ed originale lo Spirito di Santiago!
Gli diciamo che desideriamo visitare il monastero di Santa Maria de Eunate e lui, gentilmente, ci porta proprio sulla porta e ci dice che rappresenta un importante punto di concentrazione della energia cosmica. Il cammino francese e’ infatti conosciuto anche come il cammino delle stelle e molti affermano che la via unisce punti di grande energia; per questo il cammino francese si dice essere magico e legato alle radici della religione di Cristo, in particolare alla Cabala ebraica. Il monastero è di forma ottogonale del XII secolo, dove ammiriamo gli archi portanti che chiudono al centro della navata. Nell’abside c’è la statua di Maria, La Real, con la corona; sulle ginocchia ha Gesù incoronato e con in mano un mazzo di spighe di frumento, il prodotto del luogo. Facciamo i tre giri esterni come suggerito dalla didascalia, nel nome delle tre Persone della Trinità. C’è anche una famigliola reduce dalla festa di San Firmino, tra cui il piccolino, in perfetta divisa, con il fazzoletto della Navarra al collo e la fascia penzolante (vedi foto).
Dopo aver respirato la spiritualità che trasmette il monastero di Santa Maria de Eunate, custodito per secoli dall’Ordine dei Templari, affrontiamo con determinazione gli ultimi 4 chilometri che ci separano da Obanos, sollevati dal fatto che il cielo è coperto di nubi e tira un bel venticello.
Incontriamo un cippo con scritture che sembrano i simboli usati dai primi cristiani ?(vedi foto) e un grande deposito di grano costituito da 12 enormi silos moderni, segno che anche nella Navarra la coltura del grano è ancora prevalente nonostante gli sforzi di conversione in coltivazioni a più alto valore aggiunto, in campi di girasole ed in viti con i moderni impianti di irrigazione a pioggia lenta, grazie all’acqua del canale di Navarra. Arriviamo a Obanos che sono ormai le 19,30 ; andiamo all’albergue ma, non trovando la responsabile dell’accettazione, decidiamo di puntare su Puente la Reina che dista soli 2,5 chilometri, nella speranza di trovare un televisore perché alle 20 inizia la finalissima Italia-Francia.
Camminiamo speditamente e nel mentre stiamo entrando in città ci viene incontro un anziano signore che ci informa che l’albergue centrale è esaurito e che quindi dobbiamo fermarci all’hotel del peregrino che abbiamo appena passato. Torniamo, ci registriamo e prendiamo posto nella zona dell’hotel riservata ai pellegrini, che è sotto il livello del terreno e che da un sommario controllo, non mi sembra dotata di uscite di sicurezza. Accanto all’hotel avevo notato un ristorante e naturalmente, dovendo cenare, chiediamo informazioni; apre però alle 21,30. C’è però la tv accesa sulla partita e la Francia ha già segnato con Zidane su rigore. Tentiamo di andare subito verso il centro per trovare un locale che apra prima, ma invano e torniamo quindi velocemente al primo ristorante che scopriamo essere anche una sidreria –l’Ilzarbe-, di cui è contitolare un cordiale milanese, Paolo Broggini, trapiantatosi a Burgos 18 anni fa. Con la figlioletta sta soffrendo in diretta la partita; indossano la maglia azzurra della nazionale. Quando mi vede entrare, scambiando la maglietta azzurra della Cooperazione trentina per quella della nazionale, mi parla subito in italiano e viviamo così, in diretta, la partita assieme ad un gruppo di spagnoli. Cortesmente si mette a disposizione per servirci la cena prima dell’orario stabilito; faccio la spola tra la sala da pranzo e la sala tv. Dopo pochi minuti Marco Matterazzi segna di testa il pareggio e ci risolleviamo il morale coltivando la speranza di farcela. Obbiettivamente mi sembra che l’Italia stia reggendo bene il confronto e mi sembra una buona partita. Ad un certo punto siamo al 59% di possesso palla per l’Italia rispetto al 41% dell’Italia, che è anche un indice positivo. Sentendo poi gli specialisti di calcio, tra cui i coscritti Fausto Caproni e Brunello Morelli, è stata una partita molto migliore quella giocata dall’Italia contro la Germania, che però non avevo potuto vedere la sera del 5 a Jaca.Viviamo la finalissima dei mondiali in modo particolare perché lontani dal nostro Paese e riesco a capire meglio come la vive uno che è all’estero da molti anni. Il signor Paolo gestisce la sidreria, che è un ristorante tipico che offre sidro di mele acide e birra a volontà ai clienti a € 26, con le botti al centro del locale, dalle cui le spine fuoriesce uno zampillo della bevanda che se non intercettata dal boccale va a finire in un botticello di legno sul pavimento. Ci propone di assaggiare il sidro, che non beviamo da molti anni, e, dopo la tradizionale insalata mista, mi prepara una specie di fiorentina alla griglia, che non assaporavo da anni e che mi solleva il fisico.
Intanto si va ai supplementari dove mi sembra di notare una netta supremazia della Francia, con il nostro attacco un po’ confuso ed inconcludente, a fronte di una nostra difesa inespugnabile. Arriviamo al 2^ tempo dei supplementari ed assistiamo allo sconcertante gesto di Zidane, la testata in pieno petto a Matterazzi che cade sul campo. C’è una grande suspence; l’arbitro si consulta con il guardalinee, la regia dà il replay del fattaccio che fa il giro del mondo, l’arbitro estrae il cartellino rosso e Zidane deve lasciare il campo. E’ un momento triste, perché era la sua ultima partita da professionista; l’ho sempre apprezzato per il suo stile e per le sue origini algerine, per quell’affetto che nutro per l’Algeria[33] dopo la mia visita in gioventù (vedi nota relativa). Ho sempre visto Zidane come simbolo importante di un’integrazione che, come si è visto dagli incendi e devastazioni di quest’inverno nella banlieue parigina e delle grandi città francesi, fa fatica a procedere, anche con la seconda generazione. Da sportivo avrei preferito che Zidane avesse potuto giocare fino alla fine ma le regole, anche nello sport, devono essere rispettate da tutti ed un campione deve saper essere all’altezza delle situazioni e proporzionare le sue reazioni agli eventi. Agli insulti di Matterazzi doveva saper reagire in modo adeguato e questo suo momento di debolezza psicologica è stato fatale per la tenuta fisio-psichica dei nostri cugini d’Oltralpe. Mi fa amarezza ed un profondo senso di tristezza vedere l’abbandono del campo di Zidane, Zizou, quasi segno del venire meno di quel simbolo di cui parlavo prima e che per me rappresentava qualcosa di più e di diverso di un grande campione. Non ho poi condiviso la decisione della commissione disciplinare FIFA che ha comminato solo 3 giornate di squalifica a Zidane e 2 a Matterazzi, non rinvenendo nella sentenza una oggettiva proporzionalità tra i due comportamenti. Ma si sa la giustizia non è di questo mondo, anche quella sportiva internazionale! Tornando agli ultimi minuti di gioco, la tensione e l’emozione sono fortissime e si arriva ai rigori. Trezeguet colpisce la traversa; Grosso calcia il rigore decisivo e fa gol. Sono le 22,40; lo speaker della tv italiana, che sentirò di lì a poco, esplode in un “Il cielo è azzurro sopra Berlino. Siamo campioni del mondo”.[34] Lo siamo per la 4^ volta dopo le finali del ’34,’38,’82. Con Paolo Broggini ci abbracciamo gioiosamente come bambini, accomunando la figlioletta e subito offre a tutti i clienti lo spumante. Saluto e ringrazio Paolo per la irripetibile e fortunata serata e corro all’albergue per annunciare a Carmen e Roberta che siamo Campioni del Mondo. Dopodiché, fatti i soliti trattamenti ai piedi, ci addormentiamo nonostante dei pellegrini spagnoli, in una saletta accanto, tengano un volume di voce alto; è la prima e l’unica volta che succede nel corso del Camino.

Lunedì 10 luglio Puente la Reina-Estella.

Puente la Reina (345 m) si trova alla congiunzione dei due tratti del Camino frances, quello che parte da Saint Jean Pied de Port e quello aragonese, quello percorso da noi, che parte da Somport. E’ un perfetto esempio di un paese nato per il Camino con un’unica e rettilinea via (Calle Mayor) che accompagna il pellegrino nell’entrata e nell’uscita dal borgo. Ci sono tre cose belle da vedere: 1) lo stupendo ponte (vedi foto) fatto costruire dalla regina Munia, sposa di Pancho III di Navarra, per facilitare il transito dei pellegrini sul rio Arga, ponte da cui ha preso il nome il borgo e che attraversiamo nell’uscire da Puente la Reina; 2) la Chiesa del Crocifisso e 3) la chiesa di Santiago che abbiamo visto al mattino, quando avevo le pile scariche della digitale e non ho potuto fotografarla.
Al mattino possiamo fare una buona colazione al bar dell’hotel con cappuccino e brioches con la crema e la barista ci invita a guardare l’encierro di Pamplona per tv. Abbiamo fretta e quindi partiamo, ringraziando dell’invito, nella convinzione che si tratti di una manifestazione registrata. Veniamo poi a scoprire che la tradizionale corsa dei tori per le vie di Pamplona si svolge tutti i giorni alle 8 in punto, dal 7, giorno di S.Firmin, al 14 luglio, ed assisteremo nei giorni successivi a qualche diretta.
Dopo aver attraversato la carretera principal il Camino scorre lungo il fondovalle in terra battuta. Dopo 4,5 chilometri giungiamo nella piazza di Maneru (445 m.) dove c’è una stupenda lavadora (una antica fontana con grandi vasche per le lavandaie di un tempo), in cui facciamo un bel bagno ai piedi. Ci raggiungono anche due pellegrine spagnole che ci chiedono il risultato di Italia-Francia al che mostro la maglietta azzurra raccontando come è andata e mi manifestano la loro contentezza. Una delle due ci dice di essere un’ammiratrice di Zidane e quindi le racconto l’accaduto; mi fa capire che non approva questo comportamento, ancorché provocato, ma mi dice che uno come Zidane bisogna perdonarlo ed io rispondo-si licet parva componére magnis-che nello Spirito di Santiago ci sta anche il perdono a Zidane. Quando lungo il Camino incontrerò questa ragazza la chiamerò sempre Zidane-Zizou e lei era molto contenta. Dopo altri 3 chilometri arriviamo a Cirauqui, un piccolo borgo arroccato su una collinetta (vedi foto) con due chiese del XIII^ secolo, di San Romàn e di Santa Caterina e l’antica strada romana, con il ponte ancora pressoché intatto, che attraversiamo, dopo aver fatto le foto. Dall’antichità romana alla modernità perché il Camino, subito dopo, passa su un moderno ponte dell’autostrada Pamplona –Logrono. Dopo pochi chilometri siamo a Lorca, dove ci fermiamo nella piazza in cui c’è una bella fontana ed alcuni alberi che ci riparano dal sole cocente e un campo per il gioco della pelota, molto popolare nelle regioni basche (vedi foto). Il termometro della piazza, messo in un punto su cui da poco batte il sole, segna 47^. Ci immergiamo più volte nella fontana e mettiamo la testa sotto il flusso d’acqua, per abbassare la temperatura corporea. Poiché lungo il percorso non abbiamo trovato né tiendas o panaderie per acquistare pane e companatico, su consiglio dell’amico Juan e Emanuela, che nel frattempo ci hanno raggiunti, pranziamo in un grazioso e nuovissimo albergue “alla Botte “ gestito da persone del luogo, che hanno deciso di investire sul Camino proponendo delle vere e proprie stanze di albergo a tre stelle e menù appetitosi. Prendiamo la ormai familiare insalata mista ma accompagnata dal “bacalao” cucinato in modo squisito, secondo la tradizione locale. Al termine del pranzo la gentile titolare ci propone di vistare le nuove camere ricavate dalla vecchia costruzione preesistente. Riposiamo all’ombra delle piante della piazza e nel tardo pomeriggio riprendiamo, con molta fatica per la gran calura. “Sopravviviamo” bagnandoci continuamente la testa e tutto il corpo con l’acqua che ci portiamo nelle bottiglie che riempiamo nei fiumi o nelle rarissime fontane che incontriamo e che diventano quasi bollenti durante il cammino. Fa senz’altro più caldo di ieri tanto che le tv del giorno dopo parlano di temperature superiori ai 40 gradi, con alcuni morti per il caldo eccessivo e annunciano che la Spagna ha toccato ieri il record storico nei consumi energetici.
Giungiamo così a Villatuerta, davanti alla chiesa parrocchiale de la Asunciòn del XIV^ secolo e con il campanile del XIII^, che però è chiusa.[35]
Nella sosta uno scambio di impressioni con due ragazzi slovacchi ed un pellegrino della Florida, che incontreremo nei giorni successivi. Nel tardo pomeriggio siamo ancora sui sentieri, nella campagna assolata, alla ricerca di qualche rara pianta che ci dia un po’ di ombra e di qualche sorgente d’acqua per fare rifornimento e bagnarci.
Troviamo anche un cippo che ricorda “la tragica morte avvenuta il 2 giugno 2002 alle 16 di una pellegrina canadese, la cui dedica così chiude:” preghiamo Dio perché tu possa camminare a lungo sopra le distese di campi dorati”. In effetti tutt’intorno ci sono le sterminate distese di biondo frumento. Quello che mi colpisce di più sono gli anfibi lasciati a ricordo della pellegrina, vicino alla sua lapide, e ci vengono in mente i cimiteri che di quando in quando si vedono e che nei secoli del 2^ millennio sono serviti per dare riposo eterno alle spoglie di molti pellegrini che non avevano certo i supporti logistici e sanitari di cui possiamo disporre al giorno d’oggi. Una confidenza; da quel momento ci siamo informati per conoscere il numero di emergenza sanitaria S.O.S che in Spagna è il 112.
Sfiniti, poco prima delle 21 entriamo a Estella e proviamo grande sollievo percorrere le rive del rio Ega, immerse nel verde e nella frescura del fiume. Sembra di essere arrivati in una provvidenziale oasi nel deserto. Arriviamo all’albergue ANFAS di Estella (450 m)[36], che scegliamo di proposito, tra quelli disponibili, perché gestito dall’ANFAS spagnola[37] per l’inserimento lavorativo di ragazzi con difficoltà mentali. Sbrigate le pratiche di accreditamento con la credencial una corsa alla tenda più vicina per fare provviste perché l’albergue chiude alle 22,30. Facciamo la doccia e poi ceniamo nella linda cucina. Tra gli altri servizi c’è la possibilità dell’utilizzo gratuito di Internet, che però non utilizzerò per tutto il Camino in quanto, tra l’altro, non ricordo la lunga password per il collegamento con la mia posta elettronica. C’è, purtroppo, l’inconveniente che le finestre del grande camerone-dormitorio sono tutte chiuse e nonostante i miei tentativi non si aprono; inoltre molti pellegrini lasciano gli scarponi in dormitorio e nonostante la mia segnalazione alla responsabile, nessuno interviene…….con le conseguenze facilmente immaginabili…….Anche questo rientra nello Spirito di Santiago!! La stanchezza, unita al calore ed ai profumi aromatici …dell’effetto stalla… non fanno dormire Carmen e Roberta. Esco un po’ in cucina a fare compagnia a Juan che sta cucinando i maccheroni …alla spagnola… e stà recitando alcune poesie di autori spagnoli a Emanuela. Scherzando un po’ li invito ad andare a letto (è quasi mezzanotte) ed a lasciar stare la poesia…… Quando mi corico sul letto a castello, in genere sono in quello sopra, cado in un sonno profondo fino al mattino.
Caso mai successo durante il Camino, sul letto troviamo una scheda da compilare sul grado di soddisfazione del servizio e ci sembra quindi logico e responsabile rilevare le due gravi carenze riscontrate: la mancanza di un’adeguata ventilazione nel dormitorio ed un divieto esplicito di depositare le scarpe da viaggio all’interno della camerata.

Martedì 11 luglio Estella-Los Arcos.



Ci alziamo già stanchi e decidiamo di impostare la giornata con un po’ di riposo al pomeriggio. Facciamo una signora colazione, con calma, alla “pasticceria, panaderia “ in cui la sera prima abbiamo fatto provviste per la cena. La tv di Navarra ripropone il filmato dell’encierro di ieri e, puntualmente, in diretta, alle 8 mostra le immagini di quello di oggi. Come sempre mi domando come facciano i giovani “sanfirmini”che cadono davanti ai tori in corsa a non venire sventrati dagli zoccoli …..è probabilmente un miracolo di San Firmino! Mi sembra, addirittura, di vedere i tori che cercano di scansare i “malcapitati” a terra.!!! L’encierro è comunque un fenomeno di “religiosità” mista a delirio collettivo che mi piacerebbe capire meglio nei suoi risvolti socio-psicologici.
La temperatura è più fresca di ieri; in giro c’è stato qualche temporale che ha un po’ rinfrescato l’aria. Facciamo la foto alla chiesa di S.Pedro del la Rùa, dopodiché ho problemi con le pile che trovo in un negozio di alimentari. Lamento, con il negoziante, che mi si scaricano di frequente e lui, di rimando, mi assicura che le sue dureranno fino a Santiago!! Non sarà così… Nell’uscire da Estella passiamo davanti ad un capitello con tre facciate in ognuna delle quali sono riportate le ultime parole di Nostro Signore sulla Croce. Purtroppo per i soliti problemi di batteria riesco a fotografarne solo uno.
Puntiamo sul monastero di Irache (495 m), che è a circa 3 chilometri, dedicato a Santa Maria la Real, che è grandioso, soprattutto la chiesa di fine XII^ secolo. E’il più antico degli hospitales per i pellegrini in Navarra, l’unico al mondo a disporre di un rubinetto dal quale sgorga del buon vino invece di acqua. E’ la Fuente de Irache-Bodegas Irache dal 1891, con la raccomandazione, bene in evidenza: “ A beber sin abusar te invitamos con agrado, para poderlo llevar el vino ha da ser comprado”. “Con piacere ti invitiamo a bere con prudenza, per poterlo portare via devi pagarlo”.
Di fronte alla fonte è installata una web cam che consente tramite il sito www.irache.com di vedere i pellegrini che assaggiano il vino. C’è una ragazza ungherese che, via cellulare, saluta gli amici in Ungheria che la stanno osservando via Internet; con lei ci sono i due ragazzi slovacchi che avevamo incontrato a Villatuerta. Parliamo un po’ della scissione della Cecoslovacchia tra Repubblica Ceca con capitale Praga e Repubblica Slovacca con capitale Bratislava e ricordo loro che prima del 1918 le nostre Regioni facevano parte di un unico Stato, l’Impero Austro Ungarico. Ora facciamo tutti parte dell’Unione Europea, ed auspico che potrà diventare l’unico Stato del Vecchio continente sol che noi europei lo vogliamo, dopo aver fatto tesoro di tutte le tragedie che siamo riusciti a combinare anche nel recente XX^ secolo. I ragazzi sono tutti d’accordo e ci diamo un cordiale Adios Buen Camino.
Visitiamo brevemente l’interno del grande monastero con i due chiostri e la chiesa, con la bella statua dorata della Madonna con il Bambino. In un edificio rettangolare antistante la chiesa è ospitata l’Università di Irache , fondata da PaoloV nel 1615 e che divenne molto prestigiosa.
Dal 1994 ospita il Museo Etnologico della Navarra. Molto bella una preghiera di un pellegrino, Manuel, alla Madonna, riportata sulla ceramica e conservata nei corridoi del monastero (vedi foto). Proseguiamo quindi verso Azqueta dove ci concediamo una sosta per il pranzo al sacco nella tranquilla piazzetta del paese, dove, da un fruttivendolo di passaggio, che richiama tutte le donne del paese, acquistiamo delle stupende pesche noci bianche, che sono squisite. Avendo deciso di fare un po’ di riposo e con l’intenzione di puntare su Los Arcos prendiamo un autobus alle 14,45 che in pochi minuti ci fa guadagnare 10 chilometri ed arriviamo a Los Arcos (445 m). Ci presentiamo all’albergue del peregrino, che è molto grande, e dove sono già arrivate molte persone. Roberta viene sistemata nella parte nuova con belle camerette di pochi posti mentre Carmen ed io veniamo sistemati in una camerata grande (vedi foto). Mentre Roberta e Carmen fanno il bucato ed il diario, io ne approfitto per fare una dormita perché sono molto stanco e faccio fatica a recuperare, mentre le”ragazze”…….sono sempre pimpanti! Probabilmente è l’eccessivo caldo perché nel Camino 2007, che sarà molto “fresco” sarò più in forma.
Ci informano che alle 20 si può assistere alla S.Messa ed alla benedizione del pellegrino, nella chiesa di S Maria, dove si intrecciano elementi romanici, gotici (come il chiostro), ma con una netta predominanza barocca, quasi eccessiva nelle decorazioni. (vedi foto). L’illuminazione esalta le decorazioni in oro della navata centrale. Visitiamo il chiostro, dove sono coltivate tante rose.
Il parroco don Iosè inizia la messa ricordando che oggi si ricorda san Benito-San Benedetto da Norcia , patrono d’Europa, un grande santo che con il suo ordine ha avuto un ruolo importante nella formazione religiosa, culturale e politica del vecchio continente[38]. Mi viene in mente che oggi ricorre un altro 11 luglio, quello del 1995 a Srebrenica, in Bosnia, dove vennero massacrate ottomila persone da parte dei miliziani serbi e questo di fronte alle truppe olandesi delle Nazioni Unite, poco armate ed in numero esiguo per reagire, che per ragioni di equilibri politico-diplomatici in seno all’ONU, assistettero inermi al massacro (come era successo, in misura ancor più massiccia, con circa 1 milione di uccisi, in Rwanda[39] l’anno prima). Viene spontaneo ricordare anche chi proprio in questi giorni ripercorre quest’altro tragico cammino della Bosnia, pregando sulle fosse comuni di quelle tante vittime innocenti. Oggi a Srebrenica saranno seppelliti resti di 500 di quelle persone, riconosciuti a fatica, grazie alle moderne tecniche della scienza.
Ci viene spontaneo ricordare i morti di questi giorni in terra di Palestina e di tutti i morti causati dalle guerre etniche e religiose e preghiamo il Signore che illumini le menti ed i cuori di chi può decidere di fare cessare il fuoco e riprendere il cammino di pace duratura, su basi di giustizia.
Dopo la messa il parroco invita i pellegrini alla benedizione e consegna ad ognuno di noi la preghiera del pellegrino, ai vari gruppi nazionali, scambiando in modo molto simpatico e cordiale qualche battuta nelle varie lingue.

Preghiera del pellegrino.
O Dio, che portasti fuori il tuo servo Abramo dalla città di Ur dei Caldei, proteggendolo in tutte le sue peregrinazioni e che fosti la guida del popolo ebreo attraverso il deserto, ti chiediamo di custodirci, noi tuoi servi, che per amore del tuo nome andiamo pellegrini a Santiago de Campostela.
Sii per noi;
compagno nella marcia,
guida nelle difficoltà,
sollievo nella fatica,
difesa nel pericolo,
albergo nel cammino,
ombra nel calore,
luce nell’oscurità,
conforto nello scoraggiamento e
fermezza nei nostri propositi,
perché, con la tua guida, giungiamo sani e salvi al termine del cammino e, arricchiti di Grazia e Virtù, torniamo illesi alle nostre case, piene di salute e di perenne allegria.
Per Cristo nostro Signore.
Amen
San Giacomo, apostolo di Gesù, prega per noi.
Maria, madre di Dio, prega per noi.

Ceniamo in un ristorante assieme all’amico spagnolo Juan ed alla tedesca Emanuela e rientriamo prima della chiusura delle 22,30. In camerata siamo una cinquantina di persone, fa caldo ma c’è qualche spiraglio di aria che rende il tutto più sopportabile. I giovani slovacchi e la ragazza ungherese che abbiamo incontrato al mattino alla Fuente del vino de Irache, dormono all’aperto con il sacco a pelo.


Mercoledì 12 luglio Los Arcos-Navarrete.

La camerata si movimenta già dalle 5 perché si profila una tappa impegnativa di 28 km. Squillano i cellulari, si accendono le pile (pochi sono i frontalini) e si sente armeggiare con gli zaini. Alle sei ci alziamo anche noi; io stento a carburare, ho bisogno di ossigeno ed aria fresca. Facciamo una colazione, proprio pellegrina, dai distributori automatici e si parte verso le 7 (vedi foto della parrocchiale di Los Arcos). L’aria è fresca e si procede speditamente.
Passiamo il santuario de Nostra Senora de Poyo Bargota (vedi foto). Il paesaggio sta mutando rispetto ai tratti precedenti; pur predominando ancora la coltura del frumento, la vite è sempre più presente; stiamo entrando nella regione della Rioja, la più importante della Spagna per la produzione vitivinicola. Tra le piante di alto fusto coltivate predomina il mandorlo. In questa zona il trattamento antiparassitario ai filari di viti (solo i nuovi impianti sono a sistema Guillot) è fatto ancora con gli atomizzatori a spalla, segno evidente che la vite non è molto diffusa e che di peronospora ce n’è poca, dato il clima caldo e secco.
Ci accompagnano sulle creste delle montagne circostanti i parchi eolici (vedi foto), mentre non si vedono assolutamente impianti solari. E’ un tratto del Camino chiamato “rompepiernas”, spaccagambe, per i continui saliscendi che mettono a dura prova la resistenza fisica. Si arriva a la Virgen del Poyo e, dopo una collina, si vede la pianura riojana e in fondo Logrono, la capitale della Regione. Ma prima c’è Viana che ebbe tra i suoi signori anche Cesare Borgia.
Si incontrano, come nei tratti precedenti del Camino, molte opere pubbliche in costruzione: strade, superstrade e circonvallazioni, ma anche il rifacimento di interi isolati nelle città, tanto che si può dire che la Spagna è un grande cantiere e ciò contribuisce senz’altro a mantenere un forte tasso di sviluppo economico, che è doppio rispetto a quello italiano[40].
Pur essendo nella Rioja viticola, la coltivazione del frumento persiste, tanto che possiamo vedere per la prima volta sul nostro Camino un grosso trattore con imballatrice (vedi foto) che, passando sulle file di paglia lasciate dalla mietitrebbia, la comprime in grosse balle (tre-quattro volte quelle che producevano le nostre Mansal degli anni ’50), che lascia sul terreno. In Galizia, nel 2007 vedremo anche l’ultima operazione in campagna, il caricamento delle balle di paglia sui rimorchi a quattro ruote; per questa i trattori sono dotati sulla barra posteriore di un robusta punta.
Purtroppo la digitale dà ancora una volta i numeri e mi perde tutte le fotografie di questo bel posto; riesco solo a riprendere dei giardinieri comunali che stanno praticando una specie di innesto-intreccio tra i rami degli ippocastani sui viali della città, in modo da fare dei pergolati per riparare dal sole. Questo sistema è tipico di tutte le regioni della Spagna che abbiamo attraversato e la ragione sta nel fatto che nella stagione estiva le foglie riparano dal sole mentre nella fase invernale, con le foglie cadute, le persone possono godersi il sole.
Decidiamo di saltare Logrono e di non fermarsi più ai centri proposti dalla nostra guida ma di puntare sui centri minori. Come spesso accade il servizio è migliore e più economico e ci sono meno persone. Verso sera riusciamo a prendere un autobus per gli ultimi chilometri ed arriviamo a Navarrete (520 m) verso le 19. L’albergue è stato recentemente ristrutturato ed è molto accogliente; presentiamo la Credencial ad un anziano volontario dall’aspetto severo, quasi militaresco, all’entrata. Ci indica subito di levarci le scarpe e di depositarle nella scarpiera a lato. Mi meraviglio quando, trovato posto al terzo piano in una bella camerata, mi vedo arrivare dei giovani ciclisti francesi che tranquillamente indossano le scarpe da ciclista. Cosa più importante, questi giovani vengono da Parigi ed hanno fatto già circa 1.400 Km ad una media di circa 110 Km al giorno, secondo quanto mi riferiscono.
Dopo la doccia Roberta e Carmen vanno a Messa, dopo la quale è preannunciata la benedizione del pellegrino. Io mi addormento e mi sveglio verso le 20,15; vado alla vicina chiesa intenzionato a ricevere la benedizione, che però non c’è in quanto stanno facendo il funerale di un’anziana signora.
La chiesa è dedicata a Santa Maria la Real il cui altare dell’abside principale è in ristrutturazione.
A cena ci fermiamo al Bar deportivo, appena sotto la chiesa- dal biglietto da visita figurano “Especialidad cocina riojana y vasca” ”(Specialita`cucina Riojana e Vasca)-Plaza de las Pilas-26370 Navarrete (La Rioja) Espana. Ci mettiamo all’aperto sotto un meraviglioso viale di ippocastani intrecciati gli uni con gli altri a pergolato. Scopriamo che il titolare, che si avvicina con fare molto gentile per raccogliere il menù è un italiano, nato a Torino, Antonio Landi, che da 20 anni risiede a Burgos. Con la moglie spagnola, che ci presenta, ed i figli gestisce il bar che in sostanza è un avviato ristorante. Ci propone un menù squisito a base di piselli e seppie, zuppa di verdure con bacalao e fagioli con salsiccia e di secondo peperoni ripieni con coda di rospo e pollo in salsa di mele, il tutto annaffiato da un buon vino bianco di Rioja; dulcis in fundo crème caramel e tirami su il tutto a € 31 con omaggio di grappa alle erbe. E’ il massimo cui un “pellegrino” possa ambire !! Quale segno di riconoscenza, date le sue origini piemontesi e l’amore per le montagne, gli prometto di inviargli una cartolina dalle nostre montagne trentine, lo ringraziamo per la cortesia e per l’ottima cucina e ci salutiamo con simpatia. Arrivato a casa, purtroppo, non ho più trovato il suo biglietto da visita.
Scorrendo velocemente il Diario local apprendiamo che il governo della Rioja è una regione governata da una maggioranza di centro destra con a capo il PPE (partito popolare spagnolo).
Mentre stiamo per addormentarmi, tra le altre cose, dopo aver ringraziato il Buon Dio di averci consentito questa bella esperienza di vita e di riflessione mi viene in mente una ricorrenza importante nella storia del nostro Trentino; oggi è il 90^ anniversario della morte di Cesare Battisti. Verso sera di 90 anni fa Cesare Battisti, dopo essere stato catturato sul Monte Corno in Vallarsa il 10 luglio e giudicato per alto tradimento dalla corte marziale dell’Esercito Imperialregio Austro-Ungarico, viene giustiziato mediante impiccagione a Trento, nella fossa del Castello del Buonconsiglio. Le sue ultime parole sono:”Viva l’Italia, Viva Trento italiana”. Mi ha sempre colpito la grande dignità con cui affrontò la sua esecuzione, come pure la preghiera che i numerosi plotoni di militari austro-ungarici, schierati nella Fossa del Buonconsiglio, recitarono, con saluto militare, per l’anima dell’”alto traditore”, una preghiera per lui, considerato ateo, anticlericale, materialista.
Mi viene in mente la figura di Cesare Battisti, quella del grande giornalista, direttore de “Il popolo”, il quotidiano socialista del Trentino, parlamentare alla dieta di Innsbruck ed al Parlamento di Vienna in rappresentanza del Trentino assieme ad Alcide Degasperi, la sua attività di geografo e scienziato. Penso a quello che Battisti ha fatto per combattere l’impero Austro –Ungarico che considerava ormai superato ed anacronistico, la sua propaganda interventista, convinto che con la guerra il progresso socio-economico sarebbe aumentato specialmente per le classi meno abbienti e per la classe operaia in particolare. Penso però anche alle centinaia di migliaia di morti della 1^ Guerra Mondiale che, proprio in nome di quelle idee e valori propagandati con tanto fervore e tanta coerenza, che si allearono a potenti interessi economico-finanziari, (non bisogna mai scordare che l’entrata in guerra dell’Italia nella prima guerra mondiale fu decisa da non più di 10 persone, senza una delibera del Parlamento e con un Governo senza la fiducia del Parlamento) non altrettanto nobili, si massacrarono a milioni sui vari fronti d’Europa. Penso anche a quello che la 1^ Guerra mondiale non risolse, anzi a quello che determinò quale germe e precedente per lo scoppio della 2^ Guerra Mondiale.
Al riguardo, prima di partire per il Camino, ho finito di leggere un libro molto breve “ Traditori” di Bruno Zorzi-Curcu&Genovese in cui viene riportato il dialogo immaginario, in quanto in realtà mai avvenuto, la sera prima dell’esecuzione, tra Cesare Battisti e Camillo Ruggera, l’alto ufficiale Austroungarico, anch’egli trentino di nazionalità italiana, nativo di Segonzano, che partecipò all’armistizio di villa Giusti firmando la resa dell’Impero.
E’ un libro che consiglio specialmente ai giovani, poiché con una sintesi efficace riesce a chiarire le ragioni, le idealità, gli interessi, le visioni dei vari Stati e dell’Europa di inizio secolo scorso, delle masse in cerca di identità nazionale e del nuovo assetto delle nazioni europee che i due personaggi e quindi i loro referenti politico-istituzionali avevano, anche dell’assetto socio economico della società del tempo. E’ un contributo storiografico molto interessante che aiuta a capire non solo i perché della 1^ Guerra mondiale ma anche perché la stessa fu causa principale della 2^ .


Giovedì 13 luglio Navarrete -Azofra.

Partenza verso le 7,30 dopo una buona colazione al bar vicino all’albergue. Acquistiamo anche un po’ di cartoline perché oramai arriveremo a Mori prima noi della posta. Dalla tv accesa su un canale nazionale vediamo il Primo ministro Zapatero alle isole Canarie che visita i centri di raccolta degli immigrati raccolti in mare, al che ci viene in mente che anche la Spagna, forse ed ancor più dell’Italia ha questo drammatico problema, che deve essere risolto a livello europeo.
La tv spagnola mostra il dramma dei bombardamenti israeliani sul Libano e le vive proteste di Zapatero che, mi sembra di capire, prende una netta posizione criticando pesantemente il comportamento di Israele. Poi c’è un’intervista a Zidane da dove capisco grosso modo che ammette di avere sbagliato ma non si pente della “testata berbera”.
Lungo il percorso continuano le grandi opere stradali e la coltura della vite si intensifica in modo evidente. Mutano anche i sistemi di trattamento antiparassitario affidati agli atomizzatori installati su trattori con le barre laterali per tagliare le punte dei tralci verdi, trattori più piccoli di quelli delle estensioni di grano, simili a quelli da noi utilizzati nei trattamenti alle viti. I sistemi di irrigazione sono a goccia (vedi foto) e la gestione del vigneto è molto più economica della nostra; tra l’altro i filari non hanno strutture di sostenimento perché non adoperano fili e le viti sono su ceppi molto grossi che sostengono naturalmente i tralci. In certe zone i terreni sono anche molto ciottolosi. Incontriamo anche una cantina cooperativa (vedi foto) in cui si sta trivellando un pozzo artesiano a 100 metri di profondità per le necessità della gestione. Ci rendiamo conto che la Rioja è un nostro agguerrito competitore proprio per questi motivi e perché i suoi vini sono di buona qualità; già da due giorni beviamo i suoi ottimi rossi e la sera centellineremo un buon bianco.
Lungo il sentiero notiamo i fiordalisi, le salcerelle lungo i corsi d’acqua e le margherite negli orti.

Arriviamo nella zona industriale di Najera, dove sul recinto di una fabbrica di farina, un parroco locale Eugenio Garibay ha scritto una riflessione sul Camino, in tedesco ed in spagnolo (vedi foto):


Polvo, barro (fango) , sol y lluvia (pioggia),
es Camino de Santiago.
Millares (migliaia) de peregrinos
Y mas de un millar (migliaio) da anos.

Peregrino? Quién (che cosa) te llama (chiama)?
Qué fuerza oculta te atrae?
Ni el campo de las Estrellas,
ni las grandes catedrales.

No es la bravura navarra ,
ni el vino de los riojanos (abitanti della Rioja)
ni los mariscos (frutti di mare) gallegos
ni los campos castellanos (della Castilla-Leon)

Peregrino? Quién (che cosa) te llama (chiama)?
Qué fuerza oculta te atrae?
Ni las gente del Camino
ni las costumbres (usi, costumi) rurales

No es la historia y la cultura
Ni el gallo de LaCalzada[41]
Ni el palacio de Gaudi
Ni el Castillo Ponferrada


Todo lo veo al pasar
Y es un gozo verlo todo
Mas la voz que a mi me llama
La siento mucho mas hondo


La fuerza que a mi me empuja
la fuerza que a mi me atrae
no sé esplicarla ni yo
Sòlo el de Arriba lo sabe!


Polvere, fango, sole e pioggia
Il Cammino di Santiago
Migliaia di pellegrini
E più di un migliaio di anni.

Pellegrino, chi ti chiama?
Qual forza occulta ti attrae?
Né il campo delle Stelle,
Né le grandi cattedrali.

Non e’ la vigorosa Navarra,
Né il vino dei riojani
Né i frutti di mare della Galizia
Né i campi della Castilla-Leon

Pellegrino?Chi ti chiama?
Quale forza occulta ti attrae?
Né la gente del Cammino
Né gli usi ed i costumi rurali

Non e’ la storia né la cultura
Né il gallo de LaCalzada
Né il palazzo di Gaudi
Né il Castello di Ponferrada


Tutto questo vedo nel passare
Ed e’ una fatica vederlo tutto
Piu’, la voce che a me chiama
La sento molto piu’ profonda


La forza che mi spinge
La forza che mi attrae
Non so spiegarla neppure io
Solo Colui che sta’ lassu’ lo sa!






Arriviamo a Nàjera (500 m), facciamo provviste ad un supermercato e mangiamo in un parco pubblico con molto verde ed una bella fontana nel mezzo. Prendiamo il caffè al bar dove c’è molta sporcizia ai piedi del banco, cui però nessuno bada; molti i fumatori che a noi, ormai abituati al divieto totale nei locali pubblici, dà fastidio. Nell’uscire dalla città Carmen prende una storta al piede sinistro, tratta in inganno da una canaletta di scolo di un marciapiede molto arrotondato. Le facciamo mettere il piede sotto il getto di acqua fresca di una fontana, ma il dolore non è forte. Con il senno di poi avremmo dovuto fin da subito prendere del ghiaccio e legarlo alla caviglia, come abbiamo dovuto fare la sera e nei giorni successivi per combattere il gonfiore.
Attraversiamo il ponte pedonale sul rio Yalde (vedi foto) e riprendiamo per Osofra, inerpicandoci su una serie di colline, dove ci sono rocce rosse, suggestive pareti di roccia e grotte scavate dai primi abitanti della zona. Purtroppo la digitale fa le bizze e non abbiamo le foto. Ci sono ancora 6 chilometri con il sole che picchia ancora forte. Per riposare troviamo rifugio sotto qualche pianta di ulivo (vedi foto riuscita).
Arriviamo stremati verso le 19 all’albergue di Azofra (559 m), che è stato inaugurato nel 2004 e realizzato con criteri moderni, camerette a due posti e le facciate di vetro protette da pannelli di legno. Purtroppo non mi sembra siano stati installati dei pannelli solari ma non ho approfondito il tema con la responsabile. E’ confermata la sensazione che avevamo e cioè che i centri minori si stanno organizzando e diventano più interessanti perché meno affollati[42], miglior servizio e prezzi addirittura minori; € 5 ad Azofra, addirittura € 3 a Navarrete.
Dormiamo fino alle 7 del mattino quando ci viene a trovare Roberta che ha dormito con una messicana. E’ una signora non più giovane, simpatica, allegra ed entusiasta del Camino che sta percorrendo da sola. E’ partita molto presto senza disturbare. In quest’albergue ha conosciuto ieri sera una signora partita dall’Olanda, a piedi, nella primavera scorsa.


Venerdì 14 luglio Azofra-Granon.

Da Azofra decidiamo di puntare su Granon, ultimo pueblo de La Comunidad Autonoma de la Rioja prima di entrare nella provincia di Burgos che appartiene alla Comunidad Autonoma de Castilla y Leon. Carmen ce la fa a proseguire nonostante il gonfiore cui cerca di porre rimedio con del ghiaccio legato alla caviglia, che cortesemente le è stato dato all’albergue.
La prima parte del tratto, dopo alcuni resti di vestigia antiche della romanità dei luoghi , come la Picota (vedi foto), si snoda tra filari di viti con la novità della coltivazione di grandi appezzamenti di patate e di barbabietole. Queste colture richiedono molta acqua, che c’è abbondante nella zona, e ci sono impianti di irrigazione a pioggia lenta, alimentati dai trattori. E’ ancora presente il frumento su grandi estensioni dove l’occhio si perde nella Sierra de la Demanda. (vedi foto).
A Ciruena possiamo fare un bagno ai piedi (vedi foto) in un’acqua freschissima che ci consente di affrontare con slancio i sei chilometri che ci separano da Santo Domingo, la meta per il pranzo. Naturalmente ci rinfreschiamo la testa sotto il rubinetto delle fontane, i copri capo e riempiamo tutte le bottiglie di plastica. Appena fuori Ciruena non mi riesce la foto ad uno dei più grandi campi di golf della Spagna.
Incontriamo anche un’enorme coltivazione di luppolo a filari e rampicante sulle reti molto alte (vedi foto). Dopo una quindicina di chilometri da Azofra, sotto un sole cocente, arriviamo sulla collina in vista di Santo Domingo de la Calzada, importante cittadina del Camino. Essa deve il nome a Santo Domingo che fu un grande ingegnere e grande benefattori della via jacopea.Lì ebbe origine una delle prime leggende/miracolo legate alla storia ed alla letteratura del Camino: quella dei due polli che accompagnano la statua di Santo Domingo nell’omonima cattedrale romanica a tre navate, con volta gotica e con la particolarità di conservare al suo interno una gabbia dove ci sono due polli bianchi vivi per ricordare la famosa leggenda[43].
Facciamo la provvista per il pranzo al supermercato, compreso lo squisito melone bianco della Mancha, e sostiamo nella piazza del monastero benedettino, protetti dall’ombra delle sue mura secolari. Ci troviamo con molti amici pellegrini tra cui due ciclisti, marito e moglie, di Modena. Ci raggiunge anche l’amico spagnolo Juan e Emanuela. Gustiamo un buon caffè al bar dei giardini municipali, dove su una soffice erba appena tagliata e sotto dei meravigliosi lecci distendo il mio materassino e la mantellina da montagna e mi abbandono ai miei sogni pomeridiani. Roberta e Carmen visitano un po’ la città e si procurano l’orario di partenza degli autobus ( 17,55) per Granon che dista ancora circa 7 chilometri. Carmen infatti non può proseguire a piedi perché la caviglia le fa male. Arrivati puntuali alla fermata vediamo arrivare parecchi pullman ma non quello della società che appare dai tabelloni. Chiediamo conferma ad un autista di un’altra società concessionaria e ci viene risposto che parte alle 18. Conclusione, perdiamo il pulman perché quanto scritto sul tabellone non coincide né come orario né come società di trasporto e noi ci siamo attenuti scrupolosamente a quello. Da rilevare che in Spagna il trasporto pubblico extraurbano è dato in concessione a società private i cui autisti, lo abbiamo constatato di persona, non sono per nulla cortesi né precisi, e men che meno con i turisti, nelle loro risposte, sempre affrettate e per nulla attenti alle difficoltà di comprensione della lingua. Probabilmente l’atteggiamento degli autisti di queste società private è determinato dallo stress lavorativo a tutto svantaggio del servizio e del cliente. Morale: indicazioni scritte non precise e scortesia degli autisti determinano un servizio scadente e tale considerato anche dagli spagnoli che in più di un’occasione hanno avuto modo di confermarci tale giudizio. Da tener presente che anche nelle grandi distanze l’autobus è molto più conveniente del treno. Se ben ricordo Burgos-Sargozza in pulman costa €16, in treno € 26 con tempi di percorrenza pressoché analoghi.
Nella piazza notiamo molti poggioli che, a differenza dei nostri, non sono profondi e servono solo per esporre un po’ di fiori e per arieggiare.
A quel punto decidiamo di tentare con l’autostop e ci incamminiamo verso l’uscita da Santo Domingo e ci posizioniamo in un punto favorevole alla fermata degli automobilisti. Davanti a noi, sull’altro lato della strada, ci sono dei vecchi capannoni industriali, ormai dimessi, da cui spunta una ciminiera molto alta, datata 1922, sulla cui sommità c’è un grande nido di cicogne che si posano con grazia in un andirivieni continuo. (vedi foto). Passano molti trattori che trainano grossi rimorchi di frumento appena trebbiato. Si ferma un signore con un bel furgoncino che ci imbastisce un interrogatorio di terzo grado per poi lasciarci a piedi; un secondo, pur essendo solo in auto, è disponibile a caricare solo una persona, finchè un signore, che aveva l’auto parcheggiata nella sua campagna poco distante da noi, vista la scena ci offre un passaggio. Nel breve tragitto il cortese signore fa dell’ironia sulla sua vecchia Renault, che fa un po’ di rumore nello scappamento e si paragona ad Alonso, il pilota spagnolo di F1 della Renault che è in testa al mondiale piloti e che poi lo vincerà.
Siamo a Granon (724 m) in un attimo e ci porta fin sulla porta dell’albergue ricavato nel campanile della Chiesa parrocchiale di San Giovanni Battista. Ringraziamo di cuore “Alonso” con un cordiale “Adios, buen camino”. Siamo accolti con simpatia dai due volontari che gestiscono l’albergue : Roberto, brasiliano e Stephanie, francese. E’ un po’ il clima di Arres, siamo in pochi, una quindicina e tutte persone che hanno deciso di venire appositamente in questo piccolo albergue per vivere un momento di condivisione e di spiritualità. Si cena assieme in modo sobrio, non ci sono tariffe e si va ad offerta. Al termine della cena in onore della gentile Stephanie e degli altri pellegrini francesi propongo un brindisi; è la festa nazionale francese a ricordo del 14 luglio 1789, il gio0rno della presa della Bastiglia. Dopocena tutti aiutano a sparecchiare, lavare le stoviglie e preparare la tavola per la colazione.
Ci rechiamo nella zona del coro, tutto in legno, che profonde di solennità medioevale, per la preghiera del pellegrino ed alcune intenzioni personali che esprimiamo ognuno nella nostra lingua. Così pure nella recita del Padre nostro; si sente lo spagnolo, il francese, il tedesco, l’inglese, il portoghese, l’italiano, l’ungherese, lo slovacco in un clima di mondialità e di viva fraternità.
Si va a dormire sul soppalco sui tappetini che si utilizzano in palestra, avvisati che la sveglia sarà alle 5,30, cosa che puntualmente avviene e di cui non sono molto entusiasta!

Sabato 15 luglio Granon- Villafranca Montes de Oca.

Facciamo colazione tutti assieme, ci si saluta calorosamente ringraziando i volontari Roberto e Staphanie della loro cortese ospitalità e che ci hanno accompagnati nella riflessione comunitaria della sera precedente. Facciamo alcune foto di commiato con l’amico Juan e Emanuela, davanti alla chiesa di san Giovanni Battista sul cui campanile ci sono i grandi nidi di cicogna (vedi foto); si punta su Belorado. Dopo alcuni chilometri quando fa ancora freschetto ci lasciamo alle spalle la Rioja ed entriamo nella Comunidad Autonoma de Castilla y Leon. Giunti a Redecilla del Camino, sulla carretera principale, raggiungiamo i giovani brasiliani, spagnoli, italiani e venezuelani che ci precedono e con i quali abbiamo passato la notte a Granon. Tra questi c’è Antonella una ragazza di Siracusa, laureanda in Agraria all’Università di Padova che ha i tendini ed il crociato infiammati e un ragazzo spagnolo, che frequenta medicina, sta tentando di convincerla a prendere l’autobus per evitare guai peggiori. Intervengo anch’io nella discussione e cerco di convincere Antonella a seguire i consigli del nostro “medico-pellegrino”. Alla fine ci ascolta e si convince a prendere l’autobus, come pure Carmen perché il gonfiore alla caviglia persiste e le fa anche male.
Roberta ed io ci agganciamo alla squadra di giovani baldi con i quali percorriamo gli undici chilometri in meno di due ore, in grande allegria, parlando di calcio. Il giovane venezuelano mi manifesta la sua antipatia per Chavez e per il modo con cui governa il Paese e come si sta preparando alle prossime elezioni di dicembre. Quando arriviamo a Belorado (770 m), sulla porta della prima chiesa che incontriamo ci sono delle brocche di terracotta con l’acqua fresca che sorseggiamo con piacere. Carmen ha già fatto provviste per il pranzo e ci sistemiamo in un bel giardino verde, sotto i platani a pergolato ed abeti, con fontana a zampilli. E’ un Paradiso terrestre che ci ripara dal caldo e dal sole infernale.
Riposiamo un po’ e si riparte puntando su Villafranca Montes de Oca. Arriviamo all’albergue di questo piccolo paese (950 m), un tempo sede episcopale; era una scuola primaria prima che il paese si spopolasse negli anni ’50. Ora sono rimaste solo poche famiglie i cui bambini frequentano la scuola a Belorado, utilizzando il servizio di trasporto pubblico. Poco sopra la chiesa di S. Stefano c’è ancora un antico ospizio che accoglieva i pellegrini fino al 1941. Ci sistemiamo in un grande stanzone al piano terra su materassi allineati sul pavimento di mattonelle. Mentre Roberta e Carmen escono in paese io mi addormento; telefona don Paride Chiocchetti per ringraziarmi della telefonata che gli avevo fatto da S. Pietro e Paolo per il suo 40.le di sacerdozio, non sapendo che mi trovo sul Camino de Santiago. In breve gli racconto del viaggio e dello Spirito del Camino. Al ritorno Carmen e Roberta mi raccontano che su, verso la montagna, hanno incontrato un vecchio pellegrino tedesco, di 75 anni, che noi conosciamo, e che sta puntando, con determinazione, verso i monti ed i boschi che noi avremmo attraversato il giorno dopo! Anche questo è lo Spirito di Santiago. Ceniamo al bar del paese ; ci viene proposto di assaggiare la zuppa d’aglio ed un secondo a base di carne di cinghiale. Il cameriere si fa in quattro, gesticolando, per imitare il verso del cinghiale e le sue zanne. Dormiamo alla grande perché non fa il caldo delle altre zone, per l’altitudine, siamo a 950 m e perché siamo solo in quattro in uno stanzone enorme, un tempo adibito a palestra scolastica.

Domenica 16 luglio Villafranca Montes de Oca- Ages.

Oggi è la Madonna del Carmine ed alla sveglia facciamo gli Auguri di Buon Onomastico a Carmen; dopo un po’ ci precede nella telefonata, come è ormai una bella consuetudine, mia sorella Carmen e ci scambiamo gli auguri.
Carmen si è svegliata con una serie di chiazze rosse sulle braccia e sulle gambe; sembrano delle punture di insetto ma la guardia medica non c’è al mattino e decidiamo di partire lo stesso. Il dolore ed il gonfiore alla caviglia si stanno attenuando.
Dopo una foto davanti all’antico ospizio, che un tempo ospitava i pellegrini, prendiamo la salita verso i Montes de Oca, la parte più montuosa del nostro Camino. Si presenta un paesaggio molto diverso dai precedenti, siamo attorniati da bellissime foreste di querce e roverella e di pini piantati a doppi filari, con un fitto sottobosco di felci. Si intervallano ampie radure con molte varietà di erica e di fiori di montagna. Il Camino è tranquillo, al fresco, su una strada boschiva in terra battuta che attraversa l’altipiano della Pedraja che arriva a 1130 metri. Sono posti solitari e selvaggi, un tempo infestati da lupi e briganti che incutevano terrore ai poveri pellegrini del Medioevo. Incontriamo delle enormi frecce che indicano il verso del Camino fatte con tanti sassolini (vedi foto), cui aggiungiamo anche il nostro, quale segno di partecipazione e condivisione, come abbiamo fatto tante volte lungo il Camino.
Arriviamo ad un monumento (vedi foto), il primo e l’unico su tutto il nostro Camino, alle vittime della terribile guerra civile spagnola del 1936-1939[44], semplice e sobrio, con una targa nera che indica il 1936 e con sopra la seguente frase in caratteri bianchi“No fue inutil su muerte, fue inutil su fusilamiento”, con alcuni fiori messi lì da qualche mano pietosa. Recitiamo una preghiera a suffragio ed a ricordo del milione di morti di entrambe le parti, avendo ben presente però il coraggio e la consapevolezza di chi si schierò dalla parte della Repubblica, legittimamente e democraticamente eletta dalle libere elezioni del popolo spagnolo e la responsabilità dei golpisti guidati dal generale Franco. Ricordo i tanti giovani delle brigate internazionali che vanamente accorsero in suo aiuto, tra cui i moriani Silvio Bianchi, che rinunciò ad essere il primo Sindaco della Mori liberata e Giacomo Caneppele, che abbiamo ricordato nella Giornata della memoria 2007, all’auditorium comunale di Mori, grazie ai ricordi della sorella Giulia e della moglie Agnese, recentemente scomparsa. Pensiamo anche alle migliaia di persone che si trovarono coinvolte in una tragedia più grande di loro e che non avevano coscienza del perché ed a chi giovasse tutto ciò e che furono vittime inconsapevoli ed a loro volta crudeli carnefici.
Continuiamo il Camino attraversando sempre fitte boscaglie di macchia mediterranea, di pini slanciati e di stupende roverelle con soffice sottobosco (vedi foto), il tutto accompagnato da macchie di erica sui bordi del Camino. Nonostante il caldo si sta bene perché siamo in quota e spira una bella brezza.
I giovani brasiliani lasciano sul sentiero dei saluti affettuosi, fatti con i rami secchi, a Federica, un’altra pellegrina italiana di Alassio (Liguria) che si è appena laureata in Psicologia all’Università di Padova ed amica di Antonella, che, infortunata, prosegue il Camino in pulman.
Arriviamo a San Juan de Ortega (1000 m) un piccolo centro di 27 anime, dove c’è una delle più belle chiese del Camino, opera del Santo (1080-1163) che collaborò molto con Santo Domingo (quello de La Calzada) nella costruzione di ponti e nel miglioramento della via jacopea. Entrambi sarebbero stati dei grandi comandanti del Genio per le loro innate capacità costruttive. Iniziò a costruire anche la chiesa che porta il suo nome che fu poi completata da Isabella la Cattolica (di Castilla, moglie di Ferdinando di Aragona e che appoggiò Cristoforo Colombo nel viaggio verso le Indie, con la scoperta dell’America).

Sulla pala dell’altare della tomba del Santo sono riportate delle formelle di ceramica che sembrano (in quanto non abbiamo potuto fare una verifica in merito) richiamare il martirio dei 40 Martiri come nella chiesetta di Molina. (vedi foto).
C’è il capitello che qui chiamano “il miracolo della luce” perché dalla finestra sinistra della facciata della chiesa viene illuminato dal sole nei giorni di equinozio (21 marzo e 23 settembre), un po’ come succede il giorno di S.Agata alla omonima chiesetta di Corniano. Ci vuole testa a calcolare la possibilità di illuminazione del capitello da parte del sole in momenti prestabiliti dell’anno!
Facciamo un buon pediluvio in una meravigliosa fontana rivestita di colore azzurro; Carmen e Roberta incontrano il vecchio parroco Don Josè Maria, che gestisce l’albergue del posto, che non è dotato di acqua calda. Mangiamo dei panini al bar e riposiamo all’ombra, vicino ad un bel giardino di margherite. Il problema degli sfoghi cutanei di Carmen si fa più serio e chiediamo consiglio al nostro “medico-pellegrino”, nel frattempo sopraggiunto, che diagnostica come punture di cimici, come sta accadendo ad un altro giovane della comitiva.
Si riparte attraversando ancora un po’ di boschi, dopo di che il Camino è scoperto al sole che picchia ancora e troviamo frescura sotto qualche quercia (vedi foto).
Arriviamo così ad Agés (970 m), dove troviamo posto all’albergue municipal, un moderno centro gestito da una famiglia che cura il ristorante annesso ed a cui ordiniamo la paella per la cena (vedi foto). Agés dista ancora 518 chilometri da Santiago! (vedi foto)
Carmen fatica a dormire perché ha un gran prurito e gli sfoghi aumentano sempre più.


Lunedì 17 luglio Ages- Villafria.


Si riparte di buon mattino; io dimentico la collanina con la croce Tau di olivo,che avevo comperato a Redecilla e Roberta, tornata in camerata, non trova più la busta del necessaire e le medicine.
Prima di arrivare ad Atapuerca (960 m), incontriamo estese coltivazioni di girasole, i cui fiori sembrano aspettarci e guardarci mentre passiamo. Il sito è un famoso giacimento archeopalentologico di primaria importanza, dichiarato Patrimonio dell’Umanità il 30 novembre 2000 dall’Unesco. Nel 2003 sono stati ritrovati fossili di Homo antecessor, una nuova specie di ominide, risalente a 400.000 anni fa. La sierra de Atapuerca è geologicamente appartenente al Cretaceo medio superiore risalente tra gli 80 ed i 100 milioni di anni fa. Vediamo dei grandi massi che sono stati posizionati in quel modo dalla gente del luogo utilizzando i metodi preistorici in omaggio ai primi abitanti della sierra di Atapuerca. Purtroppo non abbiamo tempo di far visita al sito perché è lontano e perché il primo gruppo parte alle 10 e sono da poco passate le 8.
Il sentiero sale nuovamente oltre i 1000 metri circondato da boschi di lecci molto bassi che non abbiamo mai visto finora. Arriviamo allo scollinamento caratterizzato da un paesaggio sassoso, che unito a due barriere di filo spinato, sembrano evocare uno scenario della 1^ Guerra mondiale sul Carso. Sulla spianata i pellegrini stanno costruendo con i sassolini una specie di chiocciola a cerchi concentrici, cui aggiungiamo il nostro, raccolto nei paraggi. In fondo alla pianura che ci sta di fronte si scorge la periferia di Burgos e la sua zona industriale. Guardando la guida decidiamo di fermarci a dormire prima di Burgos a Villafria, che dista 10 chilometri, così domani possiamo stare tutto il giorno a Burgos e visitarla con calma. Dopo qualche chilometro entriamo a Orbaneja, dove troviamo sul muro di una casa un bel murales che descrive il sogno del pellegrino ….. quello di poter riposare in una comoda poltrona di casa (vedi foto). Dopo un po’, mentre ci stiamo riposando su una panchina, ed aver fatto un pediluvio rigeneratore ad una fontana, ci si presenta un pellegrino preceduto dal suo asinello che sta facendo il percorso inverso al nostro: ci dicono che lui sta tornando da Santiago e son quasi tre mesi che è in giro per il Camino. (vedi foto). Mentre Roberta ci aspetta alla fontana, con Carmen andiamo a fare provviste per mezzogiorno e cerchiamo una farmacia o la guardia medica perché gli sfoghi sulle braccia di Carmen sono diventati ormai insopportabili. Ci dicono che i pochi abitanti della zona, per i problemi sanitari, si recano tutti a Burgos che dista però 12 chilometri. Riusciamo a procurarci tre panini in un bar dove ci trattano male e con un prezzo molto caro. Carmen non ce la fa più dal prurito e decidiamo quindi di andare subito a Burgos. Fino al pomeriggio però non ci sono autobus e chiediamo quindi un passaggio ad un rappresentante di commercio con il quale avevamo scambiato alcune battute pochi minuti prima alla panaderia del paese, che non aveva pane.
Cortesemente ce lo dà ma può solo per due persone e Roberta decide di fare i pochi chilometri che ci separano da Villafria a piedi con l’intesa di vederci nel pomeriggio all’albergue di Burgos. Per sicurezza le diamo il numero del mio cellulare, mentre lei è senza perché, sbagliando, avevamo deciso di portrarne uno solo.
Arriviamo in fondo al lungo viale che taglia in due la grande zona industriale e scendiamo proprio dove inizia la città vera e propria. Chiediamo al primo posto di polizia locale dove si trova un centro di sanità e con molta cortesia ci viene indicato a 100 metri di distanza. Sono le 12,45 e ci presentiamo all’Ufficio urgenze; viene utile la tessera sanitaria Europea e ci viene dato appuntamento per visita urgente alle 13,15 al piano superiore. La dottoressa di turno ci lascia entrare entrambi prima dell’appuntamento, la visita formulando una diagnosi di puntura da insetto e sospetta allergia. Raccontiamo che ha sentito il prurito dopo la notte trascorsa all’albergue di Villafranca Montes de Oca e la invitiamo a telefonare per disinfestare i materassi e si prende nota. Le prescrive subito una puntura a base di cortisone e ci fa una ricetta per pomata e pastiglie con lo stesso principio attivo. Scambiamo qualche battuta sul suo viaggio che ha fatto in Italia qualche anno fa, dove ha visitato Roma, Firenze e Venezia. Ci indirizza ad un altro ambulatorio ove una infermiera le pratica subito l’iniezione prescritta. All’uscita dall’ambulatorio si avvicina una signora che, non richiesta, gentilmente ci indica un’uscita secondaria che dà sulla via principale, ove di fronte c’è la farmacia. Acquistiamo i farmaci e Carmen pratica subito la posologia.
Mi preme sottolineare che la sanità spagnola, in particolare quella della Castilla y Leon ci ha fatto un’ottima impressione di efficienza e professionalità.
Ci fermiamo a mangiare i panini su una panchina mentre si avvicina una signora che, intuendo che siamo pellegrini, ci racconta della sua vita e del legame fraterno che esiste tra spagnoli ed italiani. Dopodiché prendiamo l’autobus per Villafria che fa da capolinea, dove siamo d’accordo di incontrarci con Roberta. Sono già quasi le 15 e siamo convinti che Roberta sia già arrivata a destinazione e ci stia aspettando all’albergue.Ma scesi dal bus constatiamo che lì non c’è alcun albergue del peregrino. Al che io non ho la guida in cui Roberta aveva visto segnato l’albergue e ne utilizzo invece una edita dal Governo della Castilla y Leon in cui a Villafria si consiglia di alloggiare all’Hotel ABC Aduana. Dovrebbe trovarsi nelle vicinanze, sulla destra del viale per Burgos e ci incamminiamo sulla sinistra del lungo viale; arrivati ad un distributore chiediamo informazioni, quando sopraggiunge alla nostre spalle Roberta che, dall’altra parte del larghissimo viale, aveva visto due pellegrini, senza riconoscerci, ed a cui voleva chiedere a sua volta nformazioni.
E’ una grande gioia esserci ritrovati anche perché Roberta era demoralizzata per il fatto che aveva tentato più volte di chiamarci dal fisso del bar, bruciando ogni volta 1€ e senza ricevere aiuto alcuno dal barista, che anzi la rimproverava di fare un numero sbagliato, né da altri clienti del bar tra cui una famiglia franco-algerina. Solo un giovane le aveva prestato il suo cellulare ma senza riuscire a collegarsi.
Ripartiamo tutti contenti in autobus per Burgos (860 m), dove incontriamo una pellegrina della Svizzera tedesca che avevamo conosciuto nelle tappe precedenti. Prima cosa ci procuriamo una cartina di Burgos e ci informiamo dove c’è l’albergue del peregrino e poi ci rechiamo alla stazione autobus per vedere gli orari di partenza per Saragozza. Visto che non siamo molto lontani, andiamo anche alla stazione ferroviaria per controllare gli orari e, constatato che gli orari sono pressoché coincidenti, il tempo di percorrenza è quasi uguale ed il costo del biglietto ferroviario è di € 26 rispetto ai € 15 dell’autobus, a malincuore, perché sono un convinto sostenitore del trasporto su rotaia, decidiamo di partire all’indomani alle 15 con l’autobus. Poiché siamo molto stanchi chiamiamo un taxi per essere portati all’albergue, che si trova in un parco verde della città, ma che dista quasi 2 chilometri. Con meraviglia prendiamo atto che il taxista, forse vedendo gli zaini, ci dà le indicazioni sulla via più breve ma non mostra alcuna intenzione di portarci lui. Al che facciamo anche gli ultimi 2 chilometri a piedi e, costeggiando il rio Arlanzon, che attraversa la città in un parco di verde stupendo, arriviamo all’ultimo albergue di quest’anno, formato da casette di legno prefabbricate. Veniamo accolti da Isabel e da altri volontari dell’Associazione del pellegrino di Burgos . Le faccio qualche battuta su Isabella di Castilla e lei mi racconta di Ferdinando di Aragona, dell’unione dei due regni, della dominazione in Sicilia e del governo di Venezia, che io ignoravo. Occupiamo una stanza più piccola delle altre, dove siamo comunque più di 20 persone su letti a castello; fa molto caldo ma le finestre sono aperte e prevedo quindi che dopo il tramonto e con il parco intorno si starà abbastanza bene. Alcuni giovani pellegrini piantano la tenda ed alcuni dormono nei sacchi a pelo sul prato.
Mentre Roberta e Carmen fanno il bucato vado in centro a fare la spesa per la cena; pensate con € 10,10 prendo tutto l’occorrente con filoncini di pane appena sfornato, bevande e melone della Mancha compreso.
Quando torno vedo arrivare i tanti amici del Camino: i simpatici brasiliani Pedro e Saulo con l’amico venezuelano cui non è simpatico Chavez, il gruppo italiano con Federica, Antonella, Giacomo con la magnifica femmina di Labrador, Sally. Arriva anche il nostro “medico” spagnolo che si interessa delle punture di Carmen, cui spieghiamo le peripezie di oggi, che hanno comunque confermato la sua diagnosi; al che ci manifesta la sua soddisfazione ..professionale….
Ceniamo su uno dei tavoli di legno nel giardino assieme ad una spagnola, non più giovane ma di un fascino particolare, che inizia domattina il Camino proprio da Burgos, dove era arrivata l’anno scorso e di cui fa un pezzo ogni anno. Parliamo della Spagna attuale e del suo passato, della guerra civile e della voglia degli spagnoli di dimenticare quei tragici eventi. Mi dice anche che domani 18 luglio ricorre il 70^ del golpe di Franco- l’alzamiento-una ricorrenza sinistra per la Spagna democratica e che tanto sangue è costata al Popolo spagnolo. Ad alcuni amici cui scrivo le ultime cartoline ricordo anche questo tragico anniversario.
Durante la notte si scatena un violento temporale, il primo che ci capita dall’inizio del Camino e sentiamo i giovani in sacco a pelo rifugiarsi al coperto, mentre quelli della tenda resistono fino al mattino che si presenta come una bella giornata.


Martedì 18 luglio Burgos[45] (visita alla cattedrale ) e partenza in pulman per Saragozza.

Al mattino ci alziamo con calma perché dobbiamo fare solo una visita alla cattedrale per poi partire alla volta di Saragozza. Ma ecco una spiacevole, si fa per dire, sorpresa: alla scarpiera non ci sono più le mie pedule che avevo acquistato appositamente per il Camino. Vado da Isabel, la gentile volontaria spagnola, che viene a verificare quello che le sto dicendo e, con meraviglia, si accorge che non c’è più neanche un altro paio di scarponcini che erano stati lasciati lì da qualcuno più di dieci giorni prima. Al che ci facciamo una risata quando Le dico che “anche questo rientra nello spirito di Santiago” e lei soggiunge, dispiaciuta, che questi fatti accadono molto raramente. Fortunatamente ho i miei sandali da riposo che vanno benissimo per la visita alla città. Anche il prurito di Carmen sta regredendo, grazie alla pomata ed alle pastiglie, il che ci solleva ancor di più il morale.
Percorriamo a ritroso il percorso di ieri sera, ma sulla destra orografica del rio Anzalon formato da una ampia passeggiata con giardini pubblici ben tenuti e costituiti da ogni sorta di piante contrassegnate dal rispettivo cartellino con il nome in spagnolo ed in latino, quello scientifico.
Entriamo nella piazza antistante la cattedrale dalla Puerta y Arco de Santa Maria, dove sono scolpite le statue di Carlo Magno, Imperatore del Sacro romano impero ed alcuni re di Spagna. Prima di entrare in cattedrale, dedicata a Maria nel mistero della sua Assunzione, che è stata dichiarata dall’Unesco patrimonio dell’Umanità, facciamo alcune foto in maglietta della Sat con il rifugio Altissimo……si licet parva componére magnis…, per ricordare gli amici della Sezione di Mori.
Purtroppo all’interno, la digitale, che ha ricevuto una botta sul flash, mi dà qualche problema e riesco ad immortalare solo il rosone con vetri policromi e le volte gotiche, la famosa statua della Madonna con il Bambino, la volta dell’abside centrale, un vero capolavoro. Molto bella è l’immagine del Cristo crocifisso venerato nel mondo di cultura ispanica, anche in America latina, come il Senor de Burgos. Sotto il pavimento del Transetto riposano i resti di El Cid Campeador e della sua sposa Dona Jimena. Nelle cappelle di San Giovanni Battista e San Giacomo c’è la statua del Cristo legato alla colonna di Diego de Siloe.
Assistiamo alla messa delle 10 cantata, concelebrata da 18 sacerdoti ed alla presenza di 19 fedeli, nella cappella della Cattedrale per ringraziare il Signore e Santiago della conclusione, in salute, della prima parte del Camino; per lo spirito che ci ha fatto vivere in amicizia ed in modo originale con tante persone giunte da molte parti del Mondo, giovani e meno giovani; una esperienza di comunione spirituale, culturale ed umana unica nel suo genere.
Comunione spirituale che è anche scambiarsi il segno della pace con un barbone nel banco davanti a noi, vestito con abiti invernali e con il paltò, quando fuori ci sono quasi 40 gradi , in una delle cattedrali cristiane più sontuose al Mondo e la vecchietta che chiede la carità all’entrata ed improvvisamente le squilla ed estrae dalla tasca il cellulare.
Continuiamo la visita ma siamo molto stanchi e non vediamo l’ora di sederci ad un tavolo per la comida (pranzo), che consumiamo in un bar vicino alla stazione degli autobus.
Alle 15 si parte per Saragozza e fino a Logrono percorriamo a ritroso il Camino, rivedendo i borghi che abbiamo attraversato ed i sentieri che abbiamo percorso a piedi nei giorni precedenti. A Villafranca Montes de Oca vediamo il pellegrino con l’asino che continua il suo Camino di ritorno.
Arriviamo a Saragozza alle 19 nella solita stazione al chiuso, dove fa un caldo infernale, in una vera e propria camera a gas, causa gli scarichi dei numerosi autobus presenti. E’ un altro aspetto della Spagna che avrà sicuramente delle ragioni storico-contingenti ma che faccio fatica a comprendere; per fortuna ce ne possiamo andare via subito ma molta gente si trattiene nelle sale di attesa parandosi disinvoltamente l’aria con il ventaglio. Penso anche a chi, come il personale di biglietteria, deve lavorare per 8 ore al giorno in un inferno simile.
Siamo subito alla ricerca di un punto di informazione turistica che troviamo in fondo al lungo viale “Paseo de Indipendencia”, e pochi metri prima, in una piazzetta è in corso una manifestazione a sostegno del Libano e del Popolo palestinese, che dal 12 luglio viene bombardato dagli Israeliani per annientare le basi degli Hezbollah. Ci sono bandiere Palestinesi e c’è distribuzione di volantini, con una numerosa partecipazione di persone che va via via aumentando. Al centro di informazione turistica ci indicano un ostello per la gioventù, gestito dal Governo dell’Aragona ma aperto anche ai pellegrini del Camino, che raggiungiamo dopo aver fatto un bel percorso a piedi ed aver riverificato le indicazioni iniziali che, come spesso succede ed in perfetta buona fede, non sempre sono precise. L’importante è continuamente verificare la bontà delle indicazioni con pianta della città alla mano e parlando con più persone. Personalmente giudico buon indice di precisione quando almeno due confermano lo mie deduzioni.
Troviamo, dopo 15 giorni, dei letti a castello ma con lenzuola bianche ed un ambiente quasi deserto perché gli studenti sono in vacanza.
Ceniamo alla spagnola in un bar vicino con insalata mista e delle ottime seppie, le migliori in assoluto da me gustate.
Dormiamo alla grande con l’indicazione che la colazione si dovrà consumare dalle 8,45 alle 9; per noi abitauti ormai alle levatacce è una manna!

Mercoledì 19 Visita turistica di Saragozza e ritorno a casa.

Dopo una buona colazione, prendiamo atto che l’autobus per l’aeroporto parte alle 13,15 dal centro della città . Ci restano circa 4 ore per visitare qualcosa e per tornare alla partenza dell’autobus. Puntiamo su tre visite particolari : la Cattedrale di Saragozza, la Seo; la basilica della Madonna del Pilar e la Aljaferia, perché ci è stato detto che è una piccola Alhambra di Granada.
La Seo è dedicata al Cristo salvatore; è una bellezza unica, dichiarata Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco nel 2001, ma che secondo il mio modesto parere è ancora più bella e sontuosa della cattedrale di Burgos. Iniziata in stile romanico nella II^ metà del XII^ secolo e poi ricostruita in stile gotico tra il 1316 ed il 1319, completata con le due navate laterali (è a cinque navate) nel 1491. E’ il complesso artisitico più importante dell’Aragona e rappresenta le tendenze artistiche medioevali, rinascimentali e barocche. Si compone di 16 cappelle tra cui quella di S. Valerio (al che non possiamo non ricordare con una cartolina l’amico Valerio Regolini e Graziana) e di S. Bernardo, che, come la pala dell’altare maggiore (1434-1488), sono scolpite interamente in alabastro. La scultura dell’Altare Maggiore è quanto di più sublime io abbia potuto vedere in vita mia, in alabastro policromato. La base portante ha sette nicchie con pannelli sulla storia e martirio di S.Lorenzo,accoglienza della reliquia di San Valerio ed il martirio di S.Vincenzo; le altre nicchie servono per conservare i busti reliquiari dei tre Santi, opera in argento con smalti di Limoges.
Il corpo centrale rappresenta tre grandi scene: Trasfigurazione di nostro Signore, Adorazione dei Re magi e l’Ascensione; tutto ad altorilievo separato da pilastri gotici. Nel quadro centrale risalta il circolo vuoto per l’Ostensorio,orlato da cherubini.
Visitiamo pure velocemente la Basilica della Madonna del Pilar, elevata a rango di basilica da Papa Pio XII nel 1948 e visitata da Papa Giovanni Paolo II^ nel 1987??). All’interno c’è la piccola statua della Vergine del pilar (pilastro), rivestita da un paramento sacro bianco e posizionata in una nicchia con lo sfondo dorato, simile ad un’ostensorio. La statua viene venerata sia sul davanti che sul retro da lunghe file di fedeli che baciano il “pilar”. Nella basilica sono esposte tutte le bandiere degli stati latino-americani a segnare il passato legame storico della Spagna con quel continente al tempo del massimo suo fulgore imperial-coloniale.
Sul finire della grande piazza che inizia dalla Seo e contiene anche la Basilica della Madonna del Pilar c’è una enorme fontana particolare (vedi foto) “La fuente”. Dopo alcuni minuti di cammino veloce raggiungiamo la statua di Cesare Augusto che aveva occupato la città, raggiungiamo la Aljaferia, che è una fortezza araba poi adattata a sede regale dai regnati spagnoli che si sono succeduti nei secoli fino ad essere, per una parte, utilizzata dal 1987 quale sede del Parlamento regionale dell’Aragona (Cortes de Argon), composta da 67 membri con maggioranza del PSOE (vedi foto). Una gran parte della fortezza è utilizzata quale museo dell’arte e della storia del restauro della fortezza con tutte le opere che conteneva, restauro iniziato purtroppo solo nel 1946. Se si fosse intervenuti prima avremmo un sito simile alla stupenda Alhambra di Granada. Ciononostante nel 2001 l’Unesco dichiarò la Aljaferia Patrimonio dell’Umanità …come uno dei monumenti dell’arte mudejar aragonese.
Con il Camino di Santiago abbiamo potuto ammirare ben quattro Patrimoni dell’Umanità: il Camino innanzitutto, il sito di Atapuerca, le due cattedrali di Burgos e Saragozza, tra i centri più importanti della Cristianità e la Aljaferia.


Si ritorna con volo FR4634 della Ryanair con arrivo a Orio al Serio alle 20, in anticipo rispetto al previsto, dove c’è ad attenderci Fabrizio che ci riporta a casa.

Se ci sarà concesso dal Buon Dio , l’anno prossimo vorremmo arrivare a Santiago de Campostela.

Buen Camino …….ultreya y suseya[46]




Diario della 2^ parte del Camino 6-20 luglio 2007.

Si riprende l'avventura interrotta il 18 luglio 2006 con l'arrivo a Burgos.
Dopo avere raccolto alcune intenzioni e desideri di amiche e amici da portare a Santiago mi arriva una mail di Rita Malfatti, che nel salutarci ci manda una poesia del poeta portoghese, Fernando Pessoa che racchiude l'essenza di tutti i viaggi:
“IL VIAGGIO E' IL VIAGGIATORE.
QUELLO CHE VEDIAMO
NON E' CIO' CHE VEDIAMO,
MA CIO' CHE SIAMO.

Si parte da Mori il 6 luglio 2007, una stupenda giornata di sole. Volo 4661 da Orio al Serio a Valladolid, capitale della Castilla Leon, del tutto tranquillo.
Abbiamo due alternative: puntare su Leon,saltando tutta la meseta (l'altopiano) o riprendere da Burgos, saltando solo qualche tappa,avendo solo 17 giorni a disposizione.
Si opta per Burgos, incontrando qualche problema alla stazione dei pulman di Valladolid, che non sono molto puntuali. Arrivati, facciamo una puntatine per ammirare ancora una volta la cattedrale, patrimonio dell'Umanità, con le famose due torri, dopodiché ci incamminiamo all'albergue de peregrinos, situato in un bellissimo parco della città. Percorriamo i 2 km sulla passeggiata che costeggia il fiume Anzalon,sotto le magnifiche volte di platani intrecciati ad arco (vedi foto) con a lato qualche rudere che testimonia l’antica presenza dell’impero romano. Ci accreditiamo con la Credencial, conservata dall'anno scorso; ci viene apposto il timbro (sello)ed assegnato il posto nella camerata grande. Siamo una cinquantina di persone di diverse nazionalità.
Mangiamo quanto acquistato al vicino supermercato (l’avessimo saputo, si poteva fruire della mensa universitaria nelle immediate vicinanze, anche per tornare a rivivere un po’ i tempi della mensa della mia Università di Padova) e ci concediamo un po di relax prima del riposo notturno, qui tassativo dalle 22. Qalcuno russa ma ci addormentiamo subito; penso ai miei cari ed ai miei amici: sono contento perché, quest’anno, mi sembra di aver dato un buon contributo sia a Mori che in quel di Trento. Ringrazio il Buon Dio e l’Apostolo Santiago che mi hanno concesso di intraprendere con Carmen e Roberta nuovamente il Camino, per trarre nuova linfa spirituale e di Fede e nuova fiducia nell’Uomo.
Sabato 7 luglio- 1 ^tappa-Burgos-Hontanas di km 29.
Partiamo alle 6,25; è quasi buio e l’aria è fresca. Salutiamo un'anziana coppia di giapponesi ed un gruppo di ragazzi dell'Arkansas(Usa). Fuori del parco c’è l’ermita de San Amaro peregrino e subito dopo, in un antico palazzo, c’è il Rettorato e la Facoltà di Diritto dell’Università di Burgos. Poco dopo c’è un monumento in bronzo al Pellegrino con la seguente didascalia:”

Cuando el viaje llegue a su fin
Saldra’ la estrella de la tarde
Y las armonias del crepuscolo
Se abriran ante el portico del Rey
Quando il viaggio arriva alla fine
Salirà la stella della sera
E le armonie del crepuscolo
si apriranno di fronte al portale del Re







Attraversiamo la periferia di Burgos e procediamo spediti nella campagna, coltivata a grano, dove ammiriamo il levar del sole. Ci sono molti fiori di campo, fiordalisi, papaveri che rendono il quadretto più suggestivo. Costeggiamo l’Arlanzon, dove i germani reali nuotano con eleganza ; costeggiamo nuove grandi strade, autostrade e viadotti. Ci sono grandi appezzamenti irrigati e coltivati a barbabietola da zucchero e trifoglio.Dopo 8,5 km arriviamo a Tardajos; all’entrata del pueblo c’è un monumento al Camino in una pietra che sembra porfido, riprodotto su una lastra, di un marrone più scuro, che rappresenta la Spagna (vedi foto). Facciamo colazione in un bar assieme ad altri,tra cui una ragazza coreana che incontreremo successivamente in difficoltà, per i piedi doloranti.
Vediamo in diretta tv la prima giornata dell’encierro, la famosa corsa dei tori per le vie di Pamplona ,in onore di San Firmino, che proseguirà fino al 13 luglio. Scatenano 11 tori, sei neri di razza Miura e cinque bianchi di razza Mancos; stupendi esemplari. Solito rituale dei Sanfirmini; al termine della corsa nella plaza de toros sembra che non ci siano feriti gravi.
Ripartiamo contenti di tenere una discreta andatura;siamo sui 4,3 km ora-
La temperatura è buona, il cielo è coperto ma avvicinandosi alla meseta il sole ritorna prepotente. Lasciamo il fiume Arlzalon e accostiamo Pedro, un professore spagnolo in pensione, che da 36 vive a Brasilia, dove insegnava lingue e letteratura straniera all’Università. Ci racconta che fa solo un pezzo del Camino perché a Rabé de las Calzadas, il paese cui stiamo arrivando, deve fermarsi per far visita a suo fratello. Dice di aver venduto molti dei suoi libri e di dedicarsi ora alla vita dei campi.(vedi foto). Lo salutiamo con alcune foto. Finora il sentiero era leggermente in discesa, d’ora in poi sarà leggermente in salita per affrontare la prima meseta, che in spagnolo significa altopiano. Si presenta come un tavolato andulato ad una quota altimetrica che oscilla tra gli 800 ed i 900 metri. Incontriamo i primi greggi; il frumento (trigo) è la coltivazione pressoché esclusiva, più verde di quello lasciato l’anno scorso, nelle regioni più a est e più basse della Spagna. All’orizzonte grandi distese di frumento che danno l’idea di camminare tra le dune del deserto o su un infinito mare giallo. Per alcuni le mesetas, dove, tra un paese e l’altro non si incontra anima viva, è un paesaggio monotono che dice poco o niente; infatti Carmen e Roberta che avevano sentito queste impressioni, avevano proposto di saltarle ma poi hanno convenuto che sarebbe stato un errore, perché le abbiamo scoperte di un fascino particolare e ci hanno suscitano suggestioni uniche.
Tornando al grano, probabilmente viene seminato più tardi a motivo dell’ altitudine; c’è qualche coltivazione di patate,naturalmente irrigata, e qualche appezzamento di barbabietola da zucchero. Giallo ed azzurro sono i colori dominanti; l’incontro della terra con il cielo.
Tra i fiori ammiriamo il rosso vivo dei papaveri, l’azzurro dei fiordalisi ai margini delle distese di grano, le diverse tonalità violacee delle tante specie di cardo, centauree ed echium, verbaschi come tanti candelieri gialli,vedi foto, il bianco delle margherite ed altre composite.
Qualche gruppo sparso di querce nella marea bionda d’à l’idea di piccole oasi nel deserto.

Arriviamo a Hornillos del Camino dove a 18 chilometri dalla partenza facciamo il primo pediluvio, laviamo i calzini (vedi foto di un pellegrino intento a ciò ….ed all’ombra di un ulivo……) e utilizziamo le creme che ci siamo portati. Sulla importanza di questi accorgimenti, per evitare l’insorgenza delle vesciche (ampollas), si rinvia al diario 2006. Alle 12,15 puntiamo su Fuente San Bol, che dista 6 km; fa caldo ma, a differenza dell’anno scorso, la meseta ci offre una brezza molto fresca sia per la quota ma anche perché quest’anno l’estate spagnola è la più fresca da molti anni[47]. Arriviamo verso le 14 deviando appena dal sentiero; ci appare come un’oasi nel deserto,una folta vegetazione con una fonte naturale di acqua freschissima (un po' meno fredda di quella di malga Ciapela della gita Sat di domenica scorsa!). Accanto vi sorge un rifugio di chiara ispirazione templare (vedi foto). Facciamo un pediluvio ristoratore, nella vasca ricavata nel boschetto con il fondo azzurro e la lavatura dei calzini che distendiamo al sole e Bernardo,volontario tedesco ci prepara una gustosa insalata ed un buon caffè. Dopo un riposino sull’erbetta soffice ,all’ombra dei pioppi, allietati da una fresca brezza, affrontiamo l’ultima meseta della giornata. Incontriamo una mietitrebbia al lavoro affiancata da due rimorchi enormi per il trasporto dei chicchi nei granai. (vedi foto). Le piante dei piedi incominciano a far male, sembrano scottare; ci fa anche un po’ male il collo forse per il peso degli zaini che si fa sentire sulla colonna vertebrale. Quest’ultimo inconveniente sappiamo che, con un po’ di allenamento dovrebbe passare mentre per i piedi ….confidiamo in Santiago…..
Dopo un’ ora e mezza giungiamo ad Hontanas, che ci appare all’improvviso ,come se spuntasse d’incanto, sotto la linea dell’orizzonte (vedi foto). Durante il Camino è facile cadere in una specie di illusioni ottiche, quasi un miraggio da fata morgana, da cui occorre ben guardarsi. Quando, in lontananza, si scorge la meta, sembra che sia a portata di mano; invece mancano ancora parecchi chilometri e non bisogna farsi ingannare dall’occhio ..o dalla fatica….
Troviamo un albergue privato accogliente, pulito ed un’ottima cena a base di lenticchie e di merluza. E’ paragonabile ad un cinque stelle rispetto a quello di Burgos, pubblico; purtroppo la differenza tra gli albergues pubblici e quelli privati è significativa. Generalmente i primi praticano prezzi più bassi se non addirittura ad offerta ma danno servizi meno qualificati e le carenze maggiori sono nella pulizia ed igiene come pure nella sicurezza[48]. Gli albergues privati hanno prezzi più alti ma in cambio garantiscono uno standard di qualità più elevato e generalmente assicurano anche la cena ed in certi casi anche la colazione, che è una componente molto importante nella vita del pellegrino. Infatti un conto è partire al mattino presto a pancia vuota, un altro è avere la possibilità di consumare una colazione adeguata.
Debbo confidare che non ho capito la logica che muove il Governo Spagnolo ed i Governi regionali e le autorità locali nella gestione dei loro albergues; la Spagna si presenta sui siti internazionali con il Camino de Santiago, quale principale attrazione turistica; il Governo regionale della Galizia, interessata dall’ultimo tratto del Camino, quello più frequentato, spende cifre consistenti per la promozione dello stesso; ebbene ci vorrebbe poco per garantire almeno le condizioni igienico-sanitarie e di sicurezza minimali. Anche in tema di sicurezza infatti siamo ben lontani dai nostri standard; ad esempio in certi casi mancano le uscite di sicurezza e c’è da meravigliarsi che non sia mai successo nulla di grave. Ma come ben si sa quando le disgrazie succedono tutti, poi, si stracciano le vesti e si ordinano inchieste su inchieste; ma per le vittime incolpevoli ormai non c’è più nulla da fare[49]. Per contribuire al superamento di tale situazione ho fatto presente questa mia preoccupazione e questo giudizio negativo sugli aspetti igienico-sanitari e della sicurezza ad alcuni amici spagnoli affinché se ne facessero interpreti presso le autorità spagnole.
Nel piccolo albergue facciamo subito amicizia con due ragazzi trentini anch’essi sul Camino, Francesco Goio di Imer e Giacomo Loss di Trento, appena diplomato.Quest’ultimo mentre sta lavandosi la biancheria confida a Carmen che l’esperienza del Camino gli serve anche per apprezzare di più il lavoro di sua madre………. Non sono esperti del Camino perché sono appena partiti da Burgos e chiedono a Carmen consigli sulla cura dei piedi, al che li informa e li consiglia …..ormai da esperta.

Dopo cena, per sgranchirsi un po’…….. e smaltire l’acido lattico, prima di dedicarci al diario facciamo un giretto per il paese; è molto bello, sa di antico, è esclusivamente agricolo, girano enormi trattori da 120 hp; uno ha appena procurato un danno ad un’auto, causa l’enorme raggio di curva che questi bestioni richiedono quando, come nel nostro caso, portano un’enorme atomizzatore sul retro.
Oggi abbiamo percorso 29 km., i momenti più difficili e faticosi li abbiamo incontrati negli ultimi due tratti di meseta per il forte caldo; per fortuna, come dicevamo, c’era una brezza fresca che ci ha aiutato.
Mentre con Roberta concludiamo queste note, l’orologio del campanile di Hontanas batte le 22. Ormai siamo rientrati nello spirito del Camino con umiltà, disponibilità e gioia nelle relazioni. Dormiamo al 2° piano in una bella cameretta da 7 posti, occupata da una sola coppia di norvegesi, con cui nel tardo pomeriggio ho scambiato qualche parola in inglese e capito che vengono dal nord della Norvegia. Dico che mio nipote Marco sta svolgendo l’Erasmus nell’università di Trombe, nel nord della Norvegia. Quando mi corico il pellegrino norvegese è impegnato in una sinfonia sublime (“roncadores “ li chiamano….); seguo….il pezzo per un attimo…. poi mi addormento in pace.


Domenica 8 luglio - 2^ tappa - Hontanas -Fuente Fitero di 20km.

Durante la notte, dall’una in poi sentiremo battere, tutte le ore, dell’orologio del campanile che abbiamo lì accanto. Mi alzo verso le tre e dal terrazzo posso ammirare il cielo al meglio, grazie all’oscurità, non inquinata da luci. Il piccolo pueblo non ha grandi esigenze di luce notturna;lavorando tutto il giorno nei campi, con il caldo della meseta, non c’è molta vita notturna. In cielo c’è qualche nube e la luna risplende maestosa; è una mezza luna,con gobba a ponente. Le stelle brillano superbe, penso di scorgere ed ammirare il Carro maggiore e la via Lattea, con il fascino delle notti che solo a Lampedusa o nei nostri rifugi, naturalmente con costellazioni diverse, ho potuto contemplare. La vista del cielo e delle sue stelle, in una situazione ottimale stupisce sempre; penso ciò che sta al di là del cielo, degli anni luce che ci separano dalla fonte di quelle luci; all’Infinito, all’immensità del Creato ed alla magnificenza del suo Creatore……
Alle 5,25 Carmen si alza e noi la seguiamo. I Norvegesi se la dormono alla grande, ma ci sorpasseranno qualche ora più tardi sulla collina di Mostelares,a 910 metri,dopo Castrojeriz.
Fuori e' buio pesto, battono le 5,30. Massaggiamo i piedi con pomata a base di canfora. Per non disturbare non si possono accendere le luci;il frontalino lo adopera Carmen, Roberta ha la pila, mi viene preziosa la luce del palmare.
La colazione viene servita dalle 6, caso più unico che raro, almeno finora, lungo il Camino; in seguito, come dicevamo, negli albergues privati verrà servita prevalentemente dalle 6,30.
Lasciata Hontanas (vedi la foto del campanile con la luna che fa capolino) seguiamo il sentiero sterrato e pianeggiante, accompagnato da tanti fiori di campo. Il Camino passa nei sentieri di campagna, utilizzati da trattori che lasciano i segni della larghezza tra le ruote. L’incessante camminare nei secoli dei pellegrini ha formato anche due piste centrali come si vede dalla foto. Avvertiamo tutti e tre i piedi indolenziti, io fatico un po' di più ma stringiamo i denti…. Veniamo sorpassati sempre più frequentemente da pellegrini in bicicletta che ci salutano …. Dopo 7 km giungiamo all’antico e diroccato convento di San Anton, e passiamo sotto la sua arcata gotica. Nei campi notiamo, accanto alla prevalente coltura del grano anche la coltivazione di foraggio ed i trattori, con i rastrelli meccanici che svolgono le operazioni di fienagione. Ancora un paio di km e giungiamo a Castrojeriz, di origine visigota, teatro di feroci battaglie tra cristiani ed arabi; nel 1131 diventò del Regno di Castiglia. Sulla collina lo domina il vecchio castello, con ciò che resta dopo il terremoto di Lisbona del 1755, che investì pesantemente anche questa zona della Spagna.
C'erano delle bellissime chiese, come la collegiata di Nuestra Senora del Manzano, romanica, la chiesa-fortezza di San Giovanni, gotica (vedi foto) e monasteri, purtroppo tutti chiusi.
Facciamo un pediluvio nella antica fontana all’inizio del paese (vedi foto) , facciamo scorta di viveri e nell’attraversare il centro storico notiamo un nuovo albergues, dotato, finalmente!!, di pannelli solari. In cuor mio mi rallegro anche se purtroppo, tale esempio, resterà unico in tutto il Camino, tranne che in una Casa rurale, una specie di agriturismo, dove noto i pannelli anche lì installati di recente. Puntiamo, con maggior lentezza rispetto a ieri, all’altura di Mostelares, da dove si può ammirare lo snodarsi del Camino da Castrojeriz nell’ampia vallata (vedi foto) e sulla destra due grandi parchi eolici.
Un cartello segnala la zona come area di interpretation ecologica de Castrillo de Maiajudios. La vegetazione che cresce a queste altitudini della Castiglia, sono condizionate dalla durezza del clima, continentale,e dalle differenze litologiche (i terreni sono calcarei e silicei). I tipi di vegetazione presente sono
Alberi:quercus rotundifoglia, quercus coccifera, quercus faginea,yuniperus thurifera, quercus pirenaica,quercus suber.
Arbusti:genista sorpius,rosmarinus officinalis,cistus albidus,yuniperus oxycedrus,retama sphaerocarpa,cistus ladanifer.
Erbe:thjmus vulgaris,lavandula officinalis e latifoglia,salvia lavandulifoglia,santolina chamaecyparissus, mejorana (thymus Mastichina).
Riprende il Camino nella meseta, sempre suggestiva ed affascinante; per lunghi tratti ci troviamo distanti; Carmen fa da battistrada, segue Roberta, io sono quasi sempre indietro perché mi fermo a fare foto. ll sole picchia forte (tutti e tre abbiamo in testa la bandana e portiamo gli occhiali da sole); il vento che fischia nell’immensità della meseta assolata fa un certo effetto, suscita un senso di immensità, di infinito, di ....solitudine che invita alla contemplazione…a pensare a cose altrettanto grandi e trascendenti…al senso del peregrinare in questa nostra vita ...Ci viene in mente che oggi a Mori fa la sua prima messa don Nicola Berti ed gli inviamo un messaggio di augurio tramite don Cosma.
Scesi dalla meseta arriviamo ad una fonte di acqua fresca e poco dopo ci ritroviamo all’Eremita di S Nicola del XIII secolo, a S Nicolas de Puente Fitero. Il parco è pieno di alberi, che non incontriamo da molti chilometri ed è talmente invitante che ne approfittiamo per riposarci su un invitante manto erboso, all’ombra ed accarezzati da una leggera brezza. Di lì a poco facciamo conoscenza con Lorenzo e Giancarlo, della confraternita italiana di S.Jacopo di Perugia che gestisce l’eremitaggio ricavato in una cappellina rimasta dall’antica chiesa; oltre all’altare c’è tutto quanto occorre per l’accoglienza dei pellegrini,escluse le docce ed i servizi che sono in una casetta annessa. Stavamo proprio cercando questo albergue ma, dalle indicazioni delle carte in nostro possesso, pensavamo si trovasse ad un chilometro più in là rispetto al percorso e non ce la sentivamo di camminare oltre. Decidiamo pertanto di fermarci qui per la notte e siamo i primi arrivati oggi.
Per prima cosa cerco di curarmi un po’ il piede destro che mi fa molto male; mi si sta formando una pericolosa vescica. Lorenzo, che è ormai un esperto in materia, mi applica un cerotto di spessore che mi lenisce da subito il dolore.

Mi colpisce una frase scritta su una panca:”Si te hace falta,coje si te sobra pon.
Dona quello che puoi ,prendi secondo i tuoi bisogni”; che richiama anche un noto principio marxiano.
Verso sera siamo in 8 italiani, tra cui Leonardo di Matera,che parla bene lo Spagnolo e l’Inglese; Simone, il chitarrista e la sua amica Chiara, toscani. Martina, Annette ,Lydia, tre tedesche ed Esti ed Ana, due spagnole.
Prima della cena Lorenzo e Giancarlo, fanno la lavanda ed il bacio dei piedi a tutti noi pellegrini, imitando il gesto che Gesù fece con gli apostoli, seguendo un rito antico della loro confraternita. In segno di riguardo per le pellegrine tedesche mi chiedono di leggere la formula che accompagna il rito nella loro lingua, che in italiano così recita:" Nel nome di Cristo ti accogliamo nell’hospital di San Nicolas. Che il riposo ti conforti ed aumenti la tua forza per continuare il tuo cammino verso Santiago” . E’ un momento di forte emozione non solo per il richiamo al gesto che Gesù fece in Cena domini il giovedì santo nei confronti degli Apostoli ma anche per il gesto di accoglienza e rispetto nei confronti di noi pellegrini moderni, da parte di Lorenzo e Giancarlo, della confraternita di S.Jacopo di Perugia, un gesto che ci suscita un forte richiamo alle più nobili tradizioni e comportamenti della storia millenaria del Camino de Santiago.

Si cena in un clima di viva cordialità, al lume di candela perché non c’è l’elettricità; un po’ come ad Arres, la prima tappa in Aragona o a Granon, nella Rioja, nell’albergues ricavato dal campanile della Chiesa di san Giovanni Battista. Dopodiché Simone, utilizzando una chitarra lasciata da qualche pellegrino nella vecchia chiesa, inizia a suonare una serie di musiche medioevali, moderne, e musica sacra, tra cui Jubilate Deo, il canone della Comunità di Taizé-omnis terra , servite Domino, in laetitia , alleluia,alleluia-,Nada te turbe, dalla frase di S Teresa d’Avila e Fratello sole, sorella luna. Dopodiché prende in mano la chitarra Annette la ragazza tedesca e si accompagna ad una serie di canti tra cui uno di Dietrich Bohnhoeffer, simbolo della Resistenza e martire della barbarie nazista-Von guten Maechten wunderbargeborgen. Qualcuno apre la porta ed entra il sole che è ancora alto all’orizzonte, mentre noi siamo al lume di candela, nell’oscurità dell’antica chiesa. E’ un clima di gioia, di forte emozione, di comunione di intenti che ci accompagna fin quando andiamo a dormire.
Poco prima di coricarmi esco e tira un forte vento freddo; sullo sfondo vedo un parco eolico e penso anche a quanta energia questo soffio potente produce per l’uomo e per le sue necessità. Come avremo modo di constatare anche lungo il Camino, l’Uomo è poco degno di questa grande risorsa perché la spreca in modo sciocco ed autolesionista; per fare solo un esempio nelle grandi stazioni ferroviarie (come quella bellissima di Saragozza, inaugurata solo 3 anni fa) e negli aeroporti della Spagna, ma è purtroppo così in tutto il mondo, il condizionamento è regolato in modo del tutto irrazionale ed a temperature molto basse, anche quando, come nel nostro caso, la temperatura esterna è altrettanto bassa. In ogni caso uno spreco assurdo di energia che causa danni alla salute; personalmente, pur indossando pantaloni lunghi e felpa da montagna, mi sono beccato una costipazione che ho impiegato più di 10 giorni a superare. Da abitante del mondo, consapevole degli effetti che tale impostazione determina negativamente sull’equilibrio ecologico e meteo del nostro Pianeta, non riesco proprio a comprendere tale intento suicida dell’Uomo.

Lunedì 9 luglio-3^ tappa da Puente Fitero-Fromista km 15

Al mattino c’è quiete; il vento è scomparso. Facciamo colazione tutti assieme e nel salutarci prometto a Giancarlo Guerrini, Presidente della Fondazione per il Cammino della luce di Amelia (Terni) di inviargli il diario dell’anno scorso. Attraversiamo il rio Pisuerga; anche quando il sole è alto all’orizzonte tira un brezza fresca.
Le ombre ci precedono finché il sole è allo zenith, dopodiché piano piano ci inseguono, finché al tramonto sono molto lunghe dietro di noi; il Camino infatti percorre da est a ovest il nord della Spagna. Facciamo un incontro singolare con un anziano spagnolo del luogo, di 82 anni, che percorre in senso inverso il Camino e si presenta come amico del pellegrino, tutto agghindato di simboli del Camino, ben vestito, profumato. Scherza con Carmen e Roberta e si interessa sul loro stato civile….
Osserviamo i nidi di cicogne sui tetti e ci fermiamo ad ascoltare il concerto di raganelle e degli uccelli sulle piante che costeggiano il Canale di Castilla, che va verso Fromista.
In un bar raggiungiamo le tre tedesche e Roberta da una fascia elastica ad Annette; meraviglia che pur avendo molto male al ginocchio da giorni, si sia resa conto solo ora che qualcosa deve pur fare per non compromettere il suo Camino. Mi viene da pensare che la proverbiale organizzazione ed efficienza teutonica non sia più tale........
Prima di guardare gli altri, debbo però pensare a me stesso,perché il piede sinistro è proprio messo male. A Fromista cerco un centro de salud, che è però un po’ distante dal percorso e decido quindi di andare in farmacia per cambiare il cerotto e per valutare il da farsi. Trovo il dr Juan Ramon Rodrigues Medina, sicuramente di nobile casato, che mi cura con affabilità e professione iniettandomi Betadine -la tintura di iodio- che provoca un dolore lancinante per qualche secondo e pomata a base di fitostimoline. Tra i rimedi valutati sul campo sono i più efficaci ed a cui si è attenuta nei giorni successivi anche Roberta, per far fronte alla sua situazione, ben più seria della mia.
Fino a qui abbiamo percorso solo 14 km; dopo aver pranzato su una panchina in centro e constatata la situazione sanitaria precaria decidiamo di prendere il bus per Leon via Palencia. Lungo il percorso osserviamo dei grandi parchi eolici (vedi foto). Da qui prendiamo il treno per Leon, dove arriviamo alle 18,45.
Quando il Camino attraversa le grandi città si ha una certa difficoltà a trovare la flecha amarilla o la concha fino all’albergues; ma basta chiedere e ci rivolgiamo ad un’anziana coppia che gentilmente si mette a nostra disposizione e si offre di accompagnarci fino al Monastero delle suore Benedettine, perché la sera fanno una funzione per i pellegrini. Noi tre seguiamo la moglie, signora Esperanza, molto preparata, professionale, tanto che le chiediamo se fa la guida turistica. Ci risponde che per molti anni ha gestito con il marito un ristorante in Argentina ed ora è tornata nella sua città natale, Leon. Ci porta al museo che raccoglie le tradizioni del Venerdì Santo, (vedi foto), ci accompagna per il bellissimo parco del centro, dove ci indica il monumento a San Francesco di Assisi, patrono d’Italia ma anche Pellegrino nel Camino de Santiago. Faccio una foto al monumento e poco più in là mi accorgo che sull’erba ci sono due ragazzi che si baciano e mi viene spontaneo immortalare la statua del nostro Patrono tra il lupo e la pecora, con sotto i giovani innamorati. Esperanza ci indica anche il già Sindaco di Leon, l’alcalde, che a piedi ci passa vicino.
Arriviamo all’albergues pubblico di Leon, molto grande delle suore di clausura benedettine; mentre salutiamo con un caloroso grazie la nostra “guida” ci commuove il suo gesto perché ci chiede di ricordare, sulla tomba di San Giacomo, suo figlio Josè, che ha dei problemi. Ci ricorderemo anche di Lei e di suo figlio, assieme a tutti gli altri. Dopo la sistemazione in una camerata-bunker, in cui apro una finestra che dà su una piazza per poter respirare, fatta la doccia e messi in carica cellulare, telefonino e pile per la digitale andiamo velocemente a cena perché alle 21,45 c’è il silenzio, con la sola opportunità di recarsi alla vicina chiesa delle suore di clausura benedettine. Ci troviamo un bel gruppo per le letture sacre; vengono distribuiti i testi in spagnolo, inglese,francese,tedesco ed italiano. Mentre rientriamo in camerata colpisce un folto gruppo di polacchi (li individuo dalla bandiera su una delle tante biciclette parcheggiate nell’ampio cortile) che invece di venire con noi in chiesa si sono messi in cerchio a pregare.

Martedì 10 luglio- 4^ tappa-Leon-Villar de Mazarife km 21,5.

Al mattino sveglia alle 6,30 con i canti gregoriani; tanto erano suggestivi pensavo cantassero dal vivo dei frati benedettini, mentre erano registrati. Facciamo colazione nella cucina dell’albergue con caffelatte, marmellata e pane; ci colpisce uno zaino al quale sono appesi gli scarponi, in cui sono infilati da una parte una scatola di biscotti e dall’altra una bibita (vedi foto). Dirigendoci verso la Cattedrale possiamo ammirare la splendida Casa Botines, inconfondibile opera di Antonio Gaudi (1892-1893), sul cui piazzale antistante facciamo anche qualche foto scherzosa con la scultura in bronzo del celebre artista ed architetto, che lo raffigura seduto su di una panchina intento a disegnare.(vedi foto). Puntiamo sulla Cattedrale ma dobbiamo attendere le 8,30 per la sua apertura; sulla piazza antistante, nella parte riscaldata dal sole (fa freddo, nonostante i pantaloni lunghi e la felpa!) ci intratteniamo con altri pellegrini, tra cui una giovane signora italiana che sta facendo il Camino da sola, perché ha preferito lasciare il marito in Italia giudicato non adatto ad una impresa del genere…. Nel volo di andata le hanno smarrito il bagaglio per cui ha dovuto comperarsi tutto l’occorrente e sta facendo il percorso in sandali, che, secondo la nostra esperienza, non è la soluzione migliore. Arriva anche una coppia di anziani con i quali abbiamo dormito stanotte all’albergues; è un geologo italiano Faillace Costantino di 82, amico del prof Elio Sommavilla[50] ,con la signora Katharina,tedesca,che ci raccontano della loro opera di volontariato in India a favore dei bambini orfani e delle vedove, che vivono situazioni veramente drammatiche. Possiamo entrare in Cattedrale, dedicata a Santa Maria La Regla, l’opera più importante del gotico spagnolo. E’ del XII e XIII secolo, a croce latina con tre navate e 5 absidi. E’ orientata con il portico verso Gerusalemme ed ha la facciata arricchita da statue gotiche. Appena entrati siamo affascinati dalle stupende vetrate e rosoni (circa 1800 metri quadrati di superficie) che diffondono un amalgama di luce e colori dall’effetto suggestivo, uniche nel Cammino . (vedi foto). Purtroppo abbandoniamo in fretta la visione magnifica delle bellezze della Cattedrale intirizziti dal freddo e dobbiamo stare nuovamente un bel pò al sole per riscaldarci! L’estate spagnola 2007 è veramente anomala.
Dopodiché visitiamo velocemente S.Isidoro, splendido esempio di arte romanica, dove riposano le spoglie del santo che era di Siviglia e molto venerato in Spagna. (foto 258-260).
Passiamo davanti alla sede del Parlamento della Castilla-Leon e subito dopo al sontuoso Hostal e monastero di S Marcos-vedi foto- una delle più grandi opere del rinascimento spagnolo, in stile plateresco, oggi riconvertito in hotel di lusso.
In periferia di Leon notiamo delle abitazioni caratteristiche, mai viste prima e che noteremo anche in seguito lungo il Cammino, completamente interrate e che mostrano l’entrata ed i comignoli. (vedi foto 266 e 268).Attraversiamo il rio Bernesga e puntiamo su Virgin del Camino che dista 8 chilometri. Lì visitiamo il santuario omonimo, costruito all’inizio degli anni ’60, in tipico stile moderno; fu eretto nel luogo ove sorse l’originale nel 1505, in seguito a una apparizione della Madonna ad un pastore. Si distinguono in particolare 13 figure in bronzo, che rappresentano gli apostoli e la Vergine. (vedi foto).
Acquistiamo qualcosa per il pranzo e ci fermiamo alla fuente del Pellegrino, appena fuori il paese, con un bel laghetto (vedi foto) circondato da un soffice tappeto verde e da due piccoli alberi che fanno poca ombra, ma comunque sufficiente per proteggerci un po'.
Dopo un breve riposo puntiamo su Villa de Mazarife che raggiungiamo dopo più di tre ore, stanchi morti. In questo tratto notiamo ancora il cuoricino rosso che ci segue da un bel po’; attraversiamo spettacolari raccordi autostradali e per chilometri percorriamo un sentiero su terra ferrettizzata e scenari di fiori molto suggestivi. (vedi foto). E’, finora, la tappa più faticosa del Camino 2007.
All’entrata del Paese vediamo un piccolo albergues circondato da un bel prato che ha in azione le girandole per annaffiarlo; mi viene naturale entrarvi e ,vedendo che c’è una postazione internet, chiediamo ospitalità.
Doccia,collegamento internet per salutare e avere notizie da qualche amico\a di cui ho la mail ed a cena con la paella, un po’ bruciacchiata. Siamo una quindicina di persone tra cui una pellegrina milanese con un amico tedesco, che ha grossi problemi ai piedi. Le consigliamo il trattamento con il Betadine associato a pomata a base di fitostimoline, che però rifiuta in quanto considerato troppo doloroso, nonostante insistiamo molto sulla sua straordinaria efficacia.
Prima delle 22 a letto e cadiamo in un sonno profondo.

Mercoledì 11luglio- 5^ tappa-da Villar de Mazarife a Astorga 31km.

Ci svegliamo quando ormai i più bravi sono partiti; facciamo una colazione abbondante e prima delle 8 si parte sul fresco.
Percorso via via sempre più verde per la presenza di molta acqua e con canali di irrigazione e moderne opere idrauliche (foto 294). Le colture mutano; in prevalenza mais, irrigato a scorrimento, barbabietola da zucchero, di cui nelle vicinanze c’è lo stabilimento di trasformazione.
Nella vegetazione coltivata si notano i pioppeti; querce, ginestre nella vegetazione spontanea e salici e vegetazione d’acqua lunghe le rive. Sopra di noi passano i grandi elettrodotti che trasportano l’energia elettrica alle grandi città ed alle zone industriali.
Procediamo ad un buon ritmo; scorgiamo ancora il cuoricino rosso, che ci accompagna da qualche tempo…..ammiriamo i superbi nidi con le cicogne che vi dimorano tranquillamente. Il Cammino attraversa anche la ferrovia, ovviamente senza il passaggio a livello!! Ci fermiamo dopo tre ore a Puente y Hospital de Orbigo, due città collegate dal famoso ponte dell’epoca romana (foto 289),con molte arcate, testimone di numerose battaglie tra le quali si ricordano una tra svevi e visigoti nel 452 e quella del 900 tra Alfonso III “el magno” ed i cordobesi che minacciavano la zona.Anticamente c’era un hospital specializzato nell’accoglienza dei pellegrini malati.

Facciamo un buon pediluvio nella fontana della piazza, mangiamo qualcosa e osserviamo una simpatica fila di bambini dell’asilo che con una manina salda si tengono alla corda le cui estremità sono saldamente in mano alle due maestre. Ognuna spinge un passeggino carico di piccini e l’allegra compagnia mi manifesta interesse ai gesti che faccio per fotografarli. E’ l’immagine simpatica della Spagna e dell’Europa del futuro! Faccio un rapido giro al mercato e mi colpisce un banchetto dei formaggi che vende anche pesce, rigorosamente sotto sale. C’è da dire che in questi primi giorni la parte del leone la fa, a mezzogiorno, il tonno sott’olio e la sera le buone insalate e, per me, quasi sempre merluzzo (merluza). Proseguiamo per un lungo tratto ,qualche kilometro su un sentiero che costeggia l’A 120; in qualche tratto passa tra due file di erba alta che si fa quasi fatica a camminare.(foto 309) In un tratto sull’asfalto troviamo l’ennesimo incitamento, con spray verde, Animo Teresa… ed all’incrocio con Santibanes de Valdeiglesias, dove il Camino fa una deviazione nei boschi per evitare di continuare a costeggiare la strada principale c’è una panchina che invita a sedersi. Carmen e Roberta ci provano ma si trovano col sedere a terra perché è completamente marcia…(foto 311). Decidiamo di percorrere il tragitto più breve che costeggia lo stradone, dove ad una rotatoria ci viene segnalato che ad Astorga mancano 10 km. e delle belle locandine annunciano la Feria de Ajo-la festa dell’aglio per il 15-16 luglio a Veguellina de Orbigo. Possiamo continuare ad ammirare l’esposizione naturale di fiori bellissimi che accompagnano il sentiero.
Acquistiamo qualcosa da mangiare in una stazione di servizio, che ci propone il sello sulla Credencial, che accettiamo. Ci appartiamo per il pranzo in un boschetto, all’ombra di querce, lecci e ginestre, dopodiché ci riposiamo un po’; io e Carmen facendo un pisolino e Roberta con qualche lettura.
Puntiamo su San Justo de la Vega che dista circa 5 km ; entrando in città periferia ci vien voglia di bere qualcosa ad un bar dove c’è il titolare, molto gentile che parla italiano. Gli chiediamo dove l’ha imparato e ci dice che è stato in Svizzera per più di 30 anni con i Bergamaschi. Il bar ,come spesso succede in Spagna, è molto sporco per terra, mentre i posacenere sono perfettamente puliti! Comica è la scena quando il barista butta al di qua del banco le bustine del thé che ci ha appena preparato.
Quale osservazione di carattere generale su questa seconda parte del Camino rilevo la scarsa efficacia dei cartelli turistici, all’entrata dei vari paesi o città, nel senso che segnalano la presenza dell’ufficio turistico ma non ne indicano l’esatta ubicazione; nelle altre regioni come per esempio nella Rjoia o nella Navarra l’ufficio era proprio ubicato all’inizio del paese e ciò favoriva molto il pellegrino.

Raggiungiamo la famosa croce in pietra, da dove si vede, sullo sfondo, Astorga; sembra lì a due passi, in realtà dista più di due chilometri; è il fenomeno fata morgana che ancora una volta ci crea qualche illusione ottica.
Fino ad Astorga l’altimetria del Camino sulla meseta oscilla tra i 780 e gli 860 metri; d’ora in avanti il Camino sale dolcemente ma continuamente fino a raggiungere i 1532, il punto più alto, un po’ oltre Puerto de Foncebadon.
Arriviamo al primo albergues pubblico della città e ci fermiamo lì perché siamo stanchi ed i piedi ci fanno male.







Giovedì 12 luglio- 6^ tappa-da Astorga a Rabanal del Camino km km 20,5 -finora abbiamo percorso circa 135 km.



Si riparte con calma attraversando di buon’ora Astorga, completamente deserta; ci sono gli uomini dei rifiuti solidi urbani e i comunali che puliscono le strade con i getti d’acqua, una pratica molto diffusa nelle città spagnole.Passiamo davanti al cippo che ricorda il 1986 come anno del bimillennio di Astorga, l’antica Asturica Augusta, fondata dai Romani nel 14 a.C., dove si incrociavano la via Traiana con la via de la Plata (dell’argento), due delle più importanti del sistema viario di Roma imperiale. Il Camino de la Plata verrà percorso sempre nel 2007 da Dante Lanaro, Carla ed il fratello Aldo Galvagni. La sua storia è legata intimamente al Cammino tanto che nel passato vi erano 25 hospitales per l’accoglienza dei pellegrini. Ammiriamo il Palacio episcopal –il palazzo episcopale, in stile neogotico tra il 1899 ed il 1913, anch’esso opera di Antonio Gaudi, che sembra un castello dei libri di fiabe.
Passiamo davanti alla sontuosa cattedrale che richiama,nella facciata, con le due torri ed i collegamenti tra la navata centrale e le due laterali, quella di Leon, che è però chiusa e quindi proseguiamo.

Arriviamo al primo bar aperto e facciamo colazione mentre la TVE da in diretta l’encierro con le tre invocazioni a S Firmino; allo sparo del razzo si aprono le porte del recinto ed i tori si mettono a correre lungo la via obbligata che li porta ad una plaza de toros. La manifestazione odierna dura un po’ più del normale, 6,09 minuti; c’è infatti un bell’esemplare razza Miura che, mentre gli altri della “mandria” corrono velocemente verso la plaza preceduti ed accompagnati dagli “scalmanati”, si attarda lungo il percorso, in certi momenti torna sui suoi passi inseguendo i S. Firmini e incornandone parecchi. Sono scene impressionanti e colpiscono i commenti dei vari inviati tv sul comportamento anomalo del toro.

C’è una copia del El Pais di oggi, che riporta in prima pagina,taglio basso, le celebrazioni per il 12 anniversario del massacro di Srebrenica, che avevo già ricordato nel Diario 2006. Riferisce sulla sepoltura di 465 persone musulmane, il cui processo di identificazione si è concluso grazie all’impiego delle moderne tecniche di riconoscimento. Ricorda che il responsabile militare del massacro il gen Ratko Mladic è ancora latitante. El Pais dà conto dell’assalto alla moschea rossa a Islamabad, capitale del Pakistan, ad opera dei reparti speciali delle forze di sicurezza pakistane per liberare gli ostaggi trattenuti da giorni come ostaggi dai fondamentalisti islamici. Si dà notizia di 289 persone uccise nel corso dell’attacco di cui 203 ostaggi. Dell’Italia non si dice nulla, dal che deduco, secondo il vecchio adagio “No nuove, buone nuove”, che non sono accadute cose gravi.

Accanto al sentiero del Camino corre per molti chilometri la carretera ed un’altra strada in terra battuta probabilmente adibita ai mezzi agricoli. Ci sono i ponti appositi per il Camino, le ginestre imperversano, sul sentiero ci sono le frecce fatte di sassi messi una accanto all’altro che indicano la direzione per Santiago e, nel contempo ci sono, sempre più frequenti le indicazioni per il percorso di ritorno, che ovviamente hanno una collocazione diversa (vedi foto 347) ; troviamo l’ennesimo invito in spray verde con “Animo bambina”.
Giungiamo a Santa Catalina de Somoza, dove per la prima volta troviamo un ambulante che vende bastoni, conche e calabaze (le piccole zucche che servivano anticamente come borracce); d’ora in poi tale fenomeno sarà sempre più evidente. Fa molto caldo anche se c’è un filo d’aria che mitiga un po’ il tutto. Arriviamo a El Ganso, sui 1020 di altitudine, un paesino, con tante case in impressionante abbandono. Ci affascina un giardinetto di una trattoria, in cui ci rifocilliamo. Si riparte alle 15, mancano 7 km, alla meta, Rabanal del Camino. Il sole picchia forte; abbiamo la fortuna di percorrere un tratto del Camino bene all’ombra di un bosco di roveri; siamo sui 1153 metri. Nel percorso incontriamo due volte il cuoricino rosso, uno su un cartello stradale e l’altro su un vecchio tronco ancora conficcato nel terreno ed anche le pecore di un folto gregge stanno riposando all’ombra, assieme ai loro pastori e i cani da guardia (vedi 369). Fanno un certo effetto le croci che i pellegrini costruiscono con i rametti del bosco intrecciandole nella rete di plastica che, per qualche chilometro, costeggia il sentiero, probabilmente delimitando qualche proprietà. (vedi foto da 370 a 373).
Al telegiornale della sera apprendiamo che è stata una delle giornate più calde dell’estate 2007 con il superamento dei 40 gradi in certe zone della Spagna.

A Rabanal del Camino cerchiamo l’albergues del Monasterio benedectino de san Salvador de Irago, perché ci è stato detto è gestito dai Benedettini. In effetti dopo le pratiche igienico sanitarie, dopo una giornata campale, ci rechiamo nella vicina cappellina in ristrutturazione (vedi foto) dove tre benedettini, in abito talare, innalzano lodi e cantano i vespri in latino, secondo il rito gregoriano, tra cui il canto del Magnificat, che è meraviglioso; infine recitano la preghiera e la benedizione del Pellegrino dopo che alcuni pellegrini, di diverse nazionalità, tra cui un’italiana leggono, ciascuno nella propria lingua, le intenzioni. Il padre più esperto in lingue si ferma a confessare e colgo l’occasione per farlo anch’io, assieme ad un ragazzo tedesco. Come penitenza mi dà alcune prescrizioni da tenere al prossimo importante appuntamento sul Camino, la Cruz de hierro (la Croce di ferro), che affronteremo nella tappa di domani.
Siamo alloggiati in una piccola camerata, ricavata da una vecchia stalla del convento, assieme a due giovani coreani Jeong Suyeo la ragazza ed un ragazzo Yoon Jeong-Hwan, che mi danno simpaticamente qualche lezione per pronunciare il loro nome; quando li reincontreremo più volte, perché il Camino è come un’autrostrada in cui ci si sorpassa più volte vicendevolmente, e li saluterò nel modo più semplice…ciao Corea….mi sorrideranno sempre contenti..e Jeong mi risponderà con un … ciao Marcelo…Mi viene in mente anche la batosta che la “grande” nazionale di calcio italiana prese contro la Corea del Nord ai mondiali del 1966……..


Venerdì 13 luglio 7^ tappa da Rabanal del Camino a Ponferrada di km 32-con stasera abbiamo percorso circa 167 km.

Si parte alle 7, dopo una buona colazione consumata nella cucina dell’albergues gestito da volontari americani ed inglesi.
Appena fuori troviamo una nuova lavadora ristrutturata e poco dopo un capitello di legno che ricorda la morte di un pellegrino svizzero nel 1998. Da ricordare che mediamente lungo il Camino muoiono ogni anno 15 persone e ci sono mediamente due dispersi.
Il sentiero sale in modo più deciso rispetto alle tappe precedenti; abbiamo da superare circa 300 metri di salita per poi scendere a più di 1000 metri in discesa. E’ molto fresco e camminiamo speditamente, nonostante Roberta non abbia ancora superato i suoi problemi; ma la tempra è forte…E’ ammirevole la sua determinazione a voler andare comunque avanti.
Incontriamo una flora ricca e bellissima, oltre all’erica c’è una specie di velo di sposa sul violetto (vedi foto) che, coperta di rugiada ed illuminata dai primi raggi del sole, sembra fatta di diamanti e pietre preziose luccicanti… Arriviamo a Foncebadon, 1504 metri, paese ormai abbandonato in cui operano due albergues, un bar e trovano rifugio i pastori e gli allevatori di montagna. Entrando in paese si è investiti da un senso di profonda desolazione, affascinati da malinconiche rovine di ciò che resta di un paese che fu centro di accoglienza per i pellegrini che salivano sul monte Irago. C’è anche una croce di legno che richiama quasi un motivo cimiteriale. (vedi foto). Da quella visuale si osserva in lontananza la meseta che abbiamo percorso nei giorni precedenti e il panorama che ci circonda è decisamente alpino. (vedi foto) Dopo qualche chilometro raggiungiamo la famosa Cruz de hierro, eretta forse dall’eremita Gaucelmo, cui è dedicato l’albergues in cui abbiamo trascorso la notte. Alla base della croce si è formata una montagnola di pietre, da secoli portate lì dai pellegrini per chiedere protezione nel viaggio. Oltre ad assolvere la mia penitenza, facciamo le foto ricordo e lasciamo anche noi un sassolino con scritti a matita i nostri nomi,Trentino, Italia, e la data, 13 luglio 2007. Altri lasciano altre cose, anche di cattivo gusto, ma tant’è, anche questo rientra nello Spirito di Santiago. Nei pressi della Croce di ferro, che è in realtà un palo su cui c’è una piccola croce di ferro, un gruppo di specialisti sta costruendo una meridiana a terra che utilizzerà l’ombra delle persone che si posizionano su di essa per dedurre l’ora, utilizzando alcuni parametri riportati in una icona in bronzo cementata sulla stessa. Ci avviciniamo per capire cosa si sta facendo ed il responsabile del progetto, gentilmente, ce ne spiega il funzionamento e ci dice che analoga meridiana è attualmente in costruzione in Sicilia, in un parco fotovoltaico che sta costruendo l’Enel.
Qualche chilometro più oltre raggiungiamo il punto più alto del Cammino 1532 metri (vedi foto) che condividiamo anche nelle foto con una pellegrina tedesca; dopo di che iniziamo una lunga discesa spaccacambe con un dislivello di più di 1000 metri.
Ci fermiamo a mangiare qualcosa a Riego de Ambros, dopo circa 20 km dalla partenza e mancano circa 220 km da Santiago; sono le 14,30 ed il sole picchia tremendamente; mi vien voglia di mettere la testa sotto la fontana come l’anno scorso, ma siamo in quota e l’aria è fresca e ci dissuade dal farlo. Roberta trova un certo sollievo aprendo l’ombrellino che porta con sé al che la prendo un giro con l’appellativo di…..regina Taitù…
Schiaccio un pisolino fino alle 16 e si riparte; subito fuori il borgo c’è un monumento che rappresenta una bici a ricordo di un pellegrino tedesco morto per un incidente. Prendiamo il sentiero che inizialmente passa anche accanto e sotto dei meravigliosi castagni ed una fitta vegetazione, poi si fa via, via impegnativo e pericoloso; in caso di pioggia diventerà pericolosissimo perché lastricato di pietra micascistica. Arriviamo a Molinaseca, ove sulle rive del fiume stanno molte persone a prendere il sole ed a fare il bagno, alla cui tentazione non riesco a sottrarmi. L’acqua è molto fredda, molto più fredda di quella del Garda, cui sono abituato ed essendo sudato entro fino al ginocchio e mi bagno sulle tempie e sul collo per acclimatarmi; attendo un bel po’ dopodiché mi tuffo ,faccio alcune bracciate ma torno subito a riva perché sento che l’acqua è troppo fredda e non è saggio continuare. Mentre mi sto asciugando noto i cartelli che promuovono i prodotti locali della valle del Bierzo, tra cui spiccano i vini, le pere, le mele, i peperoni e gli insaccati. Poiché ormai siamo sui 25 km percorsi in un ambiente non certo pianeggiante propongo di fermarci in qualche albergue della città ma Carmen insiste per proseguire per Campo, qualche chilometro dopo. Come temevo non troviamo alcun albergues per cui dobbiamo, per forza di cose, arrivare a Ponferrada, che dista ancora sette chilometri, sotto un sole ancora cocente. Entrando in città abbiamo qualche problema nell’individuare il percorso e l’ubicazione dell’albergues de San Nicolas de Flue, cui arriviamo quasi fuori tempo massimo, alle 20,45. Ci accreditiamo con l’aiuto di un giovane volontario italiano che è qui con la moglie e la figlioletta, al suo primo giorno di servizio e ci confida che vuole fare l’esperienza dell’ospitalero, cioè del gestore di albergues, perché ha intenzione di mettere su qualcosa di simile in Italia, sulla via Francigena. Ci sono molti giovani Boy Scout; in camerata, situata nel piano sottoterra, siamo in 60; ma è molto funzionale, dotata di buoni servizi e dell’uscita di sicurezza, che lascio semiaperta per far circolare un po’ d’aria.
Velocemente facciamo la doccia, laviamo i panni ed io e Carmen usciamo a cena, dovendo rientrare assolutamente per le 22,30. Roberta ha problemi ai piedi e rimane in albergues facendosi qualcosa in cucina.
Sono molto arrabbiato, specialmente con Carmen, perché oggi abbiamo esagerato, e le esagerazioni poi si pagano; inoltre le condizioni di Roberta imponevano maggior prudenza. Dobbiamo cenare di tutta fretta, sbaglio addirittura menù ordinando pollo asado, che non sa veramente da niente, anzi è semplicemente ….schifoso… e, sempre di corsa, rientriamo che stanno battono le 22,30, con il responsabile …impaziente ….che sta chiudendo i cancelli…..
Quando le luci sono spente, e tutti ormai dormono esco in giardino, dalla porta di sicurezza, per farmela passare un po’, preoccupato perché mi sono arrabbiato così tanto… per cosa poi??? Mi lascio trasportare dal soffio del vento misto a qualche “melodia” che esce dalle persiane socchiuse delle camerate. Siamo in un albergue molto grande, stanotte saremo più di trecento.
Faccio qualche riflessione e, ritornando al mio sentire sereno, ringrazio il Buon Dio della giornata che ci ha donato, ricordo i miei Cari e gli amici lontani; riporto qualche annotazione nel diario un po’ preoccupato, non tanto per me, per le conseguenze che una giornata così dura potrà avere nei prossimi giorni. Chiudo il palmare alle 23,40 godendomi il canto dei grilli ed ammirando la luna alta nel cielo e le stelle e pochi minuti dopo mi addormento di colpo. Nei miei spostamenti notturni utilizzo il mio frontalino da montagna che al mattino seguente dimenticherò sotto il cuscino. E’ l’unica cosa , assieme ad una croce Tau di ulivo nel 2006, che ho dimenticato nel corso del Camino. Carmen non ha mai dimenticato nulla, Roberta ha avuto uno svista con dei cerotti!
Ponferrada divenne nel XII il presidio più importante dei templari in Spagna , anche il suo bellissimo castello (vedi foto) è stato costruito da loro, assieme ad una fitta rete per proteggere i pellegrini. Dista da Santiago circa 202 km.

Sabato 14 luglio 9^ tappa da Ponferrada a Fonfria -saltando O Cebreiro di km km 15,5-con stasera abbiamo percorso circa 182,5km, ne mancano circa 135 a Santiago.





Alle 4 partono i primi "eroi,, poi mano a mano l’armeggiare sugli zaini si intensifica finché alle 6 c’è la sveglia. Sul piazzale fotografo un bel totem di legno e la lapide che ricorda un pellegrino finlandese caduto. Ammiriamo il castello dei templari, le locandine che riportano il museo della radio e la sede del Club Alpino Berciano (vedi foto)-della valle del Bierzo. Attraversiamo tutta la periferia di Ponferrada, ancora deserta, cercando un bar aperto, che è introvabile. Puntiamo decisamente su Columbrianos, dove finalmente alle 9 ne troviamo uno e possiamo fare colazione, assieme a molti altri pellegrini. Strada facendo abbiamo raccolto qualche ciliegia molto buona e succosa.
Nonostante l’Encierro inizi il 7 e termini il 13, anche stamattina, su tutte le reti spagnole, vengono riproposte le immagini e le incornate più significative dell’ edizione 2007. Proseguiamo per Camponaraya , attraversando una zona ricca di acque ed a coltivazione intensiva. Roberta soffre molto ai piedi, entriamo in una farmacia per acquistare cerotti. Intravedo anche l’hogar del pensionista e, appartenendo anch’io ormai a questa categoria, lo riprendo in fotografia.
Mentre stiamo prelevando dal bancomat vediamo fermarsi lì vicino il pulman per Villafranca del Bierzo; ci viene spontaneo interrompere l’operazione e prendere a volo il bus, perché era nei programmi saltare comunque una tappa per mancanza di tempo e per le condizioni dei piedi. Mentre saliamo passano alcune pellegrine francesi che ci prendono un po’ in giro per la scelta rinunciataria; di rimando faccio loro gli auguri per la loro festa nazionale, anniversario della presa della Bastiglia il 14 luglio 1789, destando in loro una piacevole sorpresa e simpatia.
Siamo sui 511 metri di altitudine e durante il tragitto notiamo le caratteristiche coperture dei tetti fatti in pietra nera a scaglie.
Villafranca del Bierzo deve il suo sviluppo ai Franchi che si insediarono nel XII secolo; è passaggio obbligato tra la valle del Bierzo e la valle del rio Valcarce , verso il passo Cebreiro, porta di ingresso e spartiacque della Galizia, la verde Galizia.
Da qui vogliamo raggiungere el Cebreiro con altri mezzi pubblici, ma come ci è sempre successo nelle periferie della Spagna, non riusciamo a trovare orari e luoghi di partenza e di arrivo; non esistono indicazioni scritte e le poche indicazioni che riusciamo a raccogliere anche dei locali pubblici sono imprecise e contradditorie. Ci spiace, per questioni di tempo, non poter visitare il gioiello architettonico della città, la chiesa romanica dedicata a Santiago,famosa per il suo splendido portale settentrionale, la cosiddetta “Puerta del Perdon”. Il Papa spagnolo Callisto III (1455-1458) le conferì il privilegio dell’indulgenza per tutti quei pellegrini che, ammalati o moribondi, non potendo arrivare fino a Compostela, si fermavano qui e passavano sotto questa porta, chiamta, proprio per questo, del perdono.
Al che decidiamo di riprendere il sentiero che costeggia la strada principale, da qualche anno declassata a secondaria; sopra le nostre teste scorre la nuova superstrada per La Coruna. Il sole picchia forte e tentiamo di fare autostop, qualcuno si ferma, altri ci salutano, ma passaggi niente.
Arriviamo a Pereje, alcune case isolate nel bosco, dove, alla fuente de la alegria del 1941, con il fascio di frecce, simbolo del Franchismo,-vedi foto, facciamo pediluvio e bucato.
Al bar mangiamo qualcosa in tutta fretta; dopo l’enneisma verifica sugli orari autobus….., ci viene assicurato che alle 14,45 " dovrebbe,, passare il bus, che, fortunatamente arriva e ci porta a Pedrafita, poco prima della salita al Cebreiro. Cerchiamo una farmacia per i piedi di Roberta, ma l’unica è chiusa; mi riposo un po’ sull’erba all’ombra di una bella pianta quando mi giunge una telefonata di Emanuela Bonfioli che mi vuole invitare ad una conferenza a Pinzolo, nella sua antica vetreria, tenuta dal Presidente onorario del Cai Dr Sansa. Nel ringraziarla, dico dove mi trovo e ci salutiamo per il prossimo appuntamento.
Riprendiamo il Cammino verso il passo, quando si ferma una coppia che gentilmente ci fa spazio spostando i seggiolini dei bambini; arriviamo quasi subito a 1293 metri, nel luogo cui è legato il miracolo eucaristico nel XIV secolo[51].
Tentiamo di trovare posto all’albergue pubblico,che è già pieno ed è in ristrutturazione e successivamente all’ostello privato; anche qui constatiamo la poca disponibilità degli ospitaleros a trattare con i pellegrini, atteggiamento noto e di cui ci avevano già messi in guardia i nostri gentili automobilisti. Siamo sullo spartiacque che divide la Castilla-Leon dalla Galizia, costituito dalla Cordillera Cantabrica.
Decidiamo di prosegire a piedi lungo la discesa che porta a Sarria, quando sbuca un taxi; lo fermiamo al volo e ci porta a Fonfria , a 1290 metri, un piccolo borgo dedito alla zootecnia. Siamo già in Galizia che ci appare non molto diversa dal nostro Trentino; per un bel tratto sembra di essere all’alpeggio, in una grande malga….Mancano sui 150 km da Santiago.
Facciamo il bucato, stendiamo al sole e ceniamo in una maison, in pietra e tetto di paglia, ricavata da una vecchia stalla, in un clima di allegria e cordialità con pellegrini provenienti da Inghilterra, Usa, Brasile, Germania e Francia. Facciamo amicizia con un simpatico siciliano Carlo, diplomato all’Istituto nautico di Siracusa e con la sua amica Jessie, una bella ragazza inglese, dagli occhi celesti, che porta con sé il violino. Le racconto che Stradivari veniva nella foresta di Paneveggio per scegliere l’abete rosso più adatto per fabbricare i suoi celebri violini. Ai pellegrini amici francesi propongo un brindisi per la loro festa nazionale.
La cuoca portoghese ci porta in tavola una buona pastasciutta e uno squisito spezzatino di vitello con razioni abbondanti, che ci solleva il morale ed il fisico. Con l’amico Carlo parliamo di vita di mare e del suo Camino, che dura da quasi due mesi perché lui si ferma dove ci sono le feste. Proprio con Carlo ringraziamo la cuoca con i complimenti per il pasto da noi considerato il migliore di tutto il Camino. Si va a dormire al fresco.
In questi giorni del Camino abbiamo sperimentato un modo di vivere alla giornata, non programmato né programmabile, cui non siamo abituati. E’ bello perché devi continuamente prendere decisioni su cose molto concrete come il mangiare, il dormire, i mali fisici, il proteggersi dalla pioggia, tutti “problemi” che nella vita “normale” non hai. Vedi che però non sei solo e molti altri lo fanno con naturalezza e con grande spirito di adattamento.
Nei momenti un po’ più difficili penso a mio padre, alla sua dura vita di operaio-contadino ed al periodo della guerra; penso ai molti moriani che ho conosciuto in questi ultimi anni e dei quali ho raccolto le tremende testimonianze di guerra nel libro “Mori e la 2^ guerra mondiale”, alle terribili prove che hanno dovuto sopportare in gioventù ed allo spirito forte di sopravvivenza che li ha sempre sorretti anche nei momenti in cui vedevano la morte in agguato. Non posso dimenticare i ricordi di mio papà Bernardo, che già reduce dai fronti di Francia, Grecia-Albania-Croazia deve affrontare, alpino della Julia, il terribile inverno russo del ’42-43, con la ritirata dal Don e percorre 900 chilometri, più del Camino, in perfetta intesa con un suo compagno di Feltre. Possono contare su due cavallini russi che trainano la slitta su cui portano in salvo due sergenti. La notte, quando il termometro scende anche sui 35-40 gradi, si danno il turno ad accudire i cavallini, fuori dalle isbe di fortuna, con sempre in mano una bomba a mano, perché farseli rubare è la fine sicura… Ebbene nei momenti di difficoltà quando penso a tutto ciò mi sento pervaso da una forte volontà di reagire, da un grande sussulto di “dignità” in quanto “erede” di quegli uomini e della loro tempra ed allora non sento più la fatica e lo scoramento e si supera tutto.

Con stasera abbiamo percorso circa 182,5km, ne mancano circa 135 a Santiago.

Domenica 15 luglio- 10^ tappa da Fonfria a Triacastela di km 11-

Facciamo colazione facendo self service al bar dell’albergue perché il giovane ospitalero non si è ancora alzato; quando ci raggiunge è contento che ci siamo serviti, come hanno fatto coloro che si sono alzati prima di noi.

Partiamo con il cielo plumbeo e le nubi molto basse, minacciose; tira un forte vento e ci aspettiamo la pioggia da un momento all’altro. Il paesaggio è tipico di montagna come nel nostro Trentino (vedi foto); incontriamo piccoli borghi tutti dediti alla zootecnia e castagni dagli enormi tronchi (vedi foto 458-459).


Inizia a piovere, prima lentamente poi sempre più intensamente; arriviamo a Triacastela[52] dopo circa 11 km di discesa e ci fermiamo al primo bar che incontriamo. Prendiamo qualcosa di caldo ed attendiamo che cessi un po’ la pioggia; la sosta si prolunga e verso mezzogiorno gustiamo degli ottimi bocadillos (panini imbottiti). Non smette di piovere, a Roberta fanno ancora male i piedi, e decidiamo pertanto di fermarci per la notte. Fortunatamente usciti dal bar, sotto un’acqua torrenziale, dopo qualche centinaio di metri troviamo un albergues privato libero, che in breve tempo si riempie di pellegrini che arrivano tutti bagnati. Ho ancora presente una ragazza portoghese che arriva in rampichino, bagnata fradicia e tremante dal freddo.
Alcuni lamentano che in questo tratto della Galizia-provincia di Lugo[53], i servizi ai pellegrini sono insufficienti e ciò è vero anche in considerazione del fatto che il Governo autonomo della Galizia, mi è stato detto, investe parecchio nella promozione del Camino de Santiago. Finalmente riposiamo tutto il pomeriggio e verso sera ci rechiamo nella Parroquia de Santiago pellegrino de Triacastela[54] per la messa del Pellegrino, officiata dal parroco Augusto Losada Lopez.
Accoglie con cordialità i pellegrini informandosi della provenienza e conversando con loro; durante la messa ci invita a stare seduti perché, dice……siete molto stanchi. A ciascuno consegna due fogli nella propria lingua: uno con delle note sulla dimensione umano-spirituale del Camino ed uno con la Preghiera a Santiago pellegrino[55] da lui scritta. L’omelia ricalca le sue note che sintetizzo:
Cos’è il Cammino di Santiago? Spiritualità e cultura ? Trekking e turismo? Vacanze?Il Cammino nasce dalla fede dei nostri antenati….I teorici del Cammino non possono coglierne la vera essenza perché il Cammino è fatto per essere vissuto…Cultura! Ovviamente la fede si esprime anche attraverso le opere d’arte…esse sono un tutt’uno con il Cammino…Trekking, turismo, vacanze…la dimensione sportiva e turistica non sono per forza di cose legate allo spirito del Cammino, possono esserne una sua componente…non si può non essere colpiti dalla dimensione spirituale e di ricerca del Cammino, atteggiamento che si può avere anche in un periodo di vacanza..
Il Cammino è universale, senza nazionalismi che escludano; un’esperienza in cui tutti noi ci sentiamo un’unica persona e ciascuno rappresenta un piccolo universo in cammino.
Tra le altre cose il Cammino significa:
-ricavare un momento per incontrare sé stessi;
-aprirsi agli altri;
-riflettere sulla scala dei valori della nostra vita;
-un momento per creare incontro e ricerca;
-un momento per creare inclusione e speranza o perlomeno non rifiutare speranza;
-comprendere che la vita è dialogo non monologo e che è bella se siamo in pace con noi stessi, con la nostra famiglia, con la società;
-fare progetti reali e realizzabili affinché non ci si senta intimoriti e angosciati dalla vita;
-un momento per vedere i nostri errori e superarli, per vedere le nostre certezze e potenziarle;
-sentirsi evangelizzatori di questo mondo che è passato da un senso di colpa assoluto a un’idea diffusa di permissivismo (=tutto mi è consentito).
Infine un’esortazione:” Non abbiate paura della vita! Andate avanti! Cristo vi aspetta con le braccia aperte. Ha bisogno di tutti noi per cambiare il mondo, iniziando da un cambiamento personale. Non è mai troppo tardi. Buon Cammino!

Questo vecchio parroco crede in quello che ci dice ed al termine della messa ci saluta tutti con sentimento,naturalmente contraccambiato nello spirito de Santiago.
Andiamo a cena e finalmente riesco a mangiare una buona minestra di verdure e posso finalmente assaggiate il polpo allego, il polipo cotto e condito con olio e un po’ di peperoncino.
Con oggi abbiamo percorso circa 193,5km, ne mancano circa 124 a Santiago.

Lunedì 16 luglio- 11^ tappa da Triacastela a Sarria di km 21-


Colazione con i distributori automatici e si parte per Sarria; il cielo è nuvoloso, usciti da Triacastela ci si presenta il bivio a destra per San Xil, a sinistra per il monastero di Samos che dicono essere splendido, con una mescola si stile rinascimentale e barocco che si articola intorno a due chiostri. Puntiamo verso san Xil , la rotta storica, lungo la solitaria e remota valle de San Xil caratterizzata da folta vegetazione, principalmente castagni e querce, che in certi tratti crea veri e propri tunnel naturali. Attraversiamo villaggi sperduti che sembrano malghe di montagna, tanto intensa è praticata la zootecnia. Vediamo anche dei recinti pe r i vitellini in svezzamento. Sentiamo le mungitrici in funzione e l’odore acuto delle stalle. Alcuni piccoli allevatori utilizzano anche gli abbondanti pascoli per il pascolo delle bovine da latte. E’ naturalmente una zona molto piovosa e non mancano le fonti per il pellegrino (vedi foto 490). Procediamo speditamente più degli altri giorni sia per la temperatura fresca sia perché i piedi di Roberta stanno reagendo bene.
Ad un certo punto intravvediamo in lontananza Sarria e poco dopo inizia a piovere; al che acceleriamo il passo e temendo che si ripeta l’andazzo di ieri decidiamo di fare gli acquisti alla tienda e di individuare l’albergues per pernottare, proprio nel centro di Sarria, recentemente ristrutturato, pulito, dove siamo in pochi in un grande camerone. Siamo purtroppo costretti al secondo pomeriggio di sosta forzata.
Dopo pranzo facciamo una salutare dormita e ceniamo a base di pesce.

Con oggi abbiamo percorso circa 214,5km a piedi; ne mancano circa 112 a Santiago che pensiamo di percorrere in 5 tappe.


Martedì 17 luglio- 12^ tappa da Sarria a Gonzar di 32 km.

Dopo una buona colazione al bar proprio vicino all’albergues che apre alle 7 si parte per una tappa impegnativa; é molto fresco e si procede speditamente tra verdi prati, ruscelli che attraversano i sentieri e le strade interpoderali, querce e castani giganti, un fitto sottobosco di felci.Tutto dimostra che siamo in una zona di abbondanti acque (foto da 537 a 539). Per facilitare il passaggio dei pellegrini sul sentiero vengono posti enormi blocchi di granito che consentono di mantenere i piedi all’asciutto e facilitare lo scorrimento dell’acqua (vedi foto 548 e 549). Negli orti spicca una specie di cavolo gigante; sono frequenti,come ieri, gli allevamenti intensivi di bovini da latte, anche all’interno dei paesi che attraversiamo. Troviamo ancora qualche incitamento , come quello di Periko nano animo…..della foto541. Siamo nei pressi di Ferreiros e arriviamo al cippo dei 100 km da Santiago, che ha un effetto tonificante sul nostro morale e dove c’è la immancabile presenza del “genio” italico assieme ad altri “geni” internazionali….che con un cuoricino rosso dipinto, che non è però quello che ci accompagna da lontano, ricorda le relazioni……amorose...Italy-Asturies 11/7/2007…
Siamo su un continuo saliscendi, costeggiamo anche la ferrovia;si fa pregnante l’odore del silomais, impiegato nell’alimentazione del bestiame. Ci fermiamo ad un punto di ristoro in cui è esposta, assieme alla bandiera spagnola e della Galaizia (foto 552-553) , anche quella della Repubblica sudafricana; ci sono i giovani figli di una famiglia sudafricana, che si è qui trasferita, e stanno lavorando alla ristrutturazione di una vecchia casa per farne un bar o un albergue per pellegrini.
Dopo il 90^ km arriviamo a Portomarin, una cittadina ricostruita dopo l’invaso del lago Belesar, iniziato nel 1956 per produrre energia idroelettrica e per l’irrigazione. Nel 1950 la vecchia cittadina venne ricostruita nell’attuale posizione sopraelevata compresi i vecchi monumenti che vennero rimontati pietra su pietra, tra cui la chiesa-fortezzza romanica di San Nicolas di San Giovanni di Gerusalemme, del XII^ secolo.
Visto che il tempo ci soccorre, facciamo provviste e mangiamo ai giardini, con il melone raffrescato nella fontana; il tutto corroborato da un buon riposino sull’erba soffice. Caffè alle 16 e partenza con l’intenzione di fare ancora una decina di chilometri. Attraversiamo il lago su un lungo ponticello in ferro appositamente costruito per il Camino (foto 563-566); sulle rive ci sono molte piante di finocchietto, di cui mi piace cogliere i germogli più recenti per strofinarli e gustare il soave profumo che mi ricorda, ma non eguaglia, quello di Lampedusa. Saliamo una zona piena di conifere, frutto di una saggia politica di rimboschimento, intervallati da grandi estensioni a prato. Sfioriamo Mamed-Belad un borgo che ricorda in modo inequivocabile la presenza araba fino alla Riconquista.Verso le 18,30 siamo a Gonzar,551 metri di altitudine; mancano 82 km da Santiago.
L’albergues è pubblico, bello ma sporco e abbandonato all’autogestione, anche nell’accreditamento, cosa mai capitata durante il Camino. Mi succede, con sommo dispiacere ma è anche un modo per riportarmi alla realtà della vita, il primo gesto di “maleducazione” tra pellegrini. Una francese, non più giovane, arrivata in camerata dopo di me e che ha preso posto sopra di me, nel letto a castello, in mia assenza, mette il mio zaino a terra, che come di consueto , avevo appeso ai bordi per motivi igienici e di praticità. Quando arrivo le chiedo, in francese, ragione di tale suo comportamento al che mi motiva che le impedirebbe di scendere dalla scaletta. Le propongo di spostarlo un po’ che c’è molto spazio a disposizione ma ricevo un perentorio :“Mettilo a terra.” Secondo lo Spirito di Santiago avrei dovuto soprassedere; invece la invito ad interrogarsi se questo suo atteggiamento è conforme allo spirito de Santiago ……e che, come pellegrina, deve comunque vergognarsi….
La mia presa di posizione non è conforme allo Sipirito di Santiago, ma mi viene spontanea, seppur con rammarico.
Con oggi abbiamo percorso circa 246,5km ; ne mancano circa 80 a Santiago.


Mercoledì 18 luglio- 13^ tappa da Gonzar a Melide di 32 km.


è una tappa lunga ed impegnativa, una tappa classica del Camino, in cui è soprattutto il pensiero di avere la meta a portata di mano che ti sprona ad andare avanti, ad accelerare il passo. E’ un continuo variare di piccole salite e discese, tendenzialmente si è in salita perché dobbiamo raggiungere il picco più alto di queste ultime tappe che è a Ventas de Naron di 702 metri, dopodiché si scenderà ai 251 metri di Santiago. Si fanno sempre più frequenti le tipiche costruzioni rettangolari in pietra, legno ma anche in mattoni bucati -vedi foto 587-588-606-618-619-per lo stoccaggio del mais, da sgranare ma anche già sgranato. E’ un modo antico ma molto razionale ed efficace per conservarlo in un ambiente dove gira l’aria e protetto dalla pioggia. Per la prima volta incontriamo la nebbia abbastanza fitta , che è una caratteristica della umida Galizia. Attraversiamo tanti piccoli villaggi dediti alla zootecnia ed arriviamo al centro più grosso Palas de Rei, dove c’è industria ed una volta, secondo il Codex Calixtinus, era la penultima tappa del Camino. Qualche scritta di incoraggiamento nel solito spray verde e qualcuna non propriamente …..ortodossa.. Una giovane pellegrina che orgogliosamente porta sul suo zainetto lo stemma della sua Regione, il Leon.. Un nuovo insediamento di turismo rurale che utilizza i pannelli solari in modo integrato. Siamo al 70 ^ km e notiamo qualche pellegrino che ha più l’atteggiamento di un passeggero appena sbarcato dall’aereo con abbigliamento tutto pulito e firmato o gruppi, senza zaino, che hanno le macchine al seguito…….Anche i taxi hanno più lavoro in quet’ultimo tratto del Camino e qualche numero di cellulare è in bellavista sui muri (vedi foto 620).
Sempre più frequenti i boschi di eucalipti e le meravigliose sciepi di ortensie con colore prevalente sull’azzurrino. Costeggiamo anche un campo sperimentale per i piccoli frutti gestiti grazie al progetto Adapt in collaborazione con l’Università di Santiago e la Melisanto soc. coop gallega, una cooperativa agricola. A Furelos, , sobborgo di Melide, c’è una zona industriale molto vasta e ammiriamo l’antico Ponte Velho -vedi foto 631- medievale con 4 arcate.
Arriviamo tardi e andiamo a finire all’albergues pubblico, che è ormai tutto occupato, tranne il refettorio dove c’è la possibilità di stendere dei materassi e porvi sopra i sacchi a pelo. Purtroppo la pulizia lascia molto a desiderare, come pure e specialmente nei servizi igienici………Siamo ormai abituati ad adattarci anche alle situazioni meno piacevoli pensando che, in fondo, è un’esperienza di pochi giorni e ti aiuta a capire e riflettere su molte cose. Quando si arriva troppo tardi non si è più in grado di poter individuare un albergues adatto e le condizioni del pernottamento; si prende quello che capita nel timore di non trovare posto.(foto 634). In due-tre casi ci siamo trovati in situazioni decisamente carenti dal punto di vista igienico-sanitario che non pensavamo di trovare nell’ultimo tratto del Camino, in Galizia.
Per fortuna poche decine di metri più in là dell’albergue c’è un bel ristorante dove possiamo cenare molto bene e sollevarci un po’ il fisico ed il morale.
Quando si torna l’aria in “camerata” è irrespirabile e come ho spesso fatto in simili situazioni ho aperto la finestra più vicina alla mia postazione, mi sono girato con i piedi verso l’apertura ed ho coperto la finestra con una tendina di emergenza in modo da non dare nell’occhio. In tal modo la situazione era più sopportabile e non c’erano più problemi fino al mattino.
Con oggi abbiamo percorso circa 278,5km ; ne mancano circa 48 a Santiago.

Giovedì 19 luglio- 14^ tappa da Melide a Santa Irene di 30,5km.

Dopo una buona colazione nel ristorante di fronte, ci avviamo baldanzosi ad affrontare la penultima tappa.

Ci immergiamo nel paesaggio, verde ed ondulato, dove frequentemente attraversiamo ruscelli e fiumi in un continuo saliscendi. Attraversando i paesini notiamo che sono serviti da furgoncini delle panaderie dei centri maggiori che lasciano il pane sulle finestre o, suonando il clacson, fanno accorrere la gente a ritirarselo direttamente (vedi foto 643).Raggiungiamo il 40^ km ed accostiamo un folto gruppo di giovani Scout spagnoli (vedi foto da 655 a 658).

Giungiamo ad Arzua, il centro più importante, dove c’è la cooperativa del perpetuo socorro di Arzua, che produce mangimi per gli allevatori della Galizia.
Incontriamo ancora per due volte il cuoricino rosso che da parecchi chilometri di tanto in tanto dimostra la sua presenza e passiamo il cippo dei 30 chilometri.
Continuano le meravigliose siepi di ortensie e …le lapidi che ricordano pellegrini morti in anni recenti.
Il sentiero incrocia più volte la caretera principal finché giungiamo al paesino di santa Irene, dove troviamo un piccolo albergue privato che ha gli ultimi tre posti liberi. Ci voleva, perché siamo molto stanchi, dopo le tre ultime giornate intense.
Troviamo tutto pulito e finalmente le lenzuola con le fodere al cuscino. Dopo la doccia possiamo stare un po’ al sole che è ancora alto all’orizzonte. Mangiamo tutti assieme, siamo una quindicina di persone, dopo di che ci godiamo una dormita straordinaria nelle lenzuola profumate. Abbiamo percorso circa 309 km e siamo a circa 18 km da Santiago,che domani ci attende.


Venerdì 20 luglio- 15^ tappa da Santa Irene a Santiago de Compostela di 18 km.

Con oggi il viaggio ad limina Sancti Jacobi si conclude e con esso il profondo desiderio a compierlo. Iniziamo l’ultima giornata attraversando i boschi di altissimi eucalipti, immersi nella fitta nebbia, vedi foto, che vengono coltivati per ricavarne lunghi pali squadrati e depositati ai margini delle stradine forestali (foto 698-699-700). Nelle case che incontriamo ci sono bellissimi fiori, oltre alle solite ortensie. Continuano anche i cartelli di informazione ed educazione ambientale nei punti più significativi. Riesco a scattare la magnifica foto 697, quella che mi piace di più del Camino, di una grande quercia in mezzo ad una distesa di grano,il tutto avvolto dalla nebbia. Arriviamo al cippo che indica Santiago (foto 704-705 ) e sulla nostra sinistra sentiamo il rumore ed intravediamo le code degli aerei in decollo, dell’aeroporto di Lavacolla, che è di Santiago, che costeggiamo per un bel tratto. Pensando di dover ritornare a questo aeroporto per il rientro, mi rendo conto che ho commesso un errore logistico, che con un po’ di riflessione, potevo evitare. Con il senno di poi avremmo dovuto infatti rientrare in aereo da Santiago , facendo scalo a Roma per poi rientrare a Verona. Dalla fretta e pensando al veloce rientro fatto l’anno scorso da Burgos a Saragozza, abbiamo invece prenotato il volo di rientro da Valladolid, scelta che si rivelerà sbagliata anche per quel che, casualmente, si verificherà lunedì 23. Dopo qualche chilometro costeggiamo gli estesi stabilimenti televisivi della TV de Galicia e, poco oltre, quelli della TV Spagnola, segno evidente che l’autonomia galiziana è molto forte se può permettersi strutture così imponenti.
Ormai siamo in vista e poco dopo arriviamo al Monte Gozo (monte della gioia) che è una collina da cui gli antichi pellegrini, scorgendo in lontananza la cattedrale di Santiago ringraziavano il Signore con canti e lodi. Oggi il famoso colle ha perso la sua originaria fisionomia a causa degli intensi insediamenti urbanistici….. non proprio improntati alla spiritualità…..
Sotto il grande monumento, inaugurato in occasione della visita di Papa Giovanni Paolo II nel 1982, che raffigura oltre al Papa anche San Francisco, peregrino en Santiago, incontriamo Carlo, l’allievo ufficiale della nostra marina mercantile di Siracusa e l’amica inglesina Jessie, che suona il violino. Sono assieme ad un pellegrino francese che, partito il 18 aprile scorso da Lione ha percorso 1840 km, interamente a piedi. Sono quasi le 13 e scendiamo dalla collina, attraversando l’enorme albergues, costruito in prefabbricati, che contengono più di 600 posti (foto 026 2^ parte). Poco dopo c’è il cartello stradale che indica che siamo a Santiago. Sulla sinistra ci accoglie un monumento bronzeo del Templare pellegrino ed il monumento a ricordo dei Pellegrini insigni tra cui Brigida di Svezia, Domingo de la Calzada, Callisto II, Isabella del Portogallo, Giacomo Sobieski, Dante Alighieri, Giovanni Paolo II. Al primo ufficio turistico ci muniamo di una cartina della città ed al primo bancomat facciamo per prelevare un po’ di soldi, senonchè si inceppa e trattiene addirittura la carta magnetizzata. Fortunatamente c’è ancora negli uffici un’impiegata ed, a gesti, attiriamo la sua attenzione; riesce a restituirci il documento ma senza poter prelevare nulla, che ci riesce invece qualche centinaia di metri più in là.[56] Arriviamo nella città vecchia di Santiago[57], definita la città di pietra, passando attraverso la Puerta del Camino ed altre piccole piazze. Alle 15,50 siamo in Plaza del Obradoiro, considerata dai Galiziani la più bella piazza del mondo. Contattiamo e arriva dopo pochi minuti Silvia Tumulo, giovane laureata moriana, amica di famiglia, che dopo avere fatto l’Erasmus all’Università di Santiago gli anni scorsi, si trova lì in vacanza. Nel frattempo possiamo ammirare la maestosità della facciata barocca della cattedrale, che è la ragione d’essere della città del Camino.
E’ una fusione dell’architettura e scultura romanica con quella barocca; fu realizzata nel XVIII, posta dinanzi alla precedente facciata romanica. Il corpo centrale di questa (retablo de piedra) si erge tra due torri gemelle -vedi foto-di origine romanica trasformate in barocco nel 1670.
La facciata sud, detta del Las Platerias, è l’unica che conserva tratti del romanico originale. Nella facciata est che dà su Plaza da Quintana, si trova la Puerta Santa o del Perdon,che viene aperta solo negli anni Santi (quando la Festa di S Giacomo cade di domenica).
La facciata nord, oggi detta della Azabacheria, presenta uno stile neoclassico.
Dopo una veloce panoramica di queste stupende bellezze, Silvia ci porta all’arco del Marzarilo, dove ci ha trovato alloggio per i due giorni di permanenza. Dopo un po’ di riposo ci reincontriamo con Silvia, che è nel frattempo andata e lezione all’università e ci rechiamo alla stazione ferroviaria per fare i biglietti per Valladolid, per domenica pomeriggio. Attraversando la città passiamo davanti al Parlamento regionale della Galizia (vedi foto 042 e 043). Verso le 17 ci rechiamo in cattedrale dove si sta celebrando una messa e dove ammiriamo la sontuosità e l’essenzialità del romanico, misto agli altri stili che si sono succeduti nel tempo e l’organo che ha le canne orizzontali come quello di Saragozza (vedi foto 047,048,049). Dopo la messa visitiamo l’arco della Gloria, cui solitamente si accede dopo aver superato la facciata dell’Obradorio e che è definito il monumento iconografico più completo della scultura medioevale e meraviglia dell’arte universale. Opera di mastro Mateo fu probabilmente iniziato nel 1188. E’ formato da tre archi: quello centrale, il più maestoso è presieduto da Cristo glorioso in trono, secondo la visione apocalittica di Giovanni. La sua figura è circondata dai 4 Evangelisti, 8 angeli ed i prescelti.
Nell’archivolto sono rappresentati i 24 anziani dell’Apocalisse nell’atto di accordare i propri strumenti musicali[58]. La colonna centrale (detta albero di Jesse) raffigura l’albero genealogico del Cristo ed è sormontata dalla statua dell’apostolo Giacomo. I cinque solchi presenti sulla colonna, sono stati da sempre usati per compiere l’antico rito del pellegrino su cui si appoggia la mano destra, come ringraziamento e richiesta di benedizione all’apostolo. Ai piedi della colonna ,dalla parte opposta, c’è la statua che autoritrae il maestro Mateo. E’ usanza dare dei piccoli colpi con la testa a questa statua per ottenere un po' della sua intelligenza e saggezza. Non possiamo compiere entrambi i riti perché la colonna è in ristrutturazione ma batto ugualmente la testa sulla colonna di fronte, sperando che serva a qualcosa………, tra i sorrisi …di compatimento di Carmen e Roberta…
Sull’arco di sinistra sono rappresentati episodi dell’Antico Testamento: le colonne sottostanti rappresentano i Profeti.
Sull’arco di destra appaiono Dio Padre e Dio Figlio al centro, nel Giudizio Universale, con gli eletti a destra ed i condannati a sinistra; le colonne sottostanti hanno statue che rappresentano gli Apostoli.
All’interno della Cattedrale ci sono parecchie ed importanti cappelle-vedi foto-; nella Capylla Mayor c’è la statua di legno di S Giacomo, con il mantello di oro incastonato di pietre preziose, cui accediamo salendo una scaletta. E’ del 1211, abbigliata con vestiti e gioielli del XXVII secolo, ed ha un’espressione accogliente e serena. L’ abbraccio a Santiago è un momento forte del Camino con il quale lo ringraziamo per aver potuto compiere il Camino in salute e letizia.

Visitiamo la cripta dove c’è l’urna di argento, cesellata in stile romanico, con le reliquie , il sepolcro. Ci sono poche persone ed è un momento particolare, di intensa spiritualità. Qualcuno si inginocchia nei piccoli spazi, per un momento di raccoglimento; rimaniamo per qualche minuto in piedi e poi possiamo inginocchiarci anche noi. Ricordiamo i nostri cari, le tante intenzioni dei nostri amici ed un pensiero va alle nostre Comunità, alle organizzazioni in cui operiamo ed ai loro bisogni di concordia ed unità. Ricordiamo anche il figlio di Esperanza, la signora che a Leon, ci aveva fatto da guida fino all’albergue e che ci aveva chiesto di ricordarlo.
Sul muro di fronte c’è una targa che ricorda la visita di Papa Giovanni II il 2 novembre 1982- vedi foto-.
La cappella e l’altare maggiore ricevono luce dalla cupola sovrastante, ottagonale del 1445, dalla quale pende il botafumeiro.
Lungo la navata centrale, poggiati su colonne, si trovano i due organi della cattedrale, del diciassettesimo secolo, con la caratteristica delle canne anche orizzontali, opera di Manuel la Vina.
Nel corso della visita alla cattedrale veniamo a sapere che domani, alla solenne celebrazione della Messa del Pellegrino alle 12, ci sarà anche la cerimonia del leggendario botafumeiro[59]. Avevamo intenzione di recarci a capo Finisterre domani per poi visitare Santiago domenica, ma in considerazione del fatto che occorrono almeno sei ore di pulman per andare e tornare e che siamo stanchi, decidiamo di rimanere a Santiago domani.

Poco prima delle 21 ci rechiamo a ritirare la Compostela, scritta in latino, compreso il nome-il mio diventa Dnum Marcellum, Dnam Robertam e quello di Carmen diventa Dnam Mariam a Monte Carmelo (vedi foto), il documento che attesta che il pellegrino ha fatto almeno 100 km del Camino[60]. Sul libro ufficiale del Camino lasciamo le nostre intenzioni con le quali ringraziamo il Signore e l’apostolo Giacomo di averci consentito di percorrere ed ultimare in buona salute il Camino, di aver incontrato tante persone di tanti Paesi del mondo in comunione d’intenti ed allegria; ricordiamo i nostri Cari, le nostre Comunità di Mori e nel Trentino, le associazioni ed organizzazioni in cui operiamo, tra cui, per me, il Movimento cooperativo trentino, le numerose persone che ci hanno consegnato le loro intenzioni da portare fin qui, affinché con l’intercessione di Santiago siano esaudite ed aiutate.
Ceniamo bene a base di calamaretti e di una buona minestra di verdure e andiamo a dormire contenti per aver concluso il Camino.

Sabato 21 luglio-


Dormiamo di gusto fino alle 9 dopo di che consumiamo una buona colazione in un bar all’aperto, vicino alla facoltà di Storia e letteratura, frequentata da Silvia. Facciamo un po’ di shopping..acquistiamo cartoline e francobolli ed iniziamo a scrivere ai numerosi amici ed associazioni che vogliamo ricordare in questo particolare momento. Ci dirigiamo verso la cattedrale con un certo anticipo e riusciamo a prendere posto nei primi banchi riservati della navata centrale. Ben presto si riempie di pellegrini arrivati a piedi od in bici e da molti che sono arrivati in aereo ed in pulman. All’inizio della Messa la cattedrale è stracolma anche nei posti in piedi;i concelebranti sono più di 20.
Proviamo una forte emozione nel partecipare, al termine del Camino, alla Messa di ringraziamento, in questa grande basilica, con i possenti suoni dell’organo con le canne laterali, i cori sublimi,. E’ una grande gioia rivedere persone e volti che abbiamo incontrato lungo le centinaia di chilometri, tra cui il francese che ha percorso 1840 km da Lione, i simpatici Carlo, della nostra marina mercantile e la inglesina Jessie, alcune tedesche.
Il celebrante, l’Arcivescovo di Santiago, enumera tutte le nazionalità dei pellegrini giunti ieri a Santiago ed elenca il luogo di partenza;noi siamo tra coloro partiti da Somport (Pirenei aragonesi).
Dietro l’altare si vede la fila dei pellegrini che salgono ad abbracciare (di spalle) la statua di S Giacomo. Messa solenne con i canti dei cori, accompagnati dall’organo in modo magistrale.
L’omelia fa riferimento a Santiago ed allo spirito del Camino ed è incentrata sulla speranza, sulla gioia, sull’inno all’universalità, alla vita in funzione di Gesù, fuego,speranza, valore, il Camino grande lezione spirituale e di vita per tanti pellegrini a prescindere dalle ideologie, il suo successo, silenzio dell’anima ed aumento della fede, un sentire paterno e di universalità. La Grazia porta immensa pace e allegria-esperienza -tutta la vita è cammino-sempre la mano di Cristo è al nostro fianco-
Al momento delle intenzioni prende la parola un prete portoghese ed uno italiano: quest’ultimo invoca l’aiuto del Signore affinché faccia rinvigorire quei valori per un’Europa unita che il Camino nel corso dei secoli favorì e contribuì ad edificare, facendo incontrare, conoscere, relazionare popoli tanto diversi ma che facevano parte della stessa Europa. Mi viene in mente l’omelia dell’anno scorso, proprio l’11 luglio a Los Arco su San Benito-San Benedetto da Norcia , patrono d’Europa, un grande santo che con il suo ordine ha avuto un ruolo importante nella formazione religiosa, culturale e politica del vecchio continente.
Particolarmente suggestiva è il finale della Messa con la benedizione del celebrante, di fronte ad una nutrita delegazione dell’ordine del Camino de Santiago,tra cui il segretario Generale ed una donna dai folti capelli biondi, componenti il direttivo, e la cerimonia della benedizione con il butafumeiro. Per un gioco di corde azionate da un gruppo di specialisti nelle loro tuniche storiche, il turibolo grande, che un tempo serviva anche per attenuare il "profumo" delle migliaia di pellegrini che vi giungevano da ogni angolo d’Europa, viene fatto oscillare per quasi tutta l’altezza, da un’estremo all’altro della navata a crociera, emanando un intenso profumo d’incenso, nei giorni delle celebrazioni solenni. Le sue oscillazioni sopra le teste di centinaia di pellegrini fanno una certa impressione, noi siamo in defilato nella navata centrale e ci passa davanti al naso (vedi foto), finchè con lo stesso gioco di corde l’oscillazione viene gradualmente smorzata ed infine cessa, sotto il lampeggiare dei flash, nonostante la sorveglianza lo proibisca solennemente. Viene annunciato che questa sera alle 21 ci sarà un incontro-meditazione riservato per i pellegrini e decidiamo di parteciparci.

Il pomeriggio lo dedichiamo alla scrittura delle cartoline ed ad una rapida visita al centro storico di Santiago e programmare la visita al museo del Pellegrino il mattino seguente.
Prima delle 21 ci presentiamo all’entrata sud della Cattedrale, detta del Las Platerias, in quanto ci sono molti artigiani e negozi di articoli di argento; c’è un severo servizio d’ordine che fa passare solo i pellegrini muniti di Credencial e vengono contenuti tutti gli altri turisti, alcuni dei quali non accettano tale “discriminazione” e protestano decisamente.
Il momento di meditazione è tenuto da un sacerdote spagnolo,molto simpatico,che parla bene l’italiano, l’inglese, il francese e sa leggere il tedesco ed è aiutato da due chierici.
Dopo una preghiera di introduzione ci portano nel chiostro della cattedrale (cui finora non avevamo potuto accedere), all’arco della Gloria ed infine nel coro attorno all’altare maggiore. E’ una posizione da cui si possono vedere le due navate a croce, da vicino la statua di S. Giacomo e dove ci invita ad esprimere , ognuno nella propria lingua, le intenzioni al termine del Camino. Siamo meno di quaranta persone ed anche questa è l’ennesima dimostrazione che i momenti di riflessione spirituale sono cercati e vissuti da una esigua minoranza di coloro che intraprendono il Camino de Santiago, benché la dimensione spirituale, io ne sono convinto, non lasci indifferente nessun pellegrino. In sostanza anche chi dice di fare il Camino come una impresa di trekking “sente” e “vive” il Camino in modo diverso da qualsiasi altra impresa meramente sportiva.
Nessuno interviene, il padre spagnolo sollecita e inizio io ricalcando i concetti già espressi nel libro del Pellegrino all’atto del ritiro della Compostela, ampliandoli, riflettendo sull’esigenza di un nostro impegno di riconversione ad una visione e ad una pratica nei rapporti nell’Umanità più equi e più giusti, nella convinzione Cristiana, che è essenzialmente profondamente umana, che senza giustizia non ci può essere pace nei cuori delle persone e nei loro rapporti individuali e collettivi.
Torniamo nella nostra casa contenti per questa intensa giornata di gioia e di riflessione.
Durante le due notti di soggiorno a Santiago si sentivano frotte di giovani che rientravano in allegria, dopo abbondanti libagioni. Abbiamo sentito cantare anche Bandiera rossa.




Domenica 22 luglio



Visitiamo il Museo das Peregrinacions, nella casa gotica vicino alla cattedrale.
E’ stato creato nel 1951 e descrive i vari pellegrinaggi come fenomeno religioso comune a diversi popoli e culture.
Evoca inoltre la figura di S Giacomo sotto varie forme:come apostolo,pellegrino e come Matamoros, simbolo della Reconquista sui Mori, in parecchie pitture e sculture, in diversi materiali, dal XVI al XIX secolo.
La sala dedicata alla cattedrale mostra come la città si è sviluppata attorno al sepolcro dell’Apostolo Giacomo.
Conseguenza dei pellegrinaggi fu lo sviluppo di varie attività artistiche come orefici,scultori, argentieri ed altri artisti che fabbricarono oggetti ed opere d’arte destinate a soddisfare domanda interna ed esterna.
All’uscita incontriamo il pellegrino francese in uno stato d’animo turbato, quasi di disperazione perché ha perso il suo bastone che lo ha accompagnato lungo i 1840 km del suo Camino.
Nel pomeriggio si parte in treno ed attraversiamo la Galizia e la Castilla Leon fino a Valladolid,dove riusciamo fortunosamente a trovare nella periferia della città a Puente Duero, un albergues, dove siamo solo noi tre. Questo punto serve il tratto di Camino che parte da Madrid e si collega con il Camino de Santiago frances a Astorga.


Avventura all’aeroporto di Valladolid, dove arriviamo con molte ore di anticipo rispetto al decollo previsto per le 15,05. Circolano voci di un certo ritardo del nostro volo ma nessuno ci fa caso più di tanto.Trascorriamo il tempo leggendo e completando il diario, quando verso le 14 uno stewart della compagnia aerea ci comunica che, per gravi motivi tecnici, il nostro aereo non è potuto decollare da Bergamo e pertanto il volo viene, per il momento, sospeso fino alle 18,30. Si scatena una bagarre tra i passeggeri e lo stewart, in gran parte dovuta alla sua scarsa professionalità nel gestire situazioni di emergenza e di conflittualità. Capisco che, qualora il volo venisse annullato, si profilerebbero tre opzioni : il rimborso del biglietto, la possibilitò di fruire di un volo, domani alle 18,15, però dall’aeroporto di Saragozza, che dista 400 km, e con posti limitati o attendere il prossimo volo da Valladolid, che sarà solo mercoledì 25 luglio, alla stessa ora.
Dopo due ore ci viene assegnato un buono per una consumazione fino a 5 euro al bar dellaerostazione,rigorosamente esclusi gli alcoolici, tanto che non posso bere nemmeno una birra.

Intanto con Patrick,un trentino, funzionario dell’Argentea Spa, che ha fatto il Camino, fino a Burgos, e che abbiamo conosciuto in aeroporto, tentiamo altre soluzioni, tra cui il volo per Charleroi e poi Bergamo domani mattina o in treno con tragitto di 1730 km…… Verso le 18 l’annuncio dell’annullamento del volo e l’immancabile ressa allo sportello.
Noi decidiamo di optare per il volo da Saragozza domani sera e partiamo con il treno per Palencia-Saragozza. Patrick prende il volo via Charleroi ancora la sera. Altri partono per Saragozza con auto a noleggio, con l’intenzione di dormire lungo il percorso.Si aggrega a noi Jhada Bianchi una ragazza italiana che da tre mesi è a Granada. C’è anche un lato comico della vicenda: appena saliti sul treno, c’è un’interruzione alla rete elettrica, che blocca il treno e scatena l’ilarità più sfrenata di chi tenta di raggiungere Saragozza. Si riparte finalmente con un’ora di ritardo, comunque in tempo per la coincidenza, a Palencia, con l’interregionale per Barcellona. Ci sistemiamo in uno scompartimento e possiamo, tirando giù i sedili a mò di letto,dormire discretamente. Una signora anziana si sente male ed il treno subisce ritardo; subiamo un trasbordo con autobus da Casetas a Saragozza in pulman, finché giungiamo alla stazione di Saragozza alle 4, nuovissima, stupenda inaugurata solo 3 anni fa.
La stazione è naturalmente deserta e ci mettiamo a dormire in una sala d’aspetto molto bella, ma in cui dobbiamo stare rigorosamenre seduti a seguito dell’intervento delle guardie giurate. Non così severa si dimostrerà la Guardia civil all’aeroporto di Saragozza che, seppur in una saletta un po’ defilata, lascerà dormire, nel pomeriggio, parecchie persone reduci dall’avventura di Valladolid.
Arriva anche un pellegrino spagnolo, Eusebio Centellez, con la maglietta rossa di S.Firmino,assiduo frequentatore dell’Encierro di Pamplona, che non potendo stendersi sulle sedie ingaggia un furibondo scontro con la guardia giurata. Quando le acque si sono un po’ calmate, colgo l’occasione per farmi recitare la preghiera a San Firmino, che per 3 volte invocano, prima dell’inizio della corsa, davanti alla sua statuetta, con in mano il giornale arrotolato, e che così recita:
A S Firmin perimos por ser nuestro Patron,
a S Firmin perimos por ser nuestro Patron,
De nos su bendition
Gora viva,gora viva



Alle 7 facciano colazione e decidiamo di visitare la Plaza del Pilar, la Seo- cattedrale e la basilica della Madonna del Pilar elevata a tale rango da Pio XII nel 1948.
Nella Seo, spettacolare dal punto di vista architettonico è la pala dell’altare maggiore in alabastro e di una fattura unica. Anche la capella di S Bernardo è tutta in alabastro. L’organo è a canne orizzontali come quello di Santiago.
Dopo le 18 ripartiamo finalmente per Orio al Serio.


Brevi considerazioni al termine del Camino.

E’ stata un,esperienza unica che ci ha dato l’occasione di riflettere sul senso più profondo della vita, sulle cose essenziali per viverla in serenità, impegno responsabile e gioia. Ci ha consentito di incontrare e conoscere persone nuove, tanto diverse tra loro anche nelle motivazioni che le hanno spinte a percorrere il Cammino; tutte accomunate dall’impegno a compiere un’impresa che per giorni e giorni ha richiesto sforzo fisico, determinazione e capacità di adattamento a situazioni logistiche impreviste ed a cui non siamo più abituati. In certi momenti ha richiesto anche capacità di sopportare il dolore, specialmente quello delle vesciche ai piedi.
Vivere direttamente queste situazioni porta a pensare alle difficoltà che i pellegrini dei secoli passati hanno dovuto affrontare in condizioni ben peggiori delle nostre ed a comprendere il motivo per cui facevano testamento prima della partenza.
Vengono in mente anche i tanti momenti belli come quando si entrava immediatamente in confidenza con tutti o quei momenti forti di spiritualità condivisa come ad Arres, a Los Arcos, a Granon, (nel 2006) o all’Ermita di S. Nicola a Puente Fitero, con la cerimonia della lavanda e del bacio ai piedi, al Monastero delle suore Benedettine di clausura a Leon, al monasterio benedectino de San Salvador de Irago, alla messa di Triacstela, alla Messa solenne del Pellegrino a Santiago il 21 luglio o la meditazione del Pellegrino la sera, la visita all’urna dell’Apostolo, tutti momenti di intensa spiritualità e di Fede condivisi con Carmen e Roberta, assieme ad altri pochi pellegrini, momenti che rimarranno profondamente impressi nella nostra memoria, nel nostro cuore ed aiuto per la vita quotidiana e nella nostra Comunità.
Per converso, ma nel contempo parti della stessa realtà umana, sociale, ecclesiale alcuni atteggiamenti non certamente in linea con lo Spirito di Santiago, che stanno a dimostrare e ci richiamano a come il percorso alla santificazione, alla conversione ed alla effettiva comunione tra gli uomini è una conquista quotidiana, mai scontata e mai raggiunta definitivamente, sempre in Camino….
Oltre all’aspetto umano,religioso e spirituale il Camino è una straordinaria occasione di cultura e di conoscenza della natura sotto molti aspetti. Lungo il suo percorso, per secoli, nelle grandi città ma anche nei piccoli centri i migliori artisti dell’epoca hanno concepito e prodotto opere d’arte magnifiche e sontuose, alla cui ammirazione si rimane estasiati, stupiti, opere finanziate dai regnanti o dai mecenati delle varie epoche, anche simboli della grande potenza imperiale e coloniale spagnola.
In sostanza un’esperienza umana, spirituale e culturale che ci ha messi a dura prova sul piano fisico ma che ci ha arricchiti immensamente in tutti gli altri aspetti.
Ciò nella speranza e nell’impegno di tradurre tutti questi benefici nel nostro agire quotidiano, nelle nostre famiglie e nella nostra Comunità.

Ultimato il 25 dicembre 2007, giorno di Natale 2007
[1] Il Rocciamelone (m 3538) è la vetta più alta e frequentata della Val di Susa, che inizia all’altezza della Sacra di S.Michele fino al Frejus ed al Monginevro. Nel 1899 gli Alpini portarono in vetta a pezzi e poi ricomposero una grande statua di bronzo della Madonna. All’interno ci sono i nomi dei bambini i cui genitori parteciparono con un’offerta alla sua realizzazione. Ai piedi della statua c’è un edificio diviso in tre parti : un rifugio per i sacerdoti che durante l’estate celebrano la Messa; il Santuarietto (il più alto d’Europa ) ricco di ex voto e rivestito in legno; il bivacco Santa Maria, costruito nel 1920. Una curiosità: l’effigie in bronzo di Vittorio Emanuele II di Savoia, re d’Italia, posta su uno spuntone di roccia poco prima della vetta, ha un baffo fuso da un fulmine.
[2] Questo incontro è frutto di un bel rapporto tra il CAI di Giaveno (TO) e la Sezione Sat di Mori, iniziato con una gita organizzata dalla Sat di Mori al forte di Fenestrelle ed alla Sacra di S. Michele l’8 ed il 9 ottobre 2005 e la visita alla loro sede in Giaveno (To). Mia mamma Aventina era di Giaveno; per questo i cugini Mirella ed Elio Maritano, in un loro articolo sulla rivista 2006 del CAI di Giaveno “Gita tra Parenti”, proponevano una gita dei Giavenesi sul Carega per domenica 25 giugno e con la salita della ferrata di Montalbano per il 26. Il tutto venne rinviato causa il Referendum sulla Costituzione, ma era rimasta la nostra promessa di tornare in Piemonte e fare assieme il Rocciamelone. Era un desiderio che coltivavo da anni poiché il Rocciamelone non solo è una montagna che vale la pena salire, non solo è stata una meta agognata da Papa Giovanni Paolo II, che in occasione della sua visita a….il ….(chiedere Mirella) voleva assolutamente raggiungere ed a cui dovette rinunciare per l’inclemenza del tempo, ma perché mi ricorda mia madre, che con un gruppo di amiche di lavoro (fatto non usuale per quei tempi) salì la cima negli anni ’30 ( di cui conservo le foto) e volevo quindi imitarla.
[3] E’ la vecchia cascina di Cesare Maritano, mio nonno, che acquistò nel 1913, circondata da prato e bosco, che zia Pina, morta nel 1995 all’età di 86 anni, ha lasciato a noi nipoti Benedetti:a Carmen, Paolo, Lucia e Marcello, assieme alla cugina Rosina Versino. Si trova sulla strada che collega Giaveno alla Sacra di S. Michele vicino alla Certosa di S.Francesco (che risale al XVI^ secolo). In considerazione delle circostanze in cui ne siamo venuti in possesso e per ricordare e conservare lo spirito di sobrietà e laboriosità contadina che ha caratterizzato la vita dei nostri nonni e zii, abbiamo deciso di metterla a disposizione di inziative a scopo sociale, dopo che la cugina Rosina decise di venderci la sua quota. Il 1^ gennaio 1997 si fa vivo, con una telefonata, don Luigi Ciotti.
Don Luigi é il fondatore del Gruppo Abele di Torino, con il quale cerca di contribuire alla "lotta" contro le varie forme di emarginazione; da quarant'anni lavora per dare dignità alle persone che vivono in situazioni di difficoltà, saldando l'accoglienza con il lavoro e la cultura. La sua parrocchia è la strada; suo metodo l'ascolto e la condivisione personale e comunitaria dei problemi; sua ansia coinvolgere ognuno nelle vicende di "chi fa fatica". ( Chi intendesse destinare al Gruppo Abele il 5 per mille in base alla sua dichiarazione dei redditi può riportare sotto la sua firma il codice fiscale del Gruppo Abele:80089730016 Per ulteriori informazioni: tel. 011 38.41.002/063 - Sito: www.gruppoabele.org
Don Luigi è pure il coordinatore di Libera che raggruppa più di 1.400 associazioni e Enti pubblici per la lotta contro le mafie e la criminalità organizzata e si è battuto per l’approvazione della legge che confisca i beni della mafia per utilizzarli a creare lavoro ai giovani del Sud. Grazie a questa legge, nel Sud d’Italia sono potute nascere molte cooperative di giovani che coltivano i terreni sottratti alla mafia, garantendo loro un lavoro libero e dignitoso, ma soprattutto fiducia e solidarietà con e tra la gente. Come dice sempre don Luigi infatti “ per vincere la mafia è importante catturare i pesci, ma ancor più privarli dell’acqua in cui nuotano”. I ragazzi delle Scuole Medie di Mori ricorderanno che in occasione della Giornata della Pace promossa dalla Fondazione Campana dei Caduti di Rovereto, non ricordo se nel maggio 1999 o 2000, don Luigi intervenne e portò agli studenti moriani una bottiglia di olio prodotto da una cooperativa, formata da giovani disoccupati, su terreni confiscati alla mafia in Sicilia.
Don Ciotti nel 1982 ha dato vita al Coordinamento Nazionale delle Comunità di accoglienza e nel 1986 ha collaborato alla nascita della Lega Italiana Lotta all'Aids.
E' anche l'animatore di "Abbazia 1515" un’associazione per il recupero della certosa di S. Francesco, di cui descriviamo la visita tanto inaspettata quanto affascinante.
Tornando alla telefonata del Capodanno 1997, Don Luigi ci chiede di poter utilizzare la cascina; ci espone il suo progetto sulla Certosa che dovrebbe ritornare ad essere un luogo di "silenzio" vivo, una casa aperta alle persone, più attenta alle loro esigenze interiori, diventare la sede stabile dell'Università della strada per formare operatori del privato sociale competenti a seguire le situazioni di disagio ed emarginazione, ma anche sede di corsi per il personale di Enti pubblici sulle politiche sociali ed un Centro interreligioso. Le Frisole, per la loro vicinanza (300 metri in linea d’aria) vorrebbe farle diventare una specie di supporto logistico alla Certosa.
Detto fatto il 16 marzo 1997 Don Luigi viene a Mori e firma il contratto di comodato per l’utilizzo della cascina, che continua tuttora. Nell’occasione facciamo una piccola festa allietata dalla porchetta di zio Paolo, (che Paolo ripeterà nell’aprile 1998 in occasione della serata organizzata dall’Amministrazione comunale di Mori, all’Auditorium di Mori, nell’ambito del Progetto “Partecipa giovani”) alla quale prendono parte, oltre agli inseparabili e straordinari uomini della scorta, anche colleghi del Commissariato di Rovereto con a capo il Dr Giansante Tognarelli. In compagnia di Don Cosma facciamo una breve visita al Santuario di Montalbano.
Nei mesi seguenti il Gruppo Abele individua una famiglia adatta ad abitare le Frisole: Roberto e Monica Castelli con Micaela e Nicole, che si ricavano un appartamentino che abitano tuttora e che abbiamo conosciuto nel corso della gita.
[4] Frequentando lo zio Marcello, che abitava a Torino, ho potuto conoscere negli anni ’50 e ’60 la vita degli immigrati dal Sud per alimentare la forte domanda di manodopera per le industrie del boom economico di quegli anni.
[5] E’ una maestosa costruzione costruita nel medioevo sul monte Pirchiriano, che, all'inizio della Val di Susa, stagliandosi contro il cielo, sovrasta la valle, sopra gli abitati di Avigliana e Chiusa di San Michele. Costituì un punto nevralgico nel sistema difensivo Longobardo delle chiuse, anche citate nell’Adelchi. Da qui passava un ramo della Via Francigena, quella rete di strade e sentieri percorse dalle migliaia di pellegrini che dalla Francia o dall'Inghilterra (Canterbury) scendevano verso Roma e anche oltre, a San Michele Arcangelo nelle Puglie o addirittura in Terra Santa. In questo tratto utilizzava il collegamento con S.Ambrogio di Torino. E' chiesa, è stata fortezza e ospizio per i pellegrini, oggi è il monumento simbolo della Regione Piemonte. Solo di recente ristrutturata, è affidata alla cura dei padri rosminiani. Durante la 2^ guerra mondiale alla Sacra i tedeschi sequestrarono un gruppo di novizi per farsi dire dove erano stati nascosti degli Ebrei. Tra i novizi c’era monsignor Antonio Riboldi, già vescovo di Acerra, impegnato nella lotta alla camorra, che ho conosciuto dai suoi libri ed in occasione di un incontro che tenne ad un gruppo di giovani cooperatori trentini. In quelle zone operavano forti formazioni partigiane (vedi libro” Mori e la 2^ Guerra Mondiale” pag 104), tra cui la 31^ Brigata Garibaldi in Val Sangone, di cui Giaveno è il capoluogo, comandata da un ventenne Eugenio Fassino , detto Geni , padre di Piero Fassino, l’ultimo segretario dei DS, che oltre ai novizi liberarono anche gli Ebrei nascosti nelle arche delle tombe dei Savoia.

[6] Una sera d’agosto 2006 Franco Monte, in sede Sat, mi informa che sul numero di settembre 2006 dello Scarpone è riportata la notizia, firmata “Gli amici e compagni escursionisti della Sezione di Giaveno” in cui si dice che “Il 10 luglio alle 11,30 il socio Angelo Chiola ha conquistato il Cervino, all’età di 74 anni, coronando il sogno che inseguiva da anni, grazie ad un fisico eccezionale e ad una forza di volontà non comune. Angelo ha portato a termine l’impresa in 13 ore accompagnato dalla guida alpina valdostana Walter Cazzanelli e dal figlio sedicenne. E pensare che ha cominciato a frequentare assiduamente la montagna soltanto quattro anni fa affrontando il Monviso, il Rosa e il Gran Paradiso….”
Come questa bella notizia dimostra i pregiudizi …giocano sempre brutti scherzi ….e che la forza di volontà,anche in montagna, porta a risultati impensabili..
[7] La chiesetta di Ciao Pais (frazione del Comune di Salice d’Ulzio-Sauze D’Oulx in val di Susa), fu costruita dagli alpini del battaglione Val Fassa, (costituito a Trento nel ’39, in previsione della guerra) durante il mese di agosto del 1940, in onore della Madonna della neve ed inaugurata dal Principe Umberto di Savoia, che divenne il cosiddetto Re di maggio. Infatti all’abdicazione di suo padre, Re Vittorio Emanuele III, nel maggio 1946, svolse, fino alla proclamazione dei risultati del Referendum istituzionale del 2 giugno 1946 (con cui il Popolo italiano scelse la forma repubblicana del nostro Stato), la funzione di Luogotenente del Regno e poi andò in esilio in Portogallo.
Nel battaglione Val Fassa c’erano molti trentini ed anche moriani, tra cui ricordiamo Giacomo Caliari, Vasco Cescatti, Romolo Caliari, Francesco Turella, Bruno Meneghelli, mio padre Bernardo.
[8] Lo scopo di questo diario è di diffondere lo Spirito di Santiago e di stimolare qualche ben intenzionato a farsi appassionare ed intraprendere il Camino.
[9] L’Encierro è una manifestazione popolare tipica della tradizione spagnola, composta da un singolare mistura di devozione al santo Patrono della città , San Firmino ed una prova di ardimento in cui ogni mattina, alle 8 in punto, dal 7 al 13 luglio, i giovani precedono 6-7 tori dai 5 ai 6 quintali in una corsa lungo le vie della città. Prima della “prova “ i giovani arditi, vestiti di bianco, con una fascia rossa alla cintola ed il fazzoletto rosso al collo con il simbolo della Navarra, , e cantano per tre volte, impugnano aritmicamente un giornale arrotolato che serve per distrarre il toro, la formula seguente sotto la statuetta di S. Firmino, nei pressi del luogo da cui di lì a poco saranno fatti uscire i tori:
“A S Firmin perimos por ser nuestro Patron,
a S Firmin perimos por ser nuestro Patron,
De nos su Bendition
Gora viva, gora viva.”

La prova avviene sotto l’osservanza di un regolamento che, tra l’altro,vieta la partecipazione alle persone in stato di ubriachezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti e con un forte dispiegamento di forze dell’Ordine, di Pronto soccorso, di stampa e radio TV, non solo spagnole. Dietro i tori rincorrono i pastores muniti di lunghi bastoni per stimolare i tori a correre verso la plaza de toros che sta alla fine del percorso. Il giorno seguente infatti le TV,i giornali locali e nazionali danno grande risalto all’avvenimento descrivendo minuziosamente quanti incornati e feriti gravi e meno gravi ci sono stati nell’Encierro quotidiano. Purtroppo, talvolta, ci scappa il morto e mi sono meravigliato che sono pochi rispetto a quello che potrebbe succedere. Quello che impressiona sono i giovani che tentano di toccare i tori in corsa e le loro cadute, con il pericolo di venire calpestati. Nonostante i giovani caduti si “proteggano” rimanendo fermi a bocconi sul selciato raggomitolandosi su sé stessi mi sono chiesto come fanno a non venire sventrati dall’affondo degli zoccoli dei tori in corsa! Mi è stato raccontato dall’amico spagnolo Iuan Boronat Gil, che abbiamo conosciuto la prima sera del cammino a Jaca e che ha insegnato chimica alla Università della Sapienza di Roma, che negli Encierro degli anni scorsi c’erano stati addirittura dei parenti delle vittime che, pur addolorati per la perdita del congiunto, si erano dichiarati orgogliosi che fosse morto nell’encierro di S. Firmino! Molte persone considerano però questi giovani, che provengono anche da altri Paesi, come “todos locos”-tutti matti! Anche questo è la Spagna.
[10] Il Camino Aragonés, parte da Puerto de Somport, nei Pirenei Aragonesi si snoda su un percorso di più circa 789 km, con un dislivello in salita di poco meno di 7000 metri e di più di 7000 metri in discesa.Questo il profilo altimetrico per sommi capi: Puerto de Somport, metri 1640; si scende fino a Sanguesa, m. 402 (circa 655 da Santiago); si risale fino a Puerto de Looiti m. 728 per poi scendere fino a Puente la Reina, m. 346 ( a 605 km da Santiago). Si inizia a risalire ininterrottamente, tranne la discesa verso Logrono che tocca m. 385, fino a San Juan de Ortega a 1000 metri (465 km da Santiago). Si scende a Burgos , m.861 (mancano 445 km) e poi si percorre la meseta per circa 200 km fino ad Astorga m. 868 (mancano 245 km). Si sale fino a Puerto del Foncebadon m. 1504 (mancano 220 km) ma noi toccheremo il punto più alto del Camino a 1532 metri , pochi chilometri dopo. Poi giù fino a Cacabelos m.483(mancano 185 km) e poi risalendo nuovamente fino ai 1337 m. di Porto do Poio (mancano circa 140). Giù nuovamente finoa Sarria, metri 453 (mancano circa 115 km). Poi fino a Santiago de Compostela che è il punto più basso del Camino , metri 251, è un continuo saliscendi con le due punte più alte, nell’ordine Mercato 626 e Ventas de Naron 702 ed i due punti più bassi Portomarin m.324 e Arca m.289.
[11] L’Aragona, oltre ad essere una delle Regioni storiche della Spagna, costituisce una delle 17 autonomie spagnole ed è formata da tre province (Saragozza, Huesca e Teruel). Capoluogo è Pamplona con 120.000 abitanti. Conta 730 Comuni, 1.200.000 abitanti (su una popolazione complessiva della Spagna di circa 40 milioni di abitanti) su una superficie di 47.000 km quadrati (il Trentino è poco più di 6.000 km q.).
La Spagna all’epoca delle scoperte geografiche era una potenza imperiale ; Carlo V soleva affermare che “sopra il suo impero non tramonta mai il sole”. E’ ora costituita da 14 regioni, divise a loro volta in province. La Castiglia e l’Andalusia hanno formato il primo nucleo statale. Il cuore del Paese è costituito dagli altopiani stepposi della Vecchia e Nuova Pastiglia; nella parte nord-occidentale si aprono le regioni delle Asturie e della Galizia, ricche di boschi e di prati. A sud dei Pirenei, confine naturale con la Francia, si estendo la valle molto irrigata dell’Ebro. L’Andalusia è caratterizzata dal contrasto tra i paesaggi della Sierra Nevada e del bacino, densamente abitato del Guadalquivir. L’agricoltura spagnola, che si avvale di moderni mezzi meccanici e di un’irrigazione in forte sviluppo, riesce ad essere sempre più competitiva sui mercati esteri. Sono anche in corso ambiziosi progetti d’industrializzazione, la costruzione di strade e quartieri residenziali, come abbiamo potuto constatare nel corso del Camino. Non meravigliano pertanto le recenti dichiarazioni del Primo Ministro Zapatero secondo il quale tra due anni il PIL spagnolo sorpasserà quello italiano. Mi sembra un’affermazione un po’ azzardata viste le dimensioni dei due sistemi economici.
Nel dicembre 2007 mentre sto per concludere il diario 2007 le agenzie di stampa danno l’annuncio che il PIL medio pro capite della Spagna ha sorpassato quello dell’Italia, dato però subito dopo contestato dal nostro Presidente del Consiglio che ha portato i dati di eurostat del 31 dicembre 2006 che dimostra che anche come dato medio pro capite la differenza è ancora di circa il 13% a favore dell’Italia. In termini assoluti il PIL italiano è superiore del 50% rispetto a quello spagnolo.
[12] La Credencial del Peregrino è il documento ufficiale del Camino di Santiago (Giacomo) nella quale sono indicati: il soggetto che rilascia la credenziale, i dati identificativi del pellegrino e la modalità con cui se lo fa, se a piedi, bicicletta o a cavallo (abbiamo incontrato un pellegrino con il suo asino che tornava da Santiago. Anche mia nipote Elena Cusenza, che ha fatto il Camino nel luglio del 2005 ne ha incontrato uno, ma gia’ da un anno non aveva piu’ la sua asina. Questo signore con piu’ di 70 anni aveva gia’ fatto il cammino 27 volte e, andato in pensione, dal maggio 2005 andava avanti e indietro per il cammino francese accolto con calore da tutti, vista la sua fama di pelegrino a ‘Asino’. Se incontrate questo signore, fatevi mettere il suo ‘sello’ personalizzato). La credencial contiene anche la data ed il luogo d’inizio e data e luogo (Santiago) della conclusione del pellegrinaggio e le certificazioni dei passaggi nei vari Albergues de Peregrinos, con apposizione del sello e la data. Ci sono dei sellos veramente belli. Il titolare della Credencial ha accesso ai servizi negli Albergues (dormitori, docce, lavadora-dove lavare ed asciugare i panni-, punti info) e nei luoghi di accoglienza lungo il Cammino ed a ricevere la Compostella, che è il documento, rilasciato dal Canonico deputato per i pellegrini della cattedrale di Santiago, scritta in latino, compreso il nome, che certifica l’avvenuta effettuazione del Camino.

Sul retro della Credencial sotto il titolo: ” El Camino de Santiago es un camino de Peregrinaciòn” sono stampate le due seguenti frasi:
“La historia de la Iglesia nos a legado (consegnato, tramandato) un gran patrimonio de fe y de piedad cristiana en el Camino de Santiago. Corrisponde, por tanto, a la Iglesia la responsabilidad pastoral de la custodia de este legado.”
Obispos del Camino.
La storia della Chiesa ci ha consegnato una gran patrimonio di fede e pieta’ cristiana nel cammino di Santiago. E’ quindi affidata alla Chiesa la responsabilita’ pastorale della custodia di questo documento.

I vescovi del Camino
“El Camino de Santiago fue, durante siglos, un camino de conversiòn y de extraordinario testimonio de fe”.
Juan Pablo II a los jòvenes en 1989.
Il cammino e´ stato, per secoli, un cammino di conversione e di straordianaria testimonianza di fede. Giovanni Paolo II durante la sua visita a Santiago, ai giovani nel 1989.



Preghiera del pellegrino, che abbiamo avuto dal Parroco di Los Arcos l’11 luglio 2006 .

O Dio, che portasti fuori il tuo servo Abramo dalla città di Ur dei Caldei, proteggendolo in tutte le sue peregrinazioni e che fosti la guida del popolo ebreo attraverso il deserto, ti chiediamo di custodirci, noi tuoi servi, che per amore del tuo nome andiamo pellegrini a Santiago de Campostela.
Sii per noi;
compagno nella marcia,
guida nelle difficoltà,
sollievo nella fatica,
difesa nel pericolo,
albergo nel cammino,
ombra nel calore,
luce nell’oscurità,
conforto nello scoraggiamento e
fermezza nei nostri propositi,
perché, con la tua guida, giungiamo sani e salvi al termine del cammino e, arricchiti di Grazia e Virtù, torniamo illesi alle nostre case, piene di salute e di perenne allegria.
Per Cristo nostro Signore.
Amen

San Giacomo, apostolo di Gesù, prega per noi.
Maria, madre di Dio, prega per noi.

[13] La storia ed in parte la leggenda di Santiago de Campostela, affondano le radici nell’epoca apostolica: dopo la morte e la Resurrezione di Gesù, infatti, gli Apostoli si disperdono ad “annunciare il Vangelo fino ai confini della terra”. Secondo la tradizione l’apostolo Giacomo il Maggiore arriva nella penisola iberica e giunge nella celtica Galizia. Ritornato in Palestina muore martire, primo fra gli Apostoli e dopo S. Stefano (primo martire della Chiesa), fatto decapitare nel 42 o 44 da Erode Agrippa. I suoi discepoli Teodoro e Anastasio ne trafugano il corpo e lo trasportano su una barca in Galizia, la terra che lo aveva visto come annunciatore del Vangelo. La storia della tomba di Santiago è lunga ed avvincente e nel 813 si scopre sul tumulo di un campo (da cui, forse, il nome di Campostela, Campus Stellae) la tomba di Santiago.
Dall’VIII secolo gli Arabi (berberi) invadono la penisola iberica, conquistandola quasi tutta nel nome di Allah e minacciando il resto dell’Europa. La loro forza è l’unità, cui gli sparuti regni cristiani del Nord della Spagna, divisi e l’un contro gli altri armati, non sono in grado di fronteggiare il pericolo comune. Da quel momento e per alcuni secoli il pellegrinaggio lungo il Camino de Santiago rappresenterà per la Spagna e per l’Europa cristiana un forte simbolo d’identificazione, per fronteggiare l’invasione araba che minacciava di espandersi nel resto del continente, ed in nome del quale organizzare la Reconquista, che durerà secoli. Con il passare del tempo il Camino de Santiago assunse significati diversi tra cui cammino di penitenza ed espiazione dei peccati fino a giungere ai giorni nostri, in cui molti pellegrini sono alla ricerca di un percorso interiore spirituale che non sempre coincide con la pura religiosità cattolico-cristiana. La gerarchia dei pellegrinaggi nella Cristianità è nell’ordine: Gerusalemme-Roma-Camino de Santiago. In occasione del nostro 25^ di matrimonio, Carmen ed io, avevamo deciso di fare un viaggio a Gerusalemme ed in Palestina, ma nel settembre del 2001 scoppia la 2^ Intifada che costerà migliaia di morti alla martoriata Palestina, la maggioranza Palestinesi ma anche Israeliani. Nel corso del nostro Camino 2006 scoppiano le ostilità tra Israele e gli hezbollah in Libano ed ancora una volta sono le martoriate popolazioni civili a subire le conseguenze più gravi con morti e feriti.


Mandamientos del peregrino.

1) El camino de Santiago no es una maraton.
2) El auténtico camino es el que cada uno va haciendo por dentro.
3) Optimismo y alegria, sinceridad y sencilles, son cualidades de un auténtico peregrino.
4) El equipaje màs importante es tù actitud de bùsqueda.
5) Inicia el camino sin ningùn tipo de prejuicios.

6) Haz de tu camino un encuentro constante.
7) Abre bien los oios a la bellezza del paisaje y del arte.
8) Durante la peregrinaciòn, no te encierres en tì mismo.
9) Respeta la naturaleza, puede ensenarte mucho
10) Santiago, guìa y fortalece a èste peregrino.

Comandamenti del pellegrino.

1) Il cammino di Santiago non è una maratona.
2) Il cammino autentico è quello che ciascuno va facendo dentro di se..
3) Ottimismo e allegria, sincerità e semplicità, sono qualità di un autentico pellegrino.
4) L’equipaggiamento più importante è la tua attitudine alla ricerca.
5) Inizia il cammino senza nessun tipo di pregiudizio.
6) Fai del cammino un incontro costante.
7) Apri bene gli occhi alla bellezza del paesaggio e all’arte.
8) Durante la peregrinazione non chiuderti in te stesso.
9) Rispetta la natura, può insegnarti molto.
10) Santiago, guida e sostieni questo pellegrino.






Il Camino viene dichiarato dal Consiglio d’Europa, nel 1987, itinerario culturale Europeo e nel 1993, l’Unesco lo riconosce come Patrimonio dell’Umanità. In occasione del Camino 2006 abbiamo avuto modo di conoscere ed ammirare altri quattro patrimoni dell’Umanità, dichiarati dall’Unesco: la cattedrale di Burgos, la cattedrale di Saragozza (la Seo); Atapuerca, un giacimento archeopalentologico di primaria importanza, riconosciuta tale il 30 novembre 2000 e la Aljaferia di Saragozza, riconosciuta nel 2001, un tempo fortezza araba utilizzata dai regnanti spagnoli che si sono succeduti nei secoli fino ad essere, per una parte, utilizzata dal 1987 quale sede del Parlamento regionale dell’Aragona (Cortes de Argon),.

[14] La Catedral romanica de Jaca risale all’XI^ secolo con un museo diocesano di pittura murale medioevale tra i più importanti del mondo, che, data l’ora tarda, non possiamo visitare.
[15] La sera dell’11 aprile 2006, giornata dello scrutinio delle elezioni politiche 2006 del 10 e 11 aprile, con gli amici dell’Unione ci siamo trovati dalle 19 in poi in stube per seguire lo scrutinio. Come si ricorderà per i simpatizzanti dell’Unione fu una serata molto sofferta; infatti mentre nella fase iniziale dello scrutinio alla Camera, le proiezioni davano un vantaggio dell’Unione sulla Cdl di qualche punto, man mano che le ore passavano la differenza si assotigliava, tanto che sul tardi la Cdl era data addirittura in vantaggio, con un pareggio al Senato. Ricordo le facce segnate dall’amarezza e dalla delusione di molti amici che si erano impegnati con generosità ed intelligenza nei numerosi incontri sul territorio di Mori , Brentonico e Ronzo Chienis, tanto che verso le 23 proposi di andare a letto nella recondita speranza che qualcosa di positivo, per noi, accadesse durante la notte. Come in realtà accadde ed al mattino seguentel’Unione risultò vincitrice anche al Senato, seppur di stretta misura.
[16] Mi viene spontaneo ricordare il più bel periodo del mio servizio militare quando, nell’aprile-maggio del 1971 ho frequentato la Scuola Militare di Educazione fisica dell’Esercito a Orvieto, conseguendo il brevetto di istruttore di educazione fisica. Nelle gare di fine corso, vinsi, nell’incredulità generale, poiché ero l’unico sergente di un servizio (Servizio di Commissariato ed Amministrazione militare) a competere con i colleghi delle armi combattenti, sia il percorso di guerra in assetto atletico che la corsa dei 3000 metri piani.
[17] Nel Camino di Santiago la cura e l’integrità dei piedi sono fattori determinanti ai fini della sua riuscita. Noi eravamo già edotti e consapevoli di tale importanza e ci eravamo attrezzati di conseguenza. Ci eravamo dotati di scarpe adatte al caldo, però con suola di Vibram, che alla prova dei fatti si è rivelata troppo morbida sui sassi del sentiero. Se posso dare un consiglio e, comunque, se potrò finire il Camino nei prossimi anni utilizzerò le mie scarpe da trekking che adopero nelle gite Sat, con suola di Vibram rigida. I calzini consigliabili sono quelli che consentono la trasudazione del piede e comunque devono essere sempre lavati la sera, meglio anche per la camminata del pomeriggio. Qualcuno adotta la tecnica del cambio del sottopiede. Personalmente nella pausa pomeridiana trovavo molto comodo far asciugare al sole sia scarpe che calzini, perché il sole ha una funzione battericida.
Altro aspetto fondamentale nella cura dei piedi è l’impiego delle creme per tenerli morbidi. Abbiamo sperimentato in modo positivo la crema al karitè donataci da Donatella Zandonai di Trento, che utilizzavamo la sera dopo la doccia e la crema alla canfora di Roberta od un’altra di Carmen che spalmavamo al mattino, prima di partire.
Importante è stata l’adozione della vecchia tecnica, utilizzata in ambiente Sat ed appresa nei campeggi parrocchiali in gioventù, del pediluvio ogni qualvolta incontravamo, lungo il percorso, fontane, fiumi, canalette per l’irrigazione. E’ un tonico vasocostrittore efficace per la circolazione e per abbassare la temperatura corporea; nelle ore più calde si raggiungevano anche i 47 ^ gradi. Al riguardo la estetista-pedicure Elisabetta Aiardi mi ha consigliato di fare bagni di sale, prima di spalmare la crema, rimedio antico quanto efficace anche per asciugare, disinfettare e prevenire l’insorgere delle vesciche (ampollas). Faremo tesoro del consiglio per la seconda parte del Camino, programmata dal 6 al 23 luglio 2007; speriamo non ci attenda un’estate altrettanto torrida. Chiudendo l’argomento sui piedi mi piace ricordare quando in gioventù praticavo l’atletica leggera nell’Aurora di Borgo Sacco e nel Quercia di Rovereto e per 4 anni dal ’64 al ‘69’ detenni il record regionale della gara 80 metri ad ostacoli. Miei maestri di quel periodo, non solo di atletica, furono Adriano Galli ed Ezio Tomasi e mio atleta simbolo di quel periodo era l’etiope Abebe Bikila che nel 1960 vinse ,a sorpresa, la maratona alle Olimpiadi di Roma. Ricordo la diretta tv in cui ad un certo punto apparse questo atleta sconosciuto che stupì il mondo intero perché correva a piedi nudi…… Utilizzò le scarpe alle Olimpiadi di Tokio nel 1964 che rivinse e Abebe diventò leggenda…. anche perché la vita gli riservò un destino crudele: un incidente lo costrinse a vivere su una sedia a rotelle, lui..simbolo della corsa più antica e più armoniosa dell’Uomo. Ma Abebe non si arrese e vinse anche la battaglia più importante della sua vita perché continuò a praticare lo sport anche sulla sedia a rotelle e divenne anche un grande allenatore. Prima dell’incidente fu addirittura coinvolto in un colpo di stato per rovesciare il suo Imperatore Hailè Selassiè; venne condannato a morte, ma venne graziato dall’imperatore in persona perché era un simbolo vivente dell’Etiopia del tempo.
Tornando ai consigli pratici, importante è l’adeguata copertura del capo (io avevo il berretto, in cotone bianco, di mio figlio Matteo della Giornata mondiale della gioventù del 2000 a Roma, che era molto apprezzato dai giovani che ho incontrato e che avevano partecipato all’evento. Un ragazza di Alassio-Federica- portava con sé quello, più bello e molto ambito, della Giornata di Colonia del 2005), uno zaino contenente le cose essenziali (il peso dello zaino deve essere proporzionato al peso del corpo nel rapporto di 1 a 10). Facendo molti chilometri al giorno 1 chilo in più può creare problemi. Preziosi sono i bastoncini telescopici specialmente nei momenti di stanchezza, nelle salite e nei saliscendi spaccagambe (rompipiernas) comunque per ripartire lo sforzo fisico anche un po’ sulle braccia. Da non dimenticare le creme per il sole e la tessera Sanitaria Europea.
Numeri di emergenza utili in Spagna:
-l’emergenza sanitaria SOS ha il 112;
- la Guardia Civil ha lo 062;
- il Cuerpo national de Policia ha lo 091;
- la Policia local ha lo 092.

Altri consigli pratici, frutto dell’esperienza maturata anche nel 2007 riguardano:
- nello zaino, ripartire il materiale in sacchetti o buste di plastica per facilitarne l’individuazione specialmente al mattino presto, quando c’è poca luce e per un maggior controllo delle dotazioni;
-munirsi di aghi di sicurezza e\o mollette per stendere i panni sullo zaino, durante il Camino;
-portarsi il caricabatteria della digitale e naturalmente il carica cellulare. Al riguardo è consigliabile che ognuno si porti il suo per i casi di emergenza, che come vedremo all’arrivo a Burgos, purtroppo accadono.

[18] Il Camino è essenzialmente su terra battuta o ciottolosa. In alcuni tratti costeggia anche le carretere principali con appositi ponti costruiti in ferro e le grigliate sul fondo o addirittura in legno con belle architetture. “ La vida acurre en los caminos”- Don Quijote de La Mancha (che potrebbe essere tradotta grosso modo così: la vita prende forma nel cammino).
Un fatto stupefacente è per me il constatare che non solo alcun albergue del peregrino, per l’intero Cammino non è dotato di pannelli solari per la produzione di acqua sanitaria, ma in tutto il tratto, da Jaca a Burgos, non abbiamo visto un impianto solare o fotovoltaico. Ciò in un paese in cui si è saputo intelligentemente utilizzare una grande risorsa energetica presente, l’energia eolica, con la predisposizione di grandi parchi eolici che ci hanno accompagnato per gran parte del Camino. Ruolo importante nella produzione degli impianti ha la tecnologia cooperativa di Mondragon, città della Provincia basca, che ha un forte movimento cooperativo specialmente nel settore industriale e creditizio-finanziario. E pensare che l’irradiazione solare in Spagna è ben più elevata che nei paesi europei all’avanguardia nell’impiego dell’energia solare e che 1mq di pannello solare fa risparmiare ogni anno circa 100 litri di petrolio ed evita la diffusione nell’atmosfera di: 315 Kg di C02(anidride carbonica), 600 g di S02 (anidride solforosa), 400 g di N0x (ossidi di azoto) e 70 g di polveri !

Anche nel corso di una vacanza in Sicilia, nel 2004, avevo rilevato questo forte ritardo negli impianti solari ed avevo deciso di scrivere al giornale di Sicilia la seguente lettera:
“ Cara Redazione, sono un trentino che ha trascorso in luglio (ero già stato nell’84 e nell’87) una splendida vacanza in Sicilia, nei pressi del castello di Baida. Lavoro nel movimento cooperativo trentino ed amo la Sicilia; ho un cognato siciliano e amici siciliani. Ho trovato la Sicilia cambiata, più ordinata, più pulita, più attenta alle sue immense ricchezze ambientali e storico-artistiche ed alla loro valorizzazione. Più rispettosa delle regole, tanto che amici trentini e addirittura siciliani, assenti da qualche tempo dalla loro terra, non avevano percepito il cambiamento in atto, e si sono visti beccare una multa per divieto di sosta! Sono piccole cose, ma sono convinto che è dai piccoli comportamenti che nascono i grandi cambiamenti. Ho apprezzato la pedagogica funzione che il vostro giornale svolge nello stimolare a comportamenti della vita quotidiana più virtuosi sia a Palermo che nel resto dell’Isola. Come pure il vostro sforzo nell’affrontare i problemi che ancora condizionano un sano sviluppo economico e sociale ed in particolare la lotta alla mafia.
Ci accomuna l’identica situazione costituzionale di Autonomia speciale, che una singolare versione di federalismo vorrebbe farci omologare alle regioni a statuto ordinario. Ritengo che proprio ora dobbiamo impegnarci ancor di più per dimostrare con i fatti ( spero vivamente che sui casi”Eolie” e “agro-ville” L’Assemblea siciliana abbia un repentino ravvedimento) la validità attuale delle ragioni storiche dell’autonomia, vissuta non come un privilegio ma come responsabilità ed impegno solidale con le altre regioni.
Ho potuto visitare Feudo Arancio a Sambuca, un’azienda vitivinicola di 282 ettari, che era dei Salvo, acquistata dalle Cantine cooperative di Mezzocorona (Trento), che domenica 29 agosto hanno festeggiato i primi 100 anni di vita. Oltre ai reimpianti, con varietà di qualità, le più avanzate tecniche di coltivazione e tecnologiche delle nuove cantine (frutto degli investimenti in ricerca ed innovazione del gruppo) mi ha colpito l’entusiasmo delle maestranze locali che sono più di 100, (solo l’amministratore delegato è trentino), consapevoli di essere protagonisti di una nuova stagione per sè e per la loro Terra. Il Direttore ha vissuto gli ultimi 10 anni di agonia dell’azienda sotto i Salvo ed ora tutta la zona è positivamente contagiata da questo nuovo modello . Stupendo è il disegno del nuovo anfiteatro che sarà costruito nelle vecchie monumentali cave di tufo, di eccezionale valore storico-artistico, ma adibite fino a poco tempo fa a discarica abusiva, e che come nuova area culturale di grande portata, sarà messa a disposizione dei Comuni limitrofi per sviluppare sinergie tra territorio, agricoltura, cultura e turismo. Mi preme evidenziare che Feudo Arancio è l’unica cantina in Italia ad aver ottenuto la certificazione ambientale Emas 2 (unico tipo di certificazione pubblica ed unico caso in Italia per tutta la filiera sia sulla struttura enologica di cantina che sull’azienda agricola). Da cooperatore che difende l’ambiente e promuove le energie alternative (a Trento mi muovo sempre in bici proprio per questo, oltre che per il mio spirito sportivo) mi complimento per il vostro stupendo parco dello Zingaro che abbiamo percorso e gustato in ambedue i sensi. Sul tema energetico vorrei chiedervi del perchè in tutta la Sicilia occidentale ho potuto contare solo 7 impianti solari, a fronte di una necessità impellente per il nostro Paese di ridurre la dipendenza dal petrolio. Mi è stato detto che il motivo stà nel fatto che la Regione Sicilia non prevede nessun incentivo. Penso che valga la pena riflettere sul fatto che comunque esiste la detrazione Irpef del 36% e che il rendimento dell’investimento per l’acqua sanitaria, alla vostra latitudine, anche grazie alle attuali tecnologie del pannello, è notevole ed in poco tempo ammortizza l’investimento. Penso che il vostro giornale, accanto alle altre meritorie iniziative, possa farsi promotore di cultura, anche nei politici locali, per l’utilizzo dell’energia solare nella vita quotidiana e nelle strutture pubbliche.
Con un cordiale saluto ed un ringraziamento”.



[20] Constateremo la relatività del concetto di distanza espressa in km da un interlocutore ad un altro, fenomeno che facciamo risalire al fatto che la Spagna è un paese molto più grande dell’Italia, kmq 497.517 rispetto ai nostri 301.268 e quindi si è meno precisi sulle distanze.
[21] Abitante del Sahara occidentale, ex spagnolo, che da sempre rivendica la sua indipendenza dal Marocco, che l’ha occupato nel 1975. Il 27 febbraio 1976 il popolo saharawi, un popolo dimenticato nella sabbia, come viene definito, costituito da circa 500.000 abitanti, ha dichiarato la sua indipendenza costituendosi in Repubblica. Questa battaglia è guidata dal Fronte di liberazione del Polisario, da sempre appoggiato dall’Algeria. Per combattere il movimento indipendentista il Marocco ha costruito un muro lungo più 2.500 km. Tra gli altri “muri” esistenti ricordo quello costruito da Israele al confine con i territori dell’Autorità Nazionale Palestinese e quello costruito dall’Arabia Saudita al confine con il Kuwait, lungo 3000 km. Si stà (estate 2007)parlando di costruire anche un muro a Bagdad per dividere la comunità sciita da quella sunnita!
[22] E’ dal 1964 che non vedevo la Tv algerina, anno in cui feci una bella esperienza turistico-culturale in Algeria. Visitai Algeri e dintorni con una puntata nell’oasi di Boussada, ed ho provato una forte emozione nel ritornare con i ricordi a quel periodo ed a quei luoghi. Non comprendendo l’arabo ho potuto però notare che i programmi erano molto simili a quelli europei e gli Algerini moderni mi apparivano un po’ più rotondetti rispetto a come li avevo conosciuti nei primi anni ’60. Quell’estate potei avere contatti con giovani del FLN, il fronte di liberazione algerino che aveva avuto un ruolo determinante nella lotta di liberazione dalla Francia e fummo accampati per quasi un mese, alla periferia di Algeri, in un campo a suo tempo utilizzato della Legione Straniera, in riva al mare tra pini mediterranei. Ho ancora ben presente quando verso l’8 agosto 1964, dopo la notizia della prima incursione americana nel golfo del Tonchino contro navi del Vietnam del Nord, potei assistere ad un’imponente manifestazione che sull’Esplanade de l’Afrique venne organizzata dal FLN, alla presenza di Ahmed Ben Bella, l’allora capo carismatico algerino. Nell’agosto dell’anno successivo Ben Bella venne sostituito da Boumedienne, negli stessi giorni in cui nell’Unione Sovietica veniva esautorato Nikita Kruscev dalla troika Kossighyn, Podgorny, Breznev. Mi preme ricordare che la guerra di indipendenza algerina costò più di 1 milione di morti al popolo algerino e migliaia di morti francesi. Proprio per questo legame con l’Algeria ho sofferto quando scorse molto sangue tra fratelli con la guerra civile strisciante. La “ sporca guerra” scoppiò quando il FIS, il partito politico degli integralisti islamici, venne ammesso alla competizione elettorale ed, a sorpresa vinse le elezioni politiche nel 1991. I militari ed il FLN non accettarono il responso delle urne e impedirono l’effettuazione del 2^ turno elettorale mettendo fuori legge il FIS. Come reazione gli integralisti perpetrarono una serie di massacri nei confronti della popolazione inerme civile, eccidi che durarono per più di un decennio, con più di 200.000 morti, cui i militari colpevolmente contribuirono. Solo in questi ultimi due anni il processo di pacificazione sembra stia incanalandosi verso una prospettiva duratura anche se è in atto un clima di sfiducia nella società algerina, tale da far dire ad alcuni osservatori che è in atto un congelamento, una regressione democratica. Elemento di speranza è il ruolo sempre più importante della donna algerina che ha presenze sempre più significative ed importanti in molti settori della vita economica, culturale e scientifica della società algerina.
[23] Lo Spirito di Santiago è l’atteggiamento con cui si affronta e come si vive il Camino, come cammino di spiritualità, di fede, di ricerca, di relazione con le molte e variegate persone che incontri, con i loro volti, racconti, le loro vite. Sono le senzazioni forti che si vivono nei momenti di riflessione individuale e collettiva, in un clima di fraternità e di mondialità, con la visione di bellezze artistiche e naturali uniche al mondo e oggetto di culto da molti secoli da parte di milioni di persone che ci hanno preceduto e che si sono interrogate sul senso della vita, del rapporto con gli altri e con Dio. E’ la determinazione di molte persone anziane a raggiungere Santiago, come quella ungherese che procedeva stentatamente, con i piedi distrutti e mi diceva … i hope, i hope…di sperare di raggiungere Santiago; la determinazione del vecchio pellegrino tedesco di 75 anni che Carmen e Roberta incontrano, ormai all’imbrunire, a Villafranca Montes de Oca, mentre punta, con passo deciso, verso la montagna ed i boschi, posti solitari e selvaggi che un tempo erano abitati da briganti e dai lupi, il terrore dei poveri pellegrini del Medioevo.
E’ un fenomeno complesso ed affascinante, che si vive anche collettivamente ma è essenzialmente personale, che ti consente di sperimentare la fatica, il caldo, il silenzio, apprezzare le bellezze della natura, l’essenzialità della vita. Vivendo le situazioni riesci a comprendere meglio le Sacre scritture, il loro contesto climatico, socio-ambientale, il sole che picchia, la cura dei piedi, la lavanda dei piedi di cui saremo protagonisti a S Nicolas de Puente Fitero domenica 8 luglio 2007.
Ti viene in mente il servizio militare e le due Scuole militari che ho frequentato; l’esperienza dei campeggi parrocchiali fatti in gioventù in val di Fassa, a S. Antonio di Mavignola e poi ai tempi dell’università in Val Duron ed a Almazzago in Val di Sole con don Paride Chiocchetti e don Lino Valandro.
E’ il ricordare, nei momenti di spiritualità e di fede personale e collettiva, con la recita delle preghiere e delle intenzioni ognuno nella propria lingua, le necessità dell’Umanità più sfortunata. Nel corso del Camino vivi situazioni che ti fanno riflettere e comprendere meglio le situazioni difficili che vivono le nostre Comunità, ma anche ricordare le persone care che sono nel tuo paese, pregare specialmente per la loro salute e per le loro sofferenze umane; per la Comunità civica di Mori e per la sua Comunità cristiana affinché possa sempre essere di esempio e lievito nella pratica quotidiana dei valori evangelici; per i nostri missionari, tra cui Dom Mariano, padre Remo, don Gianni, suor Domizia (morta nel 2007 dopo più di 60 anni di opera in Africa dove ha voluto essere sepolta) padre Dino, che vivono più da vicino le ingiustizie del mondo, per le associazioni in cui operiamo, in particolare quelle della Parrocchia, gli amici nelle varie associazioni ed enti in cui operiamo, Mandacarù, la Sat , la Scuola Scialpinismo Castel Corno, il Quercia sub, la Scuola materna Peratoner, gli Amici di Molina, gli Amici della Politica, dell'Unione, gli Ulivisti in particolare, ma anche i nostri competitori del Centrodestra, i tanti amici cooperatori nel Trentino.
Lo Spirito di Santiago è anche:
-il gesto del giovane Sanfirmino che passando in automobile ci vede in difficoltà, torna a casa sua, nelle vicinanze, a portare la famiglia, prende una bottiglia di acqua fresca dal frigo e ci è viene incontro!
-lo scambio del segno della Pace con un barbone vestito con un paltò invernale, nella Cattedrale di Burgos, monumento dell’Umanità, durante la messa solenne, concelebrata da 16 sacerdoti con 18 fedeli presenti.
-il constatare al mattino del 18 luglio all’albergue di Burgos che mi sono sparite le scarpe e sorridere con Isabella, volontaria, che mi confida che si tratta di un fenomeno rarissimo mentre si accorge che è sparito anche un altro paio che stava lì da più di 10 giorni!
-la consapevolezza che intraprendere il Camino oggi nel 2006 è una forma di privilegio e può diventare un comportamento snob se non si hanno ben chiare le ragioni e le motivazioni che spinsero milioni di pellegrini, nell’arco dei decorsi milleduecento anni, a farlo in condizioni proibitive per le condizioni logistiche, per il clima e talvolta per l’ostilità di briganti e di predoni. Non per niente il Camino è costellato di cimiteri del pellegrino.
-assaporare il misticismo degli antichi e dei pellegrini moderni.
-un’esperienza spirituale ed umana originale ed un modo per capire e ritrovare se stessi, di cercare di definirsi come persona, per capirsi dentro; in sostanza per darsi una regolata.
-sognare come fa il pellegrino della foto N^ 1875 del 17 luglio 2006.
-riscoprire, con spirito di umiltà e di creatura, quali sono le cose essenziali di cui la nostra vita ha veramente bisogno e quali invece sono superflue, effimere, forse di ostacolo alla capacità di vivere una vita autentica.
- imparare a valorizzare la semplicità dei piccoli gesti quotidiani, la schiettezza e l’autenticità delle relazioni, la gioia della gratuità e della condivisione.
- il tornare a sperimentare il disagio ma anche la bellezza del dormire in grandi cameroni con il forte caldo ed i vari “profumi” del corpo umano, come avevamo imparato a vivere ai tempi dei campeggi, delle colonie e durante il servizio militare, momenti importanti nella nostra formazione di gioventù.
-sperimentare la precarietà e l’insicurezza del non sapere come sarà il percorso, quali difficoltà potrai incontrare, dove dormirai la sera….
-imparare a “dipendere” da uno sconosciuto che in quell’occasione ti offre una mano, il suo aiuto spontaneo.
-affidarti alle tante novità che ogni giorno il Camino ti riserva, senza voler e riuscire a controllare e programmare tutto, come siamo abituati a fare nella nostra quotidianità.
-assaporare la gioia di vivere un’esperienza di un mondo globale, poliglotta (lo consiglio ai giovani perché comprendi l’importanza di conoscere le lingue), multietnico, a contatto con persone di generazioni diverse e con molti giovani con i quali entri naturalmente in sintonia e che di quando in quando reincontri sul lungo Camino, come il reincontro delle persone avviene anche nella Vita.
- vivere i momenti di intensa emozione umana, spirituale e di fede come quando siamo stati protagonisti della lavanda dei piedi nell’eremita di S Nicola a S Nicolas de Puente Fitero domenica 8 luglio 2007 o all’arrivo alla Cattedrale di Santiago venerdì 20 luglio 2007 in cui , di fronte all’urna dell’Apostolo Giacomo abbiamo ricordato tutte le persone care e gli amici ed abbiamo nel corso della solenne celebrazione della Messa del Pellegrino portato le intenzioni delle persone che ci avevano chiesto di farlo.
[24] Nel Camino ho portato con me la felpa donatami dai colleghi in occasione della festa del mio pensionamento dalla Federazione trentina della Cooperazione, sui cui Carmen mi ha amorevolmente cucito il logo della Sat, come pure la maglietta a manica lunga donatami dagli amici della Sat di Mori sempre per il pensionamento.
[25] Il profumo del frumento mi rievoca quelli tanto cari dell’infanzia, quando a Mori si coltivava ancora il frumento (in appezzamenti ben più piccoli della vasta campagna spagnola), lo si falciava dapprima con le falci a mano, poi in anni più recenti con le falciatrici meccaniche; lo si raccoglieva a mano, con i falcetti si formavano i covoni che si caricavano sui carri e lo si depositava nelle case in attesa dell’arrivo della trebbiatrice, che erano di proprietà dei Bazzanella, dei Rizzi ecc. e venivano posizionate nei vari piazzali, alle Seghe II, a Molina, sul piazzale della Fiera a Mori, a fianco degli stupendi ippocastani. Venivano azionate dai trattori (il mitico Stayer 26 c.v) ed insieme facevano un gran fracasso ed un polverone indescrivibile. Il frumento in chicchi, dopo un periodo di essicatura veniva conferito (assieme al mais –il cosiddetto zaldo-da cui si otteneva la farina per la polenta) ai vari mulini che operavano a Mori in quel periodo: Piccoli, Peroni o Benedetti. Dai mugnai si otteneva in cambio farina per le necessità della famiglia, e dalla trebbiatura si ottenevano le balle di paglia e la pula che servivano per il lettime delle mucche nella stalla. Quando arrivava la macchina “da battere”i borghi si animavano ed era un pullulare di carri che arrivavano carichi di covoni e ripartivano con la paglia, la pula ed i sacchi di grano. Era una momento di festa ed allegria perché era la fase finale del raccolto, il momento in cui si materializzava il tanto agognato “forment”. Purtroppo le varie fasi del raccolto e specialmente della trebbiatura non erano immuni da infortuni, talvolta anche gravi perché, a quel tempo, le misure antinfortunistiche erano limitate. Ricordo un episodio particolarmente grave in cui un giovane operatore cadde nella bocca della trebbiatrice e perse entrambe le gambe.

[26] In tal caso occorre l’intervento di una trebbiatrice (vedi foto), generalmente trainata ed azionata da un potente trattore che, con un sistema di rastrelli meccanici, convoglia la fila di paglia nella bocca della macchina. Quest’ultima lo imballa in grosse balle che lascia sul terreno e che verranno prelevate con sistemi meccanici, caricate sui rimorchi e portate nelle fattorie zootecniche.
[27] Lungo tutto il Camino la gran parte delle persone che incontri, anche in macchina, ti saluta sempre con simpatia ed è sempre disponibile ad aiutarti, con l’immancabile “Adios, Buen Camino”.
[28] Nel cui simbolo è presente la spiga del frumento ed il rametto di rovere, che, in effetti, sono le due componenti vegetali più presenti sul Camino di quella zona.
[29] Il girasole è una pianta che richiede una buona irrigazione ed è un segno evidente che nella zona c’è acqua.
[30] Questa operazione militare che sembrava destinata ad esaurirsi in un’operazione lampo e limitata negli obiettivi (la ragione portata da Israele per intensificare l’azione militare è l’attuazione della risoluzione delle Nazioni Unite N^ 1559 per il disarmo degli Hezbollah, mai attuata dall’ONU) subirà, nei giorni successivi una vera e propria escalation, con il rapimento di altri soldati israeliani da parte degli Hezbollah e con il bombardamento del Libano da parte israeliana. Proseguirà con l’occupazione della parte meridionale del Libano e con centinaia di morti civili, tra cui molti bambini, con distruzioni di case ed infrastrutture. Ci sarà, a causa di un bombardamento su un’abitazione, secondo fonti israeliane utilizzata dai miliziani palestinesi, una strage di bambini a Cana, come pure l’uccisione di 4 caschi blu dell’ONU. In sostanza la tragedia della perenne guerra in Terrasanta tra lo Stato di Israele e la parte dei Palestinesi che non riconosce lo Stato d’Israele. Si leverà la voce anche del Papa con quel “Immediatamente, in nome di Dio deponete le armi” ed i media spagnoli danno rilievo alle prese di posizione del Governo spagnolo contro l’offensiva israeliana. Il Governo italiano riuscirà ad organizzare una conferenza a Roma per facilitare gli aiuti umanitari e per spianare la strada ad un cessate il fuoco. Negli stessi giorni proseguono le stragi, dimenticate, in Irak dove quotidianamente ci sono attentati prevalentemente a danno della maggioranza sciita condotti dalla minoranza sunnita e viceversa. I Sunniti erano al potere durante il regime di Saddam. Ormai si parla apertamente di guerra civile ed i morti civili superano ormai le cento persone al giorno.La guerra in Libano cesserà dopo 34 giorni alle ore 7 italiane a seguito della risoluzione N^ 1701 dell’ONU che prevede il dispiegamento nella zona Sud del Libano di una forza di interposizione con il compito di disarmare gli Hezbollah e le azioni di Israele. A questa forza internazionale parteciperà anche l’Italia con un numero significativo di uomini e di mezzi, decisione che, dopo un logorante tira e molla, avrà l’adesione della stragrande maggioranza del nostro Parlamento.
[31] Un consiglio è portarsi il caricabatterie per la digitale (anche se pesa qualche etto) come, ovviamente, il ricarica cellulare. E’ opportuno portare più cellulari per ogni gruppo di persone per evitare gli inconvenienti che ci sono accaduti l’ultimo giorno di Camino, il 17 luglio a Burgos. (vedi diario relativo).
[32] Per proteggere le piantine dei rimboschimenti vengono utilizzati dei tubi di plastica fin tanto che la pianta è adulta, per evitare che le pecore le possano danneggiare irrimediabilmente.
[33] Tra le figure simbolo dello sport algerino mi piace ricordare Hassila Boulmerka che ai mondiali di atletica del 1991 vince i 1.500 e dedica la vittoria alle donne del suo Paese. Gli integralisti islamici le contestano il fatto di correre in shorts e la minacciano di morte.
[34] Annotazione demografica. Nove mesi dopo la chiusura dei mondiali di calcio in Germania si assisterà, in terra tedesca, ad un felice boom delle nascite di un più 10% rispetto al trend normale. C’è da augurarsi che le Olimpiadi del 2008 in Cina non abbiano lo stesso effetto gioioso sui Cinesi!
[35] Quello che colpisce in Spagna è che in un paese dove gli orari dei servizi pubblici di trasporto privato sono abbastanza elastici, gli orari di chiusura delle chiese siano di una puntualità cronometrica e nei piccoli borghi, purtroppo siano aperte, solo nelle ore serali (per ovvi motivi). C’è anche da dire che il patrimonio artistico religioso è stato sottoposto a continui furti e vandalismi e che i costi della sorveglianza sono enormi; fortunatamente ci sono molti volontari che si dedicano a far conoscere quest’immenso patrimoni artistico “minore” della sterminata campagna spagnola.
[36] Estella è una città artisticamente molto interessante, fondata da Pancho Ramirez attorno al 1090. Di importante c’è la chiesa di San Pedro de la Rua, quella di San Miguel, il convento di san Domingo ed il Palacio de los Reyes de Navarra del XII secolo che sono il più bell’ esempio di architettura romanica civile di tutta la regione. Estella è attraversata dal rio Ega, tra due rive di un verde intenso e con molte piante che, dopo una giornata di cammino sotto il sole cocente ed il giallo intenso delle spianate di frumento ci dà grande sollievo.
[37] L’ANFAS è l’Asociacion navarra en favor de las personas con discapacidad intelectual ed ha lo scopo di migliorare la qualità di vita, lo sviluppo personale e la partecipazione di queste persone nella vita sociale. Ho chiesto se ci sono collegamenti con l’Anffas italiana (Associazione nazionale famiglie fanciulli subnormali) ed al limite con quella trentina, che è una delle nostre articolazioni territoriali più organizzate, ma l’operatrice non sapeva dell’esistenza di rapporti di collaborazione tra i vari organismi nazionali.
[38] Occorre sottolineare che San Benedetto ha contribuito in modo determinante alla formazione della cultura europea e all’idea stessa dell’Europa. Al riguardo riporto una riflessione di Papa Giovanni Paolo II^ sul ruolo svolto dal Camino nei secoli, per l’unità dell’Europa:” “ L’intera Europa si è ritrovata attorno alla “memoria” di Giacomo in quegli stessi secoli nei quali essa si costruiva come continente omogeneo e spiritualmente unito. Il pellegrinaggio di Santiago fu uno degli elementi forti che favorivano la comprensione reciproca di popoli europei tanto diversi, quali erano i latini, i germani, i celti, gli anglosassoni e gli slavi. Il pellegrinaggio avvicinava, di fatto, metteva in contatto e univa tra loro quelle genti che, di secolo in secolo, abbracciavano il Vangelo e contemporaneamente, si può dire, emergevano come popoli e nazioni”.

[39][39] A chi non l’avesse visto consiglio la visione del film “Hotel Rwanda”, che descrive il genocidio e come è maturato. Un protagonista impotente della tragedia rwandese è stato Fabio Pipinato, Presidente di Mandacarù, cooperativa per il commercio equo e solidale , di cui mi onoro di essere socio, che ha 13 botteghe aperte in Trentino di cui una anche a Mori in Via Gustavo Modena aperta dal novembre 2005, grazie all’impegno di un bel gruppo di socie volontarie moriane. Ho chiesto all’amico Fabio una testimonianza:
“L’ONU non è morta a Kigali ma sono morti gli Stati che hanno impedito un rafforzamento dell’ONU. “Datemi 5.000 uomini e fermerò il massacro” urlava il generale canadese Dellaire mentre a New York gli Stati si contendevano i territori della regione africana dei Grandi Laghi. Gli hutu hanno ucciso con il machete quasi un milione di persone in cento giorni. Soprattutto i tutsi hanno risposto con la stessa moneta nella Repubblica Democratica del Congo (ex Zaire) con un rapporto di 1 a 3. Sono morte più di tre milioni di persone negli anni seguenti, nei territori zeppi di diamanti e coltan*.

Paola ed io eravamo a Rilima il 6 aprile 1994. A soli 60 chilometri da Kigali. Scoppiò tutto improvvisamente. Ebbe inizio il genocidio. Ne nascondemmo un centinaio ma non di più. Gli altri che non riuscirono a scavalcare la rete trovarono la morte. L’uomo era semplicemente impazzito. Completamente impazzito. Non voleva sentire ragioni. Un po’ come i nostri gerarchi nazisti o i criminali di guerra dell’ex Yugoslavia.

Morirono anche moltissimi hutu che tentavano di rifugiare i loro fratelli tutsi, ma per i più la parola fratellanza non aveva valore alcuno. Era la fine della speranza.”

Fortunatamente le teste di cuoio dal Belgio ci portarono in salvo. Prima i bianchi e poi coloro che si erano rifugiati presso il nostro Ospedale. Poche unità mentre il mondo lasciava morire la sua umanità.”

* coltan- Il coltan è polvere nera costituita da una miscela di cobalto e wolframio, usata nell'industria aerospaziale e degli armamenti, specialmente missilistica; il coltan è nelle batterie dei cellulari, negli ayrbag, nella tecnologia avanzata e persino nei giochi elettronici dei ragazzi. E’ radioattiva, viene estratta a mano da uomini, donne e sembra anche bambini che spesso sono anche prigionieri di guerra. Per approfondimenti vedi sito web.


[40] Alcuni dati ed indicatori di sviluppo dell’economia spagnola: nei 10 anni dal ’95 al 2006 gli Usa e l’Europa hanno creato 18 milioni di posti di lavoro ciascuno. In Europa ben 7 su 18, il 39%, sono stati creati in Spagna, un numero tre volte maggiore dei posti creati in Italia. Ciò è il frutto della crescita del loro tasso di partecipazione: quello maschile è passato nel decennio in esame dal 62% al 71% e quello femminile addirittura dal 46% al 59% (ben 13 punti!!).
Il tasso di partecipazione in Italia è quello che la Spagna aveva 10 anni fa, siamo al livello del Messico ed in EU solo la Turchia ha un tasso più basso del nostro. Ciò ci fa ben sperare nel senso che abbiamo ampi margini di miglioramento.
Con la Spagna condividiamo purtroppo un indicatore, quello degli investimenti in ricerca ed innovazione tecnologica , che ci relega a fanalini di coda nella classifica europea con in testa la Germania, la Svezia e la Finlandia.
Secondo alcuni economisti la causa principale della scarsa crescita dell’economia italiana è dovuta allo scarso indice di natalità del nostro Paese (1,3 figli per donna) a fronte però dello stesso tasso in Spagna.
[41] La leggenda dei due polli di Santo Domingo de la Calzada, riportata nel diario del 14 luglio Azofra-Granon.
[42] E’ la conferma, per l’ennesima volta, della bontà dell’applicazione della “filosofia opposta a quella del gregge” cioè cercare di comportarsi, in certe situazioni es. scelta parcheggi, località di vacanza, partenze intelligenti, ecc. in modo diverso da quello della gran parte delle persone, non per spirito di contraddizione o per snob, ma per utilizzare in modo più razionale le opportunità che ci si presentano e contribuire a migliorare la qualità della vita nostra e degli altri. Il mio maestro in questo campo è stato mio padre Bernardo che l’ha sperimentata sui vari fronti della 2^ Guerra Mondiale ed anche grazie a questo è riuscito a tornare sano e salvo. Già dal battesimo del fuoco avvenuto il 10 giugno del ’40 con l’aggressione alla Francia, osservò che il nemico concentrava il fuoco in prevalenza dove c’erano assembramenti e da quel momento cercò di evitarli mantenendo posizioni quanto più possibile defilate ma comunque a contatto con il gruppo. Io ho cercato di applicare questo metodo in molte occasioni pratiche della vita, non solo evitando luoghi troppo affollati quando non è necessario od utile, ma anche, per esempio, parcheggiando un po’ più lontano dal centro e facendo qualche decina di metri a piedi; utilizzando la bicicletta a Mori ed a Trento, uscendo un attimo prima o un po’ dopo da una manifestazione; partendo e tornando dalle vacanze in ore più adatte (le cosiddette partenze intelligenti) ecc.,puntando sul turismo alternativo (ovviamente anche per altre motivazioni). Anche nel Camino de Santiago la tecnica ha funzionato.
[43] Nel Medioevo una famiglia di pellegrini tedeschi proveniente da Colonia composta da padre, madre e giovane figlio sosta in una locanda di Santo Domingo per trascorrervi la notte. La figlia del locandiere si invaghisce del giovane e cerca di sedurlo; il giovane resiste alle profferte ma la figlia si vendica nascondendo nella sua bisaccia una coppa d’argento e poi lo denuncia al magistrato del paese. Il ragazzo viene perquisito e gli si trova addosso la refurtiva; viene giudicato, riconosciuto colpevole e impiccato come ladro. I genitori affranti dal dolore continuano però il Camino verso Santiago; al ritorno ripassano da Santo Domingo e con grande stupore trovano ancora il figlio appeso alla forca ma ancora vivo, sostenuto per i piedi da Santiago (San Giacomo). Corrono a dirlo al magistrato perché il miracolo testimonia l’innocenza del loro figlio. Il giudice viene interrotto durante il pranzo ed al sentire il racconto dei due poveri pellegrini si mette a ridere di loro e urla verso di loro :”Vostro figlio è vivo come sono vivi questi polli arrostiti che mi sto mangiando”. Ma, come finisce di urlare, ecco che i polli si rivestono delle loro piume, riprendono vita e si mettono a cantare…………… Nella nostra Regione vi sono molte testimonianze che ricordano l’apostolo S. Giacomo ed il cammino dei pellegrini. A Fondo è riportata la stessa leggenda dipinta su una chiesetta.



[44] La guerra civile spagnola ha rappresentato un momento terribile ed inumano nell’Europa del XX^ secolo non solo per il numero di morti, più di un milione, ma per l’odio e l’efferatezza con la quale fu combattuta da entrambe le parti. Leggendo anche la stampa spagnola attuale si può capire quanto pesò la contrapposizione ideologica nel portare a forme di disprezzo, per noi inimmaginabili, contro l’uomo e la sua dignità.
Dal punto di vista storico-politico la verità è che contro la Repubblica spagnola appena nata da libere e democratiche elezioni, il 18 luglio 1936, ci fu il golpe-l’alzamiento- del generale Franco e dei suoi generali, appoggiato dalla destra politica ed economica, purtroppo, con l’assenso delle gerarchie della Chiesa cattolica pagnola, mentre una parte del clero, che viveva a contatto con il popolo, era con la Repubblica. La guerra civile coinvolse nel conflitto, più o meno direttamente, potenze alleate dell’una e dell’altra parte, tra cui la Germania di Hitler e l’Italia di Mussolini, schierate con Franco. La Repubblica potè contare sull’appoggio, più che altro logistico, dell’U.R.S.S di Stalin (Francia e Gran Bretagna erano titubanti e divise sul da farsi) ed in particolare sulle Brigate internazionali, formate da giovani che provenivano da tutto il mondo, tra cui molti italiani ed americani che accorrevano in difesa della Repubblica, tradita da alcuni suoi generali, cui avevano giurato fedeltà.
Viene in mente quello che è successo l’11 settembre 1973 in Cile con il golpe di Pinochet e la morte di Salvador Allende nel palazzo della Moneda…….
Voglio ricordare il sacrificio di molti italiani che combatterono e morirono in terra di Spagna, gli Italiani della Repubblica e gli Italiani della divisione Azzurra, mandata da Mussolini ed anche alcune figure di moriani.
Tra questi Silvio Bianchi, Comandante della 4^ Compagnia della Brigata Garibaldi, che proposto dal C.L.N, poteva, se non avesse rinunciato, diventare il primo Sindaco della Mori liberata.
Un altro moriano che difese la Repubblica con valore, combattendo nella Colonna Durruti e poi diventando comandante di batteria nella Brigata Garibaldi, è Giacomo Caneppele, la cui storia ho raccolto grazie al prezioso contributo della moglie Agnese Perzolli e della sorella Giulia Caneppele e che è stata raccontata dalla nipote Giuliana e dall’Associazione Genitori in occasione del Giorno della Memoria 2007 e che sarà pubblicata sulla 2^ edizione di “Mori e la 2^ Guerra Mondiale”.
Non so se ci sono stati dei moriani che hanno combattuto con Franco; è una lacuna storica che possiamo colmare con il contributo di tutti ed eventualmente di qualche parente ancora vivente che intende dare il suo contributo.
La guerra di Spagna coinvolse anche il mondo della cultura e del sapere, molti artisti, poeti e scrittori che quasi totalmente si schierarono con la Repubblica con i loro scritti e le loro opere d’arte, ma anche combattendo sul campo. Fra tutti ricordo Ernest Hemingway, scrittore americano, corrispondente di guerra, autore di “Addio alle armi” sulla 1^ Guerra mondiale, ( da cui un grande film con interprete Vittorio de Sica e che rappresentò una dura condanna all’assurdità della guerra) con il celebre libro “Per chi suona la campana” ambientato proprio nella Spagna della Guerra civile; Garcia Lorca, voce dell’anima spagnola ma anche meraviglioso poeta universale, fucilato all’alba del 19 agosto del 1936 dalla Guardia Civil, a soli 38 anni, (il suo corpo non fu mai trovato come per molti altri combattenti della Repubblica) per la sua fiera opposizione al Franchismo ma anche perché era omosessuale; Luis Bunuel, regista ; Salvador Dalì, pittore; Raphael Alberti, poeta; Pablo Picasso, pittore. Di quest’ultimo ricordo il celebre quadro “Guernica”, di cui conservo nel mio studio una riproduzione, che raffigura il dramma del bombardamento della omonima città basca nel 1939 da parte dei nazisti che con la divisione tedesca Condor sperimentavano le nuove armi per l’attacco alla Polonia (1 settembre 1939-l’inizio della 2^ Guerra mondiale).
Proprio nei giorni immediatamente precedenti il 18 luglio 2007 apprendiamo dalla stampa spagnola che una legge approvata dalle Cortès-il Parlamento spagnolo- il 22 giugno, ha dichiarato il 2006, Anno della Memoria storica, cui dovrebbe seguire una legge di proposta del Governo, con lo scopo di ”dare soddisfazione morale alle vittime della parte perdente e della rappresaglia franchista”. Proprio il 18 luglio il Parlamento catalano ha approvato “su primiera condena institucional de la dictadura franquista”….el Gobierno catalàn indica que “la recuperaciòn de la memoria democratica es un acto de justicia, es un acto de libertad” e “proclamò el 18 de julio de 2006 como “Dìa de condena del régimen de Franco y de conmemoraciòn de la memoria democratica”. Durante la seconda parte del Camino nel 2007 leggeremo dalla stampa spagnola sia locale che nazionale numerose iniziative, ad opera della Associazione per la Memoria storica e dei famigliari dei caduti, tenedenti al recupero dei resti di numerosi combattenti repubblicani. Questo sforzo è supportato dalle ricerche delle Università spagnole e di molti governi locali unitamente a delle équipes di archeologi e di analisti sul DNA.

[45] Burgos è l’antica capitale del regno di Castiglia, patria del grande condottiero “El Cid campeador”. Con la nascita del regno di Castiglia nel 1035 ed il trasferimento della sede episcopale da Montes de Oca divenne, col tempo, la più importante città della Spagna.
[46] Tipico saluto spagnolo raccolto dal prof Paolo Antonioli di Arco che ha già fatto tre volte il Camino, la prima volta in bici e due volte a piedi. Lui però consiglia vivamente di farlo a piedi perché si ha una maggior possibilità di vedere quanto offre il Camino ed il tempo per poter riflettere meglio.
[47] Impressionati dalle alte temperature incontrate nel 2006 eravamo tentati di sostituire il sacco a pelo leggero con le lenzuola igieniche, che si usano nei nostri rifugi, e di non portare un pai pesante ed i pantaloni lunghi. Saggiamente abbiamo fatto il ragionamento che si deve fare, sempre, quando si va in montagna: “Meglio portare l’abbigliamento e non adoperarlo che trovarsi nella necessità e non averlo!”.
Con il drastico abbassamento delle temperature registrate in Spagna nell’estate 2007, avremmo avuto grossi problemi ed in Galizia, con la pioggia pressoché quotidiana, ci saremmo trovati in serie difficoltà.
[48] Mi viene in mente che in Italia il 25% delle suole elementari è fuori legge in termini di sicurezza.(da una notizia della Rassegna Stampa agosto 2007).

[49]
In tema di prevenzione e sicurezza pubblica ricordo sempre la frase scolpita sul vetro della chiesetta La Palanca, in val di Stava, benedetta da Papa Giovanni Paolo II in occasione della sua visita pastorale a Stava il 18 luglio 1988, a ricordo della spaventosa tragedia del 19 luglio 1985, che costò la vita a 268 persone, che così recita :
“La loro perenne memoria sia di monito perchè la superficialità, la noncuranza, l’approssimazione, l’incuria, l’interesse non debbano più prevalere sulla cura per l’uomo, la sacralità della vita umana, la coscienza delle personali responsabilità”.



[50] Con il Prof Elio Sommavilla di Predazzo, che ha dedicato gran parte della sua vita alle popolazioni della Somalia ed il prof Vanzo , nell’estate del ’67 avevo frequentato, assieme alla compianta prof. Serena Tiella, (nostra impareggiabile professoressa di Geografia economica all’Istituto Fontana e donna di profonda cultura, cui sono profondamente riconoscente) un corso di geologia al rifugio Taramelli , organizzato dall’Università di Ferrara, in cui il prof Sommavilla insegnava.
[51] Un contadino del villaggio di Barxamaior sale al Cebreiro per ascoltare messa nonostante l’imperversare di una tormenta di neve, a causa della quale arriva in ritardo. E’ molto amareggiato per questo; il sacerdote celebrante, sicuramente di minor fede, se la ride di gusto per il contadino e la sua fatica per ricevere un po’ di pane e di vino… Ma al momento della consacrazione, l’ostia che tiene in mano diventa carne ed il vino diventa sangue , facendolo trasalire… Il prete di poca fede ed il contadino credente sono sepolti uno accanto all’altro nella chiesa del Cebreiro, dedicata a Santa Maria la Real.
[52] Il suo nome deriva dal fatto che esistevano anticamente “tre castri”,antichi villaggi celtici. Il suo sviluppo economico è dovuto al Camino ma anche per la presenza di pietra calcarea impiegata per fare calce per le costruzioni. Si narra che nel Medioevo i pellegrini raccogliessero qui una pietra da portare a Santiago per contribuire alla costruzione della Cattedrale e che nel borgo ci fosse una prigione per i pellegrini ….non proprio in odore di santificazione….
[53] La regione della Galizia è suddivisa in quattro provincie: quella di Lugo che stiamo percorrendo, la Coruna, la Orense, la Pontevedra.
[54] E’ dedicata a Santiago, a tre navate, ricostruita nel XVII secolo su precedente originale romanico, con una bella, massiccia torre campanaria. (vedi foto 469).
[55] Preghiera a Santiago pellegrino.
O Santiago, davanti alla tua immagine di pellegrino vogliamo confermare la nostra condizione di pellegrini, così come pellegrino fosti Tu e Gesù di Nazareth. Siamo pellegrini alla ricerca della verità; non ricerchiamo nulla di materiale, ma ricerchiamo pace interiore, capacità di amore, di ascolto e di dedizione completa ai nostri simili. Cerchiamo dei principi di cui necessitiamo in quanto persone che vivono il mondo odierno, una scala di valori della nostra vita per poterla organizzare ed organizzarci.
Qui ed ora vogliamo riaffermare la nostra condizione di cristiani, come Tu lo facesti con il Martirio subito per amore di Gesù di Nazareth.
Cerchiamo la nostra identità cristiana in un mondo disattento al messaggio cristiano, carente di valori e di crescita religiosa.
In questo mondo spersonalizzante ed indifferente di fronte all’essere umano nella sua dimensione trascendentale, vogliamo essere noi stessi senza che altri pensino per noi, assumendoci le nostre certezze ed i nostri errori senza essere parassiti in un mondo che ha bisogno di vita, vivendo e lasciando vivere in tutte le dimensioni.
O Santiago, tu ci vuoi come siamo, ma al tempo stesso attendi da noi qualche cosa; vogliamo darti la gioia di prenderti sul serio la nostra e l’altrui vita, vogliamo essere testimoni di Gesù vivendo e convivendo con tutti gli esseri umani che ci circondano.
Aiutaci a vivere una vita piena senza farci cadere nel vuoto materialismo, senza renderci schiavi del possedere, senza farci perdere l’illusione, la fede, gli ideali e la speranza, affinché il nostro mondo familiare sia capace di perseguire gli ideali umani ed evangelici.
Santiago, aiutaci a crescere nella fede ed a crescere interiormente.
Tutti abbiamo problemi nella vita, aiutaci a sollevarci senza che ci trasciniamo per i marciapiedi della vita, senza perdere la nostra dignità umana e cristiana.
Sii il nostro sostegno così come nel Camino de Santiago anche nel Cammino della vita.
Grazie Santiago.

di don Augusto Losada Lopez
Parroco di Triacastela
Lugo
Galicia-Espana.

[56] A Santiago, come nelle grandi città della Spagna che abbiamo avuto modo di attraversare con il Camino, risalta la forte intensità degli sportelli bancari, che sembra superiore a quella trentina, che è già più fitta che nel resto d’Italia.
[57] Santiago de Compostela è capoluogo della Regione autonoma della Galizia e conta 88.000 abitanti, un po’ meno di Trento. In questi ultimi anni si è espansa molto con nuove costruzioni a causa dell’urbanizzazione che ha comportato lo spopolamento delle zone di campagna e di montagna limitrofe Il fenomeno ha interessato un po’ tutte le grandi città che abbiamo attraversato, come del resto in molte parti del Mondo, Italia compresa. Ci sono ora timidi segnali di inversione di tendenza di tale fenomeno.


[58] Ci è stato riferito che, recentemente, per ricostruire tali strumenti si è ricorso a queste sculture.

[59] E’ un turibolo molto grande che viene attivato solamente in alcune occasioni particolari. Quello attualmente usato è in metallo mentre quello antico, enorme, aveva la struttura in legno. Oltre che segno liturgico il butafumeiro antico aveva la funzione sanitario-estetica di profumare un po’ l’ambiente costituito da migliaia di pellegrini che non potevano certamente fruire delle docce moderne….
[60] Il testo della Compostela è il seguente:

“ CAPITULUM huius Almae Apostolicae et Metropolitanae Ecclesiae Compostellanae sigilli Altaris Beati Jacobi Apostoli custos, ut omnibus Fidelibus et Pregrinis ex toto terrarum Orbe, devotionis affectu vel voti causa, ad limina Apostoli Nostri Hispaniarum Patroni ac Tutelaris SANCTI JACOBI convenientibus, authenticas visitationis litteras expediat, omnibus et singulis praesentes inspecturis, notum facit: Dnam Robertam Vicenzi, Dnam Mariam a Monte Carmelo, Dnum Marcellum Benedetti,
hoc sacratissimum Templum pietatis causa devote visitasse. In quorum fidem praesentes litteras, sigillo ejusdem Sanctae Ecclesiae munitas, ei confero.
Datum Compostellae die 20 mensis Iuli anno Dni 2007-07-30

Sigillum Capituli Beati Jacobi-Compostellae Canonicus Deputatus pro Peregrinis “.


"Il Capitolo di questa Chiesa, Madre, Apostolica e Metropolitana, di Compostella, custode del sigillo dell'altare del Beato Apostolo Giacomo, per oter rilasciare a tutti i fedeli e pellegrini, proveniente da ogni parte del mondo, che si recano in gruppi alla tomba del nostro Apostolo san Giacomo, Patrono e Difensore della Spagna, spinti da fervore devozionale o dall'ardore di voto, la documentazione ufficiale del pellegrinaggio, a tutti e a ciascuno di coloro che avranno modo di vsionare questo documento, rende noto e attesta quanto segue: che la Signora Roberta Vicenzi, la signora Carmen Tranquillini, il Signor Marcello Benedetti hanno visitato con spirito di devozione e di vera pietà questo santissimo temio. E alla loro fede consegno questo documento, munito del sigillo di questo Santuario.
Dato in Compostella addì 20 luglio dell'anno del Signore 2007.

Timbro del capitolo di s. Giacomo di Compostella
Il canonico delegato per i pellegrini".